ANIMA LUCANA E DNA BRITISH, IL MINISTRO ALLA SALUTE SORPRESA PER TUTTI
UN NEW NORMAL DAL PROFILO NOVECENTESCO DIVENTATO PILASTRO STIMATO ALL’ESTERO PER LA SUA RISPOSTA ALLA PANDEMIA
Profetico fu il suo amico Gianni Cuperlo, già compagno di partito, che in un sottopalco di una festa di Articolo Uno, fine estate 2019, all’ex mattatoio del Testaccio, lo incalzò a bruciapelo. “Roberto”, disse, “ti devo chiedere una cosa importante”. E all’evidente interesse del ministro alla Salute di fresco incarico, replicò serafico toccandosi il fianco: “Ho un doloretto qui, che mi consigli?”, tra le risate bonarie dei presenti.
Gratificante è stata di recente Angela Merkel, che sconsigliando ai connazionali i viaggi nell’Europa sferzata dal Covid, ha sorpreso non pochi elogiando l’Italia, fuor di stereotipo ‘bella ma casinista’, anzi uno dei posti “non a rischio” laddove “si agisce con grandissima cautela”.
La nomina insperata in un governo insperato, chimera giallorossa nata sulle ceneri dei “pieni poteri” di Matteo Salvini, e la ‘laurea honoris causa’ conferita dalla cancelliera dottoranda in chimica quantistica per la tenuta insperata in un contesto disperato.
Un sottopalco e la Merkel. Lo stupore e la cautela. Ecco, in un anno, i due poli di Roberto Speranza, il ministro della Salute ai tempi della grande pandemia.
Tra lo stupore di tutti arriva al giuramento del Conte 2, agosto 2019, esponente del piccolo LeU, sostanzialmente a digiuno di camici, corsie, farmaci. Ma non importa. Anche se a chi, come Gad Lerner gli chiederà se abbia dovuto fare un “corso accelerato” in virus ed epidemie, risponderà che “la sanità è stata una passione” e “da sempre”, Speranza, già rappresentante di istituto al “Galileo Galilei” di Potenza, ultimo segretario della Sinistra giovanile, creatura diessina che nel post Bolognina aveva preso il posto della più gloriosa Fgic, laureato in scienze politiche alla Luiss, un breve periodo alle risorse umane della Barilla, insomma non proprio un esperto di sanità , crede “nel primato della politica” sui tecnici.
Politica versus tecnica. Antipasto ideologico e un po’ nemesi di un conflitto che nei mesi pandemici scorrerà carsico nelle istituzioni per emergere in superficie più volte, drammatico e inevitabile.
Tanto che ai tecnici il ministro dovrà affidarsi e ricorrere, necessariamente. Contro il diabolico virus i due pilastri fondativi del suo mandato, l’articolo 32 della Costituzione – a cui ricorre come a un mantra — e il Sistema sanitario nazionale, non sono sufficienti.
Persino la battaglia, vinta, sull’abolizione del superticket diventa purtroppo trascurabile. Con migliaia di morti al giorno, le immagini tragiche delle bare di Bergamo, il lockdown, sono ben altre le decisioni da prendere.
“Nell’emergenza — racconterà — ho conosciuto persone straordinarie, da Ippolito a Brusaferro a Rezza, e altri con cui si è creata un’amicizia, direi quasi un’intimità , di quelle che dureranno tutta la vita”.
Amici per la vita che si aggiungeranno a quelli della politica, degli anni pre-pandemia. Pier Luigi Bersani, suo mentore, ovviamente, ma per ragioni anagrafiche soprattutto Enzo Amendola e Peppe Provenzano, compagni nella Sinistra giovanile, e ora colleghi ministri, “con la stessa cultura politica”, anche se in partiti diversi.
Dettaglio questo, non da poco, considerato che nel Partito democratico, abbandonato in polemica con Matteo Renzi nel 2017, Speranza non era proprio un corpo estraneo. Tutt’altro.
È proprio nel Pd che sorprende in parecchi quando nel 2009 sbanca le primarie per il segretario regionale della Basilicata piazzandosi davanti a due eminenze locali, il sindaco di Matera Salvatore Adduce, e l’ex segretario regionale della Margherita e più volte assessore, Erminio Restaino.
