CARLO FEDERICO GROSSO: RUBY, LE RAGIONI DI UNA SENTENZA PESANTE
IN PUNTA DI DIRITTO LA SPIEGAZIONE TECNICA ALLA BASE DELLA PESANTE CONDANNA DEL CAVALIERE
Con la sentenza Ruby i nodi, per Berlusconi, vengono finalmente al pettine.
E il Presidente, dopo una prima condanna a quattro anni di reclusione confermata in appello, è stato ieri condannato a sette anni dalla IV sezione del Tribunale di Milano.
Sentenza giusta? Sentenza ingiusta? Non mi si chieda, su tale profilo, una valutazione.
Non avendo studiato gli atti del processo, ma avendo soltanto letto le cronache giornalistiche, non sono in grado di formulare un giudizio che vada aldilà dell’impressione personale.
E sulle impressioni personali non è consentito esprimere giudizi o valutazioni.
Non sarebbe serio.
Piuttosto, mi sembra utile commentare, in punto di diritto, il ragionamento che, stando al dispositivo letto in aula ieri pomeriggio, devono avere fatto i giudici per giungere alla pesante condanna pronunciata
Nel dispositivo i giudici hanno innanzitutto scritto di ritenere «Berlusconi responsabile dei reati a lui ascritti»; qualificato quindi «il fatto di cui al capo “a” dell’imputazione come concussione per costrizione» (dando quindi al fatto «una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione», come consentito dalla legge), e «ritenuta la continuazione», lo hanno condannato «alla pena di anni sette di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali». Hanno infine soggiunto che «visti gli artt. 317 bis sulle pene accessorie, 29 e 32 del c. p. (rispettivamente in tema di interdizione dai pubblici uffici e di interdizione legale) », si dichiara l’imputato «interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, nonchè in stato di interdizione legale durante l’espiazione della pena».
Entrambi i profili così enunciati meritano una spiegazione tecnica.
Berlusconi era imputato di due reati: del delitto di concussione previsto dall’art. 317 c. p. per avere telefonato in Questura da Parigi la sera del fermo di Ruby pretendendo il suo rilascio (avvenuto secondo le modalità ormai ampiamente note), del delitto di prostituzione minorile nella forma meno grave prevista nel comma 2 dell’art. 600 bis c. p. («atti sessuali con un minore di età compresa fra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o altra utilità »).
Il Tribunale ha giudicato il Presidente responsabile di entrambi i reati.
Con riferimento alla concussione è interessante rilevare che il collegio ha ritenuto di dovere specificare di avere assegnato al fatto una definizione giuridica diversa da quella originaria, qualificandolo come «concussione per costrizione».
Questa precisazione è conseguenza della circostanza che, nelle more del processo, la disciplina del delitto di concussione (oggetto dell’imputazione originaria) è cambiata, in quanto la riforma Severino della corruzione ha«spacchettato» tale delitto in due diversi reati: la «concussione per costrizione», mantenuta nell’art 317 c. p. con pena invariata, e la «induzione a dare o promettere» (sostitutiva della originaria «concussione per induzione»), spostata in un articolo autonomo e considerata reato meno grave assimilabile alla corruzione piuttosto che alla concussione (tanto che è stata prevista anche la punibilità del soggetto «indotto»).
Il Tribunale avrebbe, a questo punto, potuto qualificare il fatto come concussione per costrizione, ovvero secondo la nuova, meno grave, configurazione di «induzione a dare o promettere».
L’avere optato per la prima configurazione significa, evidentemente, che ha ritenuto che nel comportamento dell’allora Presidente del Consiglio non fosse ravvisabile una mera«induzione», cioè una«spinta» più o meno forte della Questura ad agire in conformità ai propri desideri, bensì una pressione più intensa, qualificabile come una, sia pure implicita, minaccia.
Il che, sul terreno della ricostruzione del fatto, mi sembra alquanto significativo.
Ma non solo.
Nella configurazione giuridica del fatto come concussione per costrizione si ritrova anche la spiegazione della misura della pena concretamente inflitta.
La concussione per costrizione continua ad essere punita dal codice penale con la pena della reclusione da quattro a dodici anni.
Ebbene, a fronte di una pena edittale così elevata, sette anni di pena concretamente irrogata (che tiene oltre tutto conto anche della pena inflitta per la prostituzione minorile), appare assolutamente ragionevole, in linea con i criteri usualmente utilizzati nel commisurare in concreto la sanzione penale.
Come si è rilevato, il Tribunale ha altresì «ritenuto la continuazione» fra i due reati contestati (ha cioè ritenuto che essi sono stati commessi «in esecuzione di un medesimo disegno criminoso»). Il che, da unpuntodivistapratico, significache, anzichè sommare materialmente le pene previste per i due reati, il giudice ha determinato la pena per il reato più grave (la concussione), aumentandola di una mera percentuale in ragione del secondo reato.
A rigore, un vantaggio per il condannato.
Quanto, infine, all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici ed all’interdizione legale, vi è poco da discutere: si tratta di conseguenze che seguono ex lege alla condanna pronunciata: l’art. 317 bis c. p. dispone infatti che la condanna per il reato di cui all’art 317 c. p. comporta automaticamente l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (e l’art. 29 c. p. soggiunge che essa segue comunque di diritto ad ogni condanna non inferiore a cinque anni) ; l’art. 32 c. p. prevede a sua volta l’interdizione legale a chi è stato condannato per un tempo non inferiore a cinque anni.
Carlo Federico Grosso
(da “La Stampa“)
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