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ADDIO RAGAZZO DAI RICCIOLI NERI CHE HAI SAPUTO REGALARE A GENOVA UN SOGNO

PROTAGONISTA DI UN CALCIO IRRIPETIBILE E MAGICO

Se n’è andato il ragazzo con i riccioli neri che vinse lo scudetto impossibile con la Sampdoria. Si è arreso al nemico più subdolo e vigliacco, “quell’ospite indesiderato” che lo abitava da cinque anni. Contro di lui Gianluca Vialli aveva lottato con la fede ispirata dei forti. Un destino già scritto, adesso si può dirlo, l’unico avversario capace di metterlo al tappeto.
Gianluca Vialli è stato l’anima intelligente della squadra di Paolo Mantovani, il braccio armato del gemello Roberto Mancini, uniti i due Dioscuri da un sodalizio umano e calcistico irripetibile e magico.
Otto anni insieme, addosso la casacca blucerchiata, all’inseguimento di un sogno. Non c’erano segreti in quella squadra, soltanto il collante dell’amicizia, della complicità, dell’affetto e del rispetto. Un gruppo di ragazzi cresciuti spalla a spalla sotto il sole complice della Liguria e l’ala protettrice del presidente stesa sulla pelouse di Bogliasco dove un vecchio saggio, Vujadin Boskov, coltivava il benessere collettivo.
Vialli arrivò a Genova ancora ragazzo, appena ventenne, nell’estate del 1984. Mantovani lo scambiò con un altro idolo del popolo sampdoriano, quell’ Alviero Chiorri detto il Marziano che stava dilapidando un talento magnifico, inciampando in un piede sinistro degno del Mariolino nerazzurro. Paolo Mantovani lo pagò due miliardi e mezzo di vecchie lire, senza lesinare sul prezzo, all’amico Domenico Luzzara, il gentiluomo presidente della Cremonese che aveva affogato nel calcio il dolore per la morte del figlio prediletto, Attilio. L’affare data 1983, un anno prima dell’approdo a Genova di Gianluca. Contratto firmato dai due presidenti in estate nella villa presa in affitto da Mantovani a Cap d’Antibes in Costa Azzurra. Una stretta di mano e via.
La Cremonese era uno dei serbatoi della Juventus, se in riva al Po nasceva un talento, Boniperti se lo portava a Torino: era accaduto con Cabrini. Eppure Boniperti lo aveva scartato, il ragazzo tutto riccioli e muscoli: “I miei osservatori, Zoff, Parola, Vickpalek mi dicono che è bravo ma non è da Juve”, lo aveva liquidato il presidente bianconero parlando con Luzzara. Il presidente della Cremonese si ritenne libero e lo concesse alla Sampdoria. Mantovani lo lasciò un anno in prestito a Cremona. Una mattina dell’estate 1984 Boniperti venne svegliato dalla canonica telefonata dell’Avvocato Agnelli. “Allora, Vialli è nostro?”. Boniperti farfugliò qualcosa e si precipitò al telefono con Luzzara: “Voglio Vialli, ti do mezzo miliardo in più della Sampdoria!”. Troppo tardi. Uomo adamantino, Luzzara declinò l’offerta: “Ho dato la mia parola a Paolo. Mi dispiace”. Ultima fatica, convincere i genitori del ragazzo ad acconsentire al trasferimento a Genova. Mantovani provvide personalmente prendendo appuntamento con Giancarlo e Maria Teresa Vialli nella sontuosa casa di Cremona. Nel soggiorno fra altri pezzi d’arte – ricordo personale del 1986, prima con vocazione in azzurro di Gianluca – un Raffaello in miniatura. Per dire da quali lombi nascesse il ragazzo con i riccioli neri.
Per Vialli, come per Mancini, soffiato alla Juventus sul filo di lana due anni avanti (il primo grande colpo di Paolo Borea, il terzo astronauta di quella Sampdoria stellare) si spalanca l’orizzonte del mare di Genova. La villa di Quinto, le scorribande in moto d’acqua col gemello Mancini, le nottate ruggenti in giro per la Riviera (“Roberto era quello bello, io quello simpatico”) a caccia di ninfette, tallonati dalle telefonate furenti del mastino Boskov, che li voleva a letto (Gianluca indossava il pigiama d‘ordinanza della Sampdoria) entro le undici di sera.
Estate 1987. Berlusconi sta costruendo il grande Milan. Ha adocchiato quel ragazzo spensierato che segna gol da acrobata e fa sognare la Genova blucerchiata. Mantovani ha già vinto la sua prima coppa Italia (1985, con Bersellini in panca) ma vuole di più.
Senonché il Comune ha dato il via libera alla ricostruzione del glorioso Luigi Ferraris, demolito per fare posto al nuovo impianto formato da Vittorio Gregotti che ospiterà tre gare del Mondiale italiano del ’90. La Sampdoria deve convivere con un impianto demolito longitudinalmente per metà, poco più di ventimila i posti disponibili nello stadio-cantiere, Mantovani porta la Sampdoria a giocare a Cremona le gare di Coppa delle Coppe. La ragione si chiama Luzzara. E Vialli. Il presidente è scontento, medita di ridimensionare la squadra, a palazzo Tursi, sede del Comune di Genova, i tanti tifosi genoani gongolano. L’assessore allo sport, Epifani, uno dei più feroci, commenta: “Ventimila posti per quelli là bastano”. Il Milan annusa l’aria e manda Galliani a Genova in avanscoperta. Mantovani sconfortato, cede. “Volete Vialli? Ve lo do.” La stampa nazionale esulta. Da mesi batte impietosa col ritornello dei “Gemelli del non gol”, bolla la Sampdoria come l’isola felice dove però la vittoria non è contemplata. Cita la breriana “macaia” (l’umidità appiccicosa portata dallo scirocco che infrollisce teste e gambe) come la causa della bella vita dei ragazzi di Boskov. Che ci fa Vialli ancora a Genova? E’ tempo che giochi e vinca per una Grande.