È tra lo stupore di molti deputati dem, che Pier Luigi Bersani, per il quale Speranza aveva curato le primarie vittoriose dell’anno prima, lo impone a capogruppo alla Camera e chiede il “voto per acclamazione” per il “giovane di lungo corso”, spaccando il partito.
Dieci giorni dopo, in quel drammatico marzo del 2013, dopo la “non vittoria” del suo mentore alle politiche, arriveranno i celebri “101” del Capranica e la stroncatura di Romano Prodi al Quirinale. “Una ferita che sentiamo ancora sulla pelle” – confesserà anni dopo a Vittorio Zincone – “Io in modo particolare. Non credo che si rimarginerà facilmente”.
E’ la politica a costringerlo a dare ascolto al suo cocktail genetico: anima lucana e dna british — è inglese suo fratello, Peter, e la madre; ha un cugino, Nick, già collaboratore del premier (laburista) Gordon Brown.
A indurlo a parlare poco, e con grandissima prudenza. Ed è proprio nella declinazione in infinite sfumature di una delle quattro virtù cardinali della morale occidentale, nella “retta norma dell’azione” decantata da Tommaso d’Aquino, che si esplicita la gestione dell’emergenza di Speranza.
Cautela, precauzione, attenzione. E ancora: “Dobbiamo dire la verità ”; “Il pericolo non è scampato”; “Ci aspettano mesi ancora difficili”.
Questo nelle dichiarazioni ai media, mentre non è un mistero che nelle segrete stanze del Comitato tecnico scientifico, o in sede di governo, Speranza abbia tenuto ferma la barra sulla massima prudenza, fino a essere percepito come un ‘frenatore’.
“Lo so che sono dipinto come quello più rigido.”- confessa in un colloquio, uno dei pochi, di quei giorni – “Ma proprio perchè sono il ministro della Salute mi sento in obbligo di essere severo. Non voglio ingannare nessuno”.
E non ingannare nessuno implica anche scomparire e non rilasciarle del tutto le interviste, come è accaduto nei due mesi neri di marzo e aprile, con il picco di contagi e decessi e il Paese bloccato dal lockdown.
D’altra parte, è lui stesso a teorizzarlo, definendosi “novecentesco”, refrattario a social o comparsate nei tg. Meglio lavorare nell’ombra, telefonare a tutti gli esponenti dell’opposizione prima di decidere la zona rossa di Codogno, mediare, e limitarsi a gioire col suo staff negli uffici ministeriali romani di Lungotevere Ripa, mostrando il cellulare con il pezzo sul New York Times del Nobel all’Economia Paul Krugman.
Dal titolo che vale più di mille tweet: “Perchè l’America di Trump non può essere come l’Italia?”.
Insomma, assodato che il personaggio ha un profilo decisamente ‘new normal’, un quarantenne con due figli sposato con moglie conosciuta a 16 anni,a questo punto il pericolo è di farne un ‘santino’. Ma pur sfumate in questa atmosfera sobria e responsabile, le decisioni controverse non sono mancate, come quella di chiudere immediatamente i voli con la Cina, con l’effetto di non controllare i flussi in entrata e uscita via terra o via mare.
O la tendenza a scegliere la via più dura, quindi paradossalmente meno coraggiosa, come nella difesa della chiusura a oltranza, a fronte di un panorama economico in via di disfacimento.
“Non so se rifarei tutto”, ha anche confessato, ma chi potrebbe sostenere il contrario al cospetto di un evento inaspettato e inedito come una pandemia? Anche se in verità un cambio di tendenza si è avuta quest’estate, con il nostro a rassicurare “che non ci sarà un nuovo lockdown” e a mettere la faccia sulla riapertura delle scuole.
Ora che, come sostiene lo stesso, siamo nell’“ora della resistenza al virus”, con mezza Europa contaminata di nuovo e la seconda ondata purtroppo alle porte, non resta che sperare che il paradigma speranziano regga.
Che la cura da lui annunciata “vicina” lo sia per davvero. E che il ministro della cautela e dello stupore possa tornare all’Olimpico dov’è abbonato a tifare Roma (il suo amato Totti difficile che possa tornare a goderselo).
A strappare sulla politica, per dire, su temi pre-pandemici come lo Statuto dei lavoratori o il Jobs Act. O sul Mes, che garantirebbe 20 miliardi per l’agognato modello territoriale di sanità .
Vorrebbe dire che “new normal” saremmo tornati a essere tutti noi.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply