ALLA FINE ANCHE L’ITALIA FIRMA CONTRO L’UNGHERIA
IL NOSTRO PAESE SI ASSOCIA AD ALTRI 13 PAESI EUROPEI CONTRO LA LEGGE OMOFOBA, INCLUSE GERMANIA E FRANCIA, MA QUANTA FATICA
Una firma che ha richiesto una giornata intera.
È quella del governo italiano in calce alla dichiarazione congiunta di 13 Paesi europei contro la legge ungherese anti Lgbtiq, incluse Germania e Francia.
Sono le otto della sera quando il sottosegretario agli Affari europei Enzo Amendola twitta: “A fine Consiglio Affari Generali non sono arrivati chiarimenti soddisfacenti dall’Ungheria sulle leggi approvate che producono discriminazioni in base all’orientamento sessuale. Per questo, dopo dibattito, anche l’Italia ha firmato la richiesta degli altri 13 stati membri dell’Ue”.
Nelle ore precedenti il governo si era perso in un bicchier d’acqua, con un rimpallo di responsabilità dall’uno all’altro ministero, dall’uno all’altro partito di maggioranza senza che nessuno volesse lasciare le impronte su una decisione iniziale che era stata comunque quella di non aderire alla lettera dei 13.
“L’Italia, non ha mai fatto mancare sostegno ai diritti Lgbtiq a livello europeo”, spiegava il sottosegretario, trincerandosi dietro una motivazione formale: senza aver audito gli ungheresi, la firma sarebbe stata interpretabile come uno svuotamento delle procedure dell’Unione.
“Devi anche fare i conti con una maggioranza variegata”, spiegava una fonte di governo. Ecco che i sospetti cadevano subito sulla Lega.
Ma qualificate fonti del Carroccio rispondevano: “Noi non c’entriamo nulla, non ne abbiamo parlato e non ci sono arrivate né sollecitazioni né richieste in tal senso”. Allora forse i 5 stelle, anche se i 5 stelle sul fronte dei diritti da sempre manifestano sensibilità molto differenti da quelle del vecchio alleato di un tempo.
E invece no, ecco la capodelegazione pentastellata Al Parlamento europeo Tiziana Beghin tuonare contro la Lega: “Dica da che parte sta, noi quell’iniziativa la condividiamo”.
Anche la Farnesina veniva presto depennata dalla lista dei sospettati, perché il ministero guidato da Luigi Di Maio è rimasto fuori dalla discussione sulla missiva. E dopotutto lo stesso ministro in passato è stato quello tra i suoi più duro nei confronti dell’alleato sovranista del Carroccio. Citofonare Palazzo Chigi, spiegavano le camicie verdi, ribadendo la loro estraneità.
“Probabilmente Amendola non aveva mandato a firmare”, spiegava una fonte di governo. Ma dall’entourage di Mario Draghi si veniva rispediti al mittente: “Chiedete ad Amendola”, senza nessuna delucidazione se il mandato ci fosse o meno.
Un cortocircuito completo tutto interno al governo che è durato per una manciata di ore. Che si è salvato in calcio d’angolo rispolverando la motivazione formale: non essendo arrivate al Consiglio Affari Generali le spiegazioni sufficienti da parte di Budapest, l’Italia è diventata il quattordicesimo firmatario della missiva, mettendosi in scia di Francia e Germania sul suono del gong.
(da Huffingtonpost)
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