Il passaggio al Milan sembra cosa fatta. Mantovani si è rassegnato. Ma non ha fatto i conti con Gianluca. Vialli non ha ne vuol sapere di indossare la casacca rossonera. Non ha in simpatia Berlusconi, non gradisce la grandeur sbandierata dal Cavaliere, forse rammenta di aver tifato Inter nell’infanzia, chissà. Fatto sta che si presenta nell’ufficio di Mantovani e lo implora: “Presidente: Non mi venda al Milan”. Entrando, è piombato in ginocchio e strisciando in direzione della scrivania, a mani giunte, il sorriso impertinente stampato in faccia, salmodia la preghiera: “Presidente non mi venda, non mi venda al Milan”. Mantovani ha gli occhi colmi di lacrime, non sa cosa dire. Si alza e lo abbraccia. Chiama Galliani, gli rappresenta i dubbi del ragazzo. Galliani rilancia. “Dica a Vialli che veniamo a prenderlo a Genova con l’elicottero. Il presidente Berlusconi gli darà personalmente il benvenuto a Milanello”. Peggio che andar di notte. Vialli si irrigidisce: “In elicottero? Neanche per sogno. “Dica a Galliani che ho un appuntamento a Bogliasco col massaggiatore”. Mantovani si arrende. Chiama Galliani, spiega e si tira indietro. Vialli rimane alla Sampdoria.
Il miracolo dello scudetto comincia anche da lì, dal gran rifiuto di Vialli al Milan. Prosegue due anni dopo. Coppa delle Coppe, finale a Berna contro il Barcellona. Una Sampdoria decimata nei titolari perde 2-0 e sembra la fine del sogno. Ma i ragazzi di Boskov nello spogliatoio stringono un patto d’onore. “Nessuno di noi se ne va se prima non vinciamo qualcosa di importante”. La parola non viene nominata ma è implicita: lo scudetto. Tocca quindi a Vierchowod resistere alla corte della Juventus. I compagni in ritiro gli piombano in camera a notte fonda, lo minacciano: “Guai a te se accetti”. Lo zar non rinnega il giuramento. Rimane. Vialli è il più solerte e fantasioso nell’organizzare il consenso dello spogliatoio. E’ uno specialista nel progettare scherzi e beffe varie. Riempì di schiuma da barba le mutande di Souness, il granitico scozzese prelevato nell’84 dal Liverpool campione d’Europa. Si rischia la rissa, ma tutto finisce con una risata. Non si poteva litigare con lui. Troppo smart, troppo simpatico, troppo furbo. Una canaglia buona, affascinante, Gianluca. Un vero leader.
L’altra pietra miliare la colloca la Nazionale di Azeglio Vicini. I quattro blucerchiati convocati per Italia ‘90 (Vialli, Mancini, Pagliuca e Vierchowod) ridotti a far tappezzeria o quasi. Mancio relegato in tribuna. Lo Zar escluso nella sera della infausta semifinale con l’Argentina e Maradona strabiliò:”Dov’è l’Uomo Verde?”. Vialli dentro e fuori, additato dalla critica maliarda come il maggior responsabile della caduta azzurra, sacrificato alle notti magiche di Totò Schillaci. Da quel Mondiale i Gemelli tornano carichi come molle. “Gliela faremo vedere noi”, proclamano nel chiuso dello spogliatoio. La grande stagione dello scudetto germoglia sulla rabbia di Vialli e Mancini, la voglia di rivincita di Vierchowod e la volontà di regalare un sogno a papà Mantovani.
Il sogno tricolore si avvera e l’altro sogno, la vittoria in Europa sbuffa via nel cielo di Wembley. La malaugurata intervista gonfia di critiche di Vialli alla Gazzetta, un mese prima della finale col Barcellona, innesca la reazione a catena. Mantovani legge e chiame Boniperti: “Le interessa ancora Vialli?” il passaggio alla Juve del ragazzo con i riccioli neri matura da lì e lo scoramento della squadra – che ovviamente lo viene a sapere – produce quel quasi-gol: il tiro partorito dal destro sbilenco di Vialli, al cospetto dei trentamila tifosi sampdoriani raccolti nel tempio del football inglese, manda il pallone, un proiettile morbido e beffardo. ad accarezzare il palo della porta di Zubizzarreta e da lì è un attimo verso l’inferno del gol di Rambo Koeman, che regala la coppa al Barcellona. ”Per anni ho sognato quel pallone che volava girando, girando, girando su sé stesso, sembrava dovesse entrare e invece si perse sul fondo”, aveva confessato Gianluca. Un incubo cancellato, forse, dalla vittoria azzurra dell’Europeo, nell’abbraccio col gemello Mancini sul prato iconico di Wembley. L’immagine vecchia di appena un anno e mezzo. Vialli, sofferente, ma indomito e fiducioso. “Voglio sopravvivere ai miei genitori e portare all’altare le mie figlie”, il suo programma umano. Il progetto sportivo? Diventare il presidente della Sampdoria e chiamare il gemello Mancini sulla panchina di una Sampdoria tornata, perlomeno nello spirito bambino, all’epoca d’oro di Paolo Mantovani e dei suoi scapigliati ragazzi. Il destino lo ha sgambettato proprio in vista del traguardo e questa volta non ci sarà rivincita possibile. Corri di nuovo libero e leggero, Luca Vialli. Non sarai dimenticato. La terra ti sarà soffice e lieve perché sei stato un giusto.
(da Calciomercato)

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