ALLUVIONE, LA BOMBA ROMAGNA PUO’ ESPLODERE IN MANO A MELONI
I SOLDI, I SINDACI BLOCCATI, LE LITI SUL COMMISSARIO… I COMUNI COSTRETTI A LAVORARE SENZA COPERTURE E LEGGI ADEGUATI
Il governo “non è un bancomat”, per carità, ha ragione il ministro che ha la delega alla Protezione civile Nello Musumeci (cui pure, da presidente siciliano, il bancomat piaceva), ma non è neanche l’ente del turismo delle catastrofi: sulla ricostruzione in Romagna l’esecutivo deve prendere una decisione su come procedere e dare certezze ad amministratori, famiglie e imprese, non basta mostrare empatia in un paio di visite sui luoghi del disastro.
Parliamo, ovviamente, delle due alluvioni di maggio: l’ultima, la più grave, data a un mese fa e ha ammazzato 15 persone, cacciato dalle loro case migliaia d’altre (e parecchi non sono ancora tornati), distrutto edifici, strade, ponti, imprese, campi coltivati, canali, argini dei fiumi e mille altre cose per una cifra che gli enti locali quantificano in 8,8 miliardi.
Ovviamente l’esecutivo valuterà la fondatezza di queste stime, ma il problema è che in questo momento – senza un commissario con poteri derogatori o comunque un percorso delineato da una legge – alcuni sindaci hanno fermato o stanno per fermare parte dei lavori: “Con le risorse dell’ultimo decreto, fra 10 giorni i lavori si fermano. Abbiamo circa 1,8 miliardi di risorse spese o che stiamo per spendere per interventi di ‘somma urgenza’, che sono senza copertura dal punto di vista finanziario”, hanno detto i sindaci di Cesena e Ravenna, i dem Enzo Lattuca e Michele De Pascale, entrando a Palazzo Chigi giovedì. Qualche minuto dopo Musumeci gli ha spiegato che “il governo non è un bancomat”. Sarà utile allora un breve riepilogo della situazione.
I soldi.
Finora il governo ha stanziato, in due diversi decreti, 1,8 miliardi di euro: quasi un miliardo però è destinato alla cassa integrazione in deroga e al sostegno al reddito degli autonomi, altri 300 milioni sono invece soldi di Sace per l’internazionalizzazione delle imprese. Insomma, i fondi per la ricostruzione e gli aiuti diretti a famiglie e imprese vanno in larga parte ancora trovati. È appena il caso di ricordare che parliamo di una delle zone più ricche d’Italia.
La stima dei danni.
Come si arriva a 8,8 miliardi di euro? Quasi la metà – 4,3 miliardi con una stima di errore al 10% (dice la Regione) – sono i danni a fiumi, strade e infrastrutture pubbliche: di questi 1,8 miliardi riguardano interventi già realizzati o in corso (6.300 in tutto), altri due miliardi e mezzo per altri 3.150 interventi di ripristino futuri. Poi ci sono i danni ai privati: 2,1 miliardi per 70.300 edifici danneggiati o distrutti dal maltempo. Le imprese coinvolte dall’alluvione, invece, risultano essere oltre 14mila (1,2 miliardi di danni al netto di merce persa e perdita di fatturato). Il comparto agricolo, infine, conta circa 12mila aziende coinvolte per 1,1 miliardi di danni. I Comuni coinvolti sono un centinaio in Emilia Romagna, Marche e Toscana.
Il problema.
C’è un commissario alla prima emergenza, che è il presidente Stefano Bonaccini, per il resto però non esiste una griglia di regole per la ricostruzione vera e propria, che pure è in parte già iniziata. I sindaci e gli altri amministratori locali stanno ad oggi deliberando soldi che ancora non esistono con la clausola detta “somma urgenza”: uno strumento da usare con cura perché, se il governo non le coprirà in tutto in parte, in molti finiranno in dissesto. Per questo alcuni sindaci si sono fermati o stanno per farlo. In altri casi ci sono problemi diversi: finita la prima emergenza, per gli interventi successivi i sindaci non hanno alcun potere derogatorio rispetto alle norme vigenti che però, spesso, sono inapplicabili o addirittura dannose dopo una catastrofe.
Il commissario.
Quello che si attendono adesso i territori è la nomina di un delegato del governo con ampi poteri di firma, capacità di derogare a molti obblighi burocratici e munito di una dote finanziaria di un certo rilievo, cioè quello che si è sempre fatto nelle ricostruzioni. Fare in fretta non è un capriccio: quando le cose vanno per le lunghe un pezzo del tessuto sociale e produttivo finisce per sparire per sempre (chiedere ad Amatrice o a L’Aquila).
Governo diviso.
L’identikit del futuro commissario straordinario è un problema con tre soluzioni possibili su cui si confrontano gli attori in campo. Gli amministratori locali del Pd, la larga maggioranza in zona, vorrebbero Bonaccini, giusta la linea già seguita per il territorio in Emilia del 2012, ma nel governo ci sono vari gradi di ostilità a questa scelta. Nel 2024 in Regione si vota e nessuno vuole fare assist al centrosinistra. Dentro la maggioranza vanno per la maggiore due ipotesi, la prima è anch’essa legata al voto: un commissario “politico”, che sia poi anche candidato alle Regionali. La seconda, invece, è la nomina di un più accettabile commissario tecnico (tipo Figliuolo, Bertolaso o simili) che si muova in accordo con Chigi e comunque tolga visibilità a Bonaccini. Il governo non è un bancomat, ma non può neanche fischiettare.
(da Il Fatto Quotidiano)
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