“AMBULANZE ATTESE PER ORE” LA PROCURA INDAGA SUI RITARDI DEGLI INTERVENTI DEL 118 DI BERGAMO
A CAUSA DELLA TEMPISTICA DEI SOCCORSI MOLTI MALATI SONO MORTI
Le schede degli interventi del 118 di Bergamo sequestrate per capire la tempistica dei soccorsi: perchè, nei giorni più caldi dell’emergenza Covid, c’è gente che ha aspettato l’ambulanza per ore. E, molti dei malati che hanno atteso invano, poi sono morti.
E’ uno degli atti con cui la procura di Bergamo sta cercando di fare chiarezza su quello che non ha funzionato, a livello sanitario e organizzativo, nella provincia più martoriata d’Italia dall’epidemia del coronavirus.
Il periodo è quello di marzo, in particolare le prime settimane, quando la diffusione dei contagi, partiti dai focolai di Alzano e Nembro nella Val Seriana della mancata zona rossa, ha iniziato a mettere in ginocchio gli ospedali e le Rsa della bergamasca.
L’indagine
Nella trama dei tre filoni di indagine su cui sono impegnati i magistrati guidati dalla pm Maria Cristina Rota — primo: le responsabilità che attengono alla decisione di non istituire la cinturazione della Val Seriana;, secondo: la gestione delle Rsa; terzo: l’apertura-chiusura lampo dell’ospedale Pesenti-Fenaroli di Alzano — finora era rimasto fuori — o almeno non era emerso — l’aspetto che riguarda, appunto, i soccorsi sul territorio. Nelle case, per capirci.
Perchè degli oltre 6mila morti registrati in provincia di Bergamo alla fine di marzo, molti se ne sono andati senza nemmeno passare dagli ospedali. Morti nelle proprie abitazioni. In molti casi senza una diagnosi certa. Ma con tutti i sintomi del Covid 19. La casistica riguarda soprattutto persone anziane. Ma non solo.
Le schede del 118
Per vederci chiaro la magistratura nelle scorse settimane ha deciso di andare a fondo: da qui il sequestro delle schede degli interventi del 118. E dunque: le chiamate registrare e trasferite dagli operatori nelle schede che determinano l’uscita delle ambulanze e dei mezzi di soccorso.
A cavallo tra febbraio e marzo, e poi per tutto il mese, mentre a Bergamo stavano andando al collasso, oltre agli ospedali, anche le camere mortuarie e i forni crematori, uno dei problemi maggiori era stato proprio l’assistenza sul territorio. Le carenze delle bombole di ossigeno, necessarie per i pazienti in crisi respiratoria ma che o non potevano o ai quali era sconsigliato andare in ospedale.
Le chiamate continue. I pronto soccorso al limite.
In tutto questo – ipotizzano i magistrati sulla base anche delle numerose denunce presentate in Procura dal comitato “Noi denunceremo” (parenti di vittime Covid) — i tempi dei soccorsi potrebbero essere stati, in alcuni casi, non adeguati alla situazione che si era venuta a creare nella bergamasca. Il sequestro del materiale confluisce nella mole di documentazione in possesso della procura. Che adesso, dopo gli interrogatori incentrati sulla mancata zona rossa, si tanno concentrando sugli altri due rami d’indagine: ospedale di Alzano e Rsa.
L’anomalia
Per quanto riguarda il primo circolano indiscrezioni — non confermate — di almeno due nomi iscritti nel registro degli indagati. Potrebbero essere tra coloro che, quando verranno formulati eventuali capi d’accusa, sarebbero chiamati a rispondere dell’anomalia del 23 febbraio: quando l’ospedale Pesenti Fenaroli chiuse e riaprì poche ore dopo. Il motivo: alcuni casi di pazienti Covid risultati positivi ai tamponi. In una struttura che, appunto, riaprì i battenti senza gli adeguati interventi per metterla in sicurezza e fermare dunque la catena dei contagi.
La pm Rota e i tre magistrati che lavorano con lei sull’inchiesta faranno luce su questo ed altro: scarsa informazione dei pazienti e dei loro parenti dei rischi legati all’infezione soprattutto durante la prima fase dell’emergenza; l’assenza di dispositivi di protezione nelle strutture sanitarie e la mancanza di una medicina del territorio efficace e tempestiva per la gestione dei pazienti a domicilio.
(da agenzie)
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