AUMENTA LA POPOLAZIONE. PER LOMBARDIA E LAZIO PIU’ SEGGI IN PARLAMENTO
CINQUE SEGGI IN PIU’ IN LOMBARDIA, QUATTRO IN LAZIO, TRE IN EMILIA, MENO TRE IN CAMPANIA, MENO DUE IN SARDEGNA E CALABRIA
Il Viminale redistribuisce il numero dei posti in Parlamento sulla base dell’ultimo censimento.
La popolazione è aumentata di oltre due milioni e mezzo, passando da 56.995.744 residenti del 2001 a 59.433.744 secondo l’ultimo conteggio effettuato dall’Istat nel 2011.
E l’effetto più eclatante di questo nuovo conteggio si avrà proprio sulle prossime elezioni, visto che alcune regioni potranno essere più determinanti che in passato per la vittoria finale di uno degli schieramenti.
Ma tanto basta perchè si scateni la polemica, con Francesco Storace de La Destra che attacca ministero dell’Interno e Quirinale «visto che adesso cambierà anche il numero delle firme necessarie alla presentazione delle liste e il numero dei candidati che ogni partito può presentare».
La nuova «tabella» è inserita nel decreto di scioglimento delle Camere firmato il 23 dicembre dal capo dello Stato.
E fissa il numero delle circoscrizioni sulla base della popolazione.
Per quanto riguarda la Camera, tre seggi li guadagnano Lazio e Lombardia; due il Veneto, la Liguria e l’Emilia; uno il Trentino; due seggi li perdono la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia; uno in meno per Piemonte e Sardegna.
Numeri diversi rispetto alle precedenti elezioni anche per il Senato con la Lombardia che guadagna due seggi, il Lazio e l’Emilia uno mentre ne perdono uno Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna.
L’aumento dei cittadini modifica la «geografia» del Parlamento, ma ha effetti anche sulla presentazione delle liste e soprattutto sulle firme da raccogliere.
E infatti uno dei tre provvedimenti emanati da Giorgio Napolitano riguarda proprio questo aspetto e fissa le nuove «fasce» in base ai dati forniti dall’Istat.
Solo per fare un esempio, in base alle ultime tabelle nel Lazio potrebbe esserci bisogno di 4.000 «adesioni», mentre si scende a 3.500 nel Piemonte.
Per avere certezze sul numero esatto di firme che ogni partito deve presentare bisognerà comunque attendere domani, quando l’Aula di Palazzo Madama voterà la conversione in legge del decreto che riduce fino al 75 per cento il numero di firme necessarie.
Un via libera tutt’altro che scontato, come ha riconosciuto il presidente del Senato Renato Schifani che il giorno di Natale ha dichiarato: «È un bel problema. Mi auguro che ci sia effettivamente la conversione, altrimenti si creerebbe una situazione di disagio normativo».
Il provvedimento che riduce la portata del «sostegno» da dimostrare per potersi presentare alle elezioni era stato preparato dal ministro Annamaria Cancellieri e approvato in fretta dal governo proprio per fare fronte ai tempi stretti in vista delle consultazioni previste per il 24 e il 25 febbraio.
Più volte la titolare del Viminale aveva sottolineato l’impegno del suo dicastero, evidenziando però la necessità che ci fosse anche una volontà politica di procedere a una rapida conversione in Aula.
L’accordo sembrava raggiunto, ma la Lega ha fatto saltare la votazione finale e adesso tutto è tornato in discussione.
Secondo Storace i problemi sono aggravati da queste novità legate al censimento «che obbligano i partiti a rifare tutto daccapo» e per questo il leader de La Destra parla di «un pasticcio nella migliore delle ipotesi, un vero e proprio sabotaggio nell’altro. Comunque una vergogna».
Secondo i tecnici del Viminale «il decreto del capo dello Stato ben specifica adempimenti e “fasce” che comunque sono ben note a tutte le formazioni politiche visto che è la legge a stabilire gli effetti del censimento – da svolgere in maniera obbligatoria ogni dieci anni – che serve proprio a effettuare una redistribuzione territoriale».
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
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