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FACCIAMO CHIAREZZA SU “CHI HA DECISO COME SUDDIVIDERE I FONDI DEL RECOVERY PUND”

Dicembre 11th, 2020 Riccardo Fucile

LO SCHEMA DELLE BOZZE E’ ORIENTATO