CARO MAHMOOD, RAGAZZO ITALIANO
VINCERE CON UNA CANZONE CHE S’INTITOLA “SOLDI”, IL VERO FETICCIO DELL’OCCIDENTE
No, caro Mahmood, non si fa. Non sta bene, vincere la cosa più inoffensiva del mondo (forse dopo il Premio Strega): il festival di Sanremo.
Il carrozzone musical-televisivo che ogni anno si prova a rinnovare, con le sue dirette monumentali, i suoi comici affaticati, la sua parata di ospiti, la sua scelta di canzoni che scontenta sempre qualcuno.
Caro Mahmood, ragazzo italiano. E che brutta cosa, doverlo precisare, come se significasse qualcosa.
Come se essere nato in Italia, parlare italiano, condividere con milioni di ragazzi italiani i gusti e le speranze significasse qualcosa di più, o di meno, rispetto alla tua canzone, alla tua musica che, a sorpresa, è piaciuta a tutti.
Oh, caro Mahmood, che ti doveva capitare: vincere il Festival di Sanremo con una canzone che s’intitola “Soldi” (il vero feticcio dell’Occidente tutto) ed è giusta giusta, tutta dentro i gusti della tua generazione.
Quella dei ragazzi europei, dei ragazzi del mondo che, da che mondo è mondo, si scambiano la musica, la fanno viaggiare da un capo all’altro della Terra, e la sai una cosa, Mahmood? La musica i confini li salta tutti.
Anzi, tu rappresenterai l’Italia — il tuo paese — all’Eurovision Song Contest, che è uno dei luoghi in cui ci si scambia la musica, si canta assieme, alla faccia delle frontiere, delle chiusure, dei muri che risorgono dopo tutta la fatica, e i secoli, che ci sono voluti per tirarli giù.
Eh, però, caro Mahmood, non si fa questo sgarbo, all’Europa miope e meschina dei sovranisti: essere un ragazzo italiano, europeo, del mondo, con la cittadinanza nel Libero Paese della Musica e della condivisione.
Accidenti a te, Mahmood, di madre italiana e padre egiziano, cresciuto in Italia e che di arabo sa poche parole, ma ne conserva tutto il gusto e l’affetto, perchè l’appartenenza è una cosa intima e non un’etichetta.
Accidenti a te, che sei l’esempio perfetto del mondo che verrà , che è già qui, e chi vuole negarlo o fermarlo, beh, poveretto, forse non ha abbastanza musica, nella sua vita.
(da “Huffingtonpost”)
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