ALESSANDRO GIULI ORA HA IL COLTELLO DALLA PARTE DEL MANICO E MINACCIA LE DIMISSIONI SE NON SARÀ RISPETTATA LA SUA “AUTONOMIA”: SA CHE LA DUCETTA NON PUÒ PERMETTERSI UNA CRISI DI GOVERNO
IL CASO HA SPACCATO FRATELLI D’ITALIA TRA LA FRONDA PRO-VITA CHE HA DATO DEL “PEDERASTA” A SPANO E L’ALA PIÙ MODERATA E LA FIAMMA MAGICA È ESPLOSA: FAZZOLARI, AL NETTO DELLE PAROLE DI RITO (“STIMO GIULI”) HA SEMPRE OSTEGGIATO GIULI, CHE CONSIDERA UN “TRADITORE”. E VUOLE COMMISSARIARLO IMPONENDOGLI IL NUOVO CAPO DI GABINETTO
Meloni, dopo aver liquidato sulle chat interne del partito i retroscena usciti sui giornali come «falsi», alza il telefono di buon mattino per un chiarimento con il ministro. Giuli le ribadisce il concetto già espresso il giorno prima a Mantovano: non ammette più intrusioni.
Il caso Spano, insomma, non si deve ripetere. I toni non salgono, ma la conversazione, per usare un eufemismo da prima repubblica, è franca. Il ministro chiarisce che il suo posto è a disposizione, nel caso in cui non ne venga rispettata l’autonomia, Meloni non vuole toccare questo tasto, «non c’è motivo perché tu te ne vada».
Per la premier, infatti, dover cambiare ancora il ministro della Cultura, dopo la traumatica e recente uscita di scena di Gennaro Sangiuliano vorrebbe dire, oltre a una brutta figura, aprire una sorta di crisi di governo. Quindi bisogna andare avanti, cercando di ricostruire i ponti crollati sotto i colpi delle accuse di Fratelli d’Italia a Spano, con un’operazione di delegittimazione che, secondo Giuli, è stata orchestrata da Sangiuliano.
Meloni e il ministro concludono la telefonata accennando alla nomina del nuovo capo di gabinetto del ministero della Cultura. I due non avrebbero parlato di nomi, Meloni non vuole occuparsene direttamente, ma hanno concordato un metodo: condividiamo le scelte. Il perimetro però non è ancora chiaro.
Ma la sfida dell’ex direttore del Maxxi al cuore del melonismo è ancora in corso. Per capire l’esito di questa battaglia inedita nel suo genere bisognerà vedere chi sarà il successore di Spano. I nomi che sarebbero spinti da Palazzo Chigi sono Cristina Luciani, avvocatessa, dirigente dell’ufficio del Garante della privacy e moglie di Luca Sbardella, deputato di FdI vicino a Giovanni Donzelli.
L’altro nome è quello di Valentina Gemignani, consorte di Basilio Catanoso, storico dirigente della destra catanese. Nomi che, se scelti, dimostrerebbero che il commissariamento di Giuli è ormai un fatto. La decisione definitiva verrà presa la settimana prossima, dopo la puntata di Report sul ministero della Cultura, in onda dopodomani. Una trasmissione che potrebbe cambiare molte cose.
Sedare, sopire. Perché il rischio è che il “caso Giuli” spezzi il melonismo in due, irreparabilmente. Che crei tensioni enormi dentro Palazzo Chigi. E inneschi imbarazzanti rivelazioni, nuove figuracce, altre dimissioni. Ecco perché al mattino Giorgia Meloni decide di chiamare Alessandro Giuli.
Chiamata necessaria — fatta trapelare dal cerchio magico — dopo l’incontro avuto dal ministro della Cultura con Alfredo Mantovano, a seguito delle dimissioni del capo di gabinetto Francesco Spano. Ma soprattutto, telefonata fondamentale per cercare di placare lo scontro tra Giuli e Giovanbattista Fazzolari, di cui tutti parlano e che tutti conoscono: i due hanno rotto da un po’ e, da allora, neanche si parlano
Arginare è dunque l’imperativo della presidente del Consiglio, «dobbiamo rallentare — è il senso di quanto dice al giornalista diventato responsabile del Mic, secondo quanto riferiscono fonti di massimo livello di Palazzo Chigi — dobbiamo trovare soluzioni, collaborare, evitare che questa storia sfugga di mano emetta davvero in difficoltà il governo ».
In realtà, la premier e il suo cerchio magico imputano a Giuli una mancata condivisione nelle scelte e un’autonomia eccessiva, sgradita, incontrollabile. E per certi versi pericolosa. Sono preoccupati, anzi letteralmente allarmati dalla possibilità che le inchieste giornalistiche mettano in difficoltà Emanuele Merlino, capo della segreteria tecnica di Giuli, fidatissimo di Fazzolari. Che seguano altre dimissioni, dopo quelle che hanno scosso il ministero. E che il caos finisca per travolgere anche Giuli.
Come reagirebbe, a quel punto, il neo ministro? A colloquio con Meloni, Giuli tiene sostanzialmente il punto. Si dice fiero di aver deciso la cacciata dell’ex capo di gabinetto Francesco Gilioli e di aver coinvolto Spano nell’avventura di governo poi finita nel modo peggiore. Ma soprattutto, denuncia il “fuoco amico” di Fratelli d’Italia, l’azione sotterranea di quelli che da giorni provano ad affondarlo.
Infine, per ribadire la buona fede fa un ragionamento che si può sintetizzare così: se necessario, non ho problemi a dimettermi. Giuli — e tutti i protagonisti di questa storia — sanno benissimo che non sarebbe tollerabile, né sostenibile per il melonismo la caduta del secondo ministro della Cultura in un mese.
Peggio: il disastro produrrebbe solo nuove vendette. È quello che in privato ammette anche Meloni, al telefono, secondo quanto riferiscono le stesse fonti di Palazzo Chigi: «Dobbiamo restare compatti, abbassare la tensione. Altrimenti la situazione rischia davvero di finire fuori controllo».
Palazzo Chigi si adopera per una tregua. Parla addirittura Fazzolari, il grande avversario del ministro: «Non c’è nessuno scontro con Giuli. Notizia falsa e pateticamente inventata. È una persona che stimo e della quale appezzo la grande professionalità».
Sedare, sopire. Lo stesso prova a fare anche Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura. L’altro ieri ha litigato in pieno Transatlantico con Antonella Giuli, sorella del ministro. Adesso prova a ridimensionare: «Con Antonella ho storici rapporti di stima».
Tutti stimano tutti, ma intanto la faida politica non si arresta. Continuano a circolare indiscrezioni sulle chat dei parlamentari pro vita di Fratelli d’Italia. E, più in generale, sul pressing espresso dalla pattuglia parlamentare contro il ministro. Tra chi era contrario alla nomina di Spano ci sarebbero deputati, senatori, personalità di peso come Isabella Rauti.
Ogni decisione va ponderata al millimetro, a questo punto. Anche la successione di Spano. E però, almeno su questo dossier, Giuli sembra disposto a ragionare con palazzo Chigi. Anche perché trapela che diversi magistrati e membri del Consiglio di Stato si sarebbero rifiutati anche solo di ragionare dell’incarico
(da La Stampa)
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