BACIO PERUGINA AGRODOLCE: SBARCA IN CINA MA TAGLIA IN ITALIA
REPORTAGE NELLA STORICA FABBRICA DI SAN SISTO (OGGI DELLA NESTLE’) DOVE QUASI META’ DEGLI OPERAI SONO A RISCHIO
“L’amore non è solo un sentimento. È anche un’arte”: questo è Honorè de Balzac. “L’amor che muove il sole e l’altre stelle”: e questo è Dante Alighieri.
Prima della traduzione in cinese, i cartigli che avvolgono i cioccolatini hanno superato l’esame di un pool di esperti di cultura orientale per capire se rischiavano di provocare qualche suscettibilità .
Basti pensare, senza bisogno di scomodare le censure di Mao Tse-tung, che ancora oggi quella del bacio in Cina è considerata da molti un’effusione poco igienica.
Ma la globalizzazione, à§a va sans dire, non conosce frontiere e così anche il Bacio Perugina ha iniziato la sua marcia di conquista del più grande mercato del globo. Un’avanzata che, insieme all’espansione in Brasile, Stati Uniti, Canada e Australia, presenta ora il conto qui in Italia, per la precisione a San Sisto, una manciata di chilometri dal centro di Perugia: il rischio di 340 esuberi su un totale di 820 operai nella fabbrica storica della Perugina che dal 1988 è di proprietà del colosso Nestlè.
La vicenda squaderna tutte le facce della globalizzazione, trasformandosi in un paradigma che travalica le colline umbre: le strategie delle multinazionali e i relativi costi sociali.
L’emergenza lavoro e le difficoltà del sindacato. Un prodotto iconico del made in Italy. L’automazione dell’industria. Il ruolo della politica.
E un paradosso di fondo: come mai un piano industriale di sviluppo con 60 milioni di investimenti e che, a detta dell’azienda, procede spedito, fa vacillare centinaia di posti di lavoro?
“Perchè in realtà è un piano di crescita ma anche di trasformazione”, prova a spiegare il direttore delle relazioni industriali di Nestlè Italia, Gianluigi Toia. Senza convincere i sindacati che parlano di “voltafaccia”.
In campo è sceso anche il governo: “Abbiamo chiesto ad azienda e lavoratori di ridurre gli estremismi e di cercare una soluzione – dice la viceministra dello Sviluppo Economico, Teresa Bellanova – . Poi a fine settembre, al ministero, tireremo le fila. In ballo ci sono persone e famiglie, la storia e l’economia del territorio. Ma tutto non può rimanere com’è, anche perchè gli ammortizzatori usati fino ad oggi non ci saranno più”.
Gli ammortizzatori sociali, appunto, che sono al centro del caso Perugina, utilizzati da anni a copertura dei periodi di bassa attività della fabbrica per la stagionalità della produzione del cioccolato.
Ma che si esauriranno a giugno del prossimo anno, anche come effetto del Jobs act, mettendo a nudo i rischi occupazionali del piano Nestlè.
Il progetto della multinazionale, presentato nel marzo del 2016 con la condivisione dei sindacati, prevede 60 milioni di investimenti, quindici dei quali per la modernizzazione dello stabilimento di San Sisto e gli altri per sostenere la crescita sui mercati internazionali: perchè la Perugina, e in particolare il Bacio, dovrebbero ripetere il successo raggiunto dalla Nestlè con la valorizzazione del marchio dell’acqua S.Pellegrino, tra i simboli del made in Italy nel mondo (1,3 miliardi di pezzi venduti in 145 Paesi).
Nel primo anno tutto sembra andare a gonfie vele, anche i dati sulla crescita all’estero sono confortanti. Poi a giugno di quest’anno l’azienda – che nel frattempo ha dismesso le attività minori delle caramelle (anche la “mitica” Rossana) e della piccola pasticceria per concentrarsi sul business del cioccolato – annuncia che, “data l’impossibilità di fare ricorso agli ammortizzatori sociali, emerge l’esigenza di procedere ad un riequilibrio occupazionale che, ad oggi, stimiamo possa coinvolgere 340 addetti ai quali nei prossimi anni non sarà possibile assicurare la continuità occupazionale”.
Un fulmine a ciel sereno, accusano i sindacati: “Nel piano si parlava di collaborazione per evitare impatti sociali – dice Luca Turcheria, della Rsu – . Lo abbiamo condiviso perchè per la prima volta Nestlè ha investito sulla Perugina e perchè crediamo che l’internazionalizzazione del nostro cioccolato è davvero l’unica chance di crescita. Insomma, immaginavamo di dover gestire, al massimo, l’uscita fisiologica di meno di cento persone, mentre oggi ci ritroviamo con 340 esuberi su 800 dipendenti. È come raccontare che Cappuccetto Rosso si è mangiato il lupo…”.
E Michele Greco, segretario in Umbria della Flai-Cgil, ha una sua chiave di lettura: “Non vorrei che il nuovo management della Nestlè a livello globale, cambiato da poco, stia preparando un ridimensionamento del settore dolciario del gruppo nel mondo”.
Scenario respinto dal manager Gianluigi Toia: “Il piano Perugina è stato approvato dalla casa madre, va avanti. Capisco la reazione dei sindacati, forse pensavano che fosse più facile crescere nel mondo. Ma non è il momento di rimbalzarsi le responsabilità e di fissarsi su improbabili proroghe degli ammortizzatori: la ricetta è quella della mobilità interna al gruppo, degli incentivi, della formazione, del ricollocamento degli esuberi sul territorio”.
Quel territorio che ormai guarda quasi con rassegnazione i grandi capannoni di San Sisto. Come il simbolo di un passato felice.
“Si vuole solo ridurre la Perugina a un piccolo ramo periferico di una multinazionale lontana, con al massimo 600 dipendenti (prima di Nestlè erano 4000…). Sindacati, il destino è segnato grazie alle vostre firme”, ha scritto su un giornale locale Carla Spagnoli, rappresentante di Movimento per Perugia e pronipote di Luisa Spagnoli che, insieme al marito Annibale, a Francesco Buitoni e Leone Ascoli fondò a inizio secolo la fabbrica e ideò, nel 1922, il Bacio.
Nel museo della Perugina i documenti, le fotografie, i manifesti pubblicitari e i cimeli raccontano un pezzo di storia industriale e sociale del nostro Paese. Al di là dei pannelli la fabbrica, intanto, continua a sfornare senza sosta cioccolatini. Stefano Di Giulio, che è il direttore delle risorse umane, ci mostra le linee di produzione rinnovate con l’entusiasmo di un bambino davanti a un giocattolo appena scartato.
Gli operai lavorano avvolti nel profumo inebriante della cioccolata.
Sembra di essere in una favola. Sembra.
(da “La Stampa”)
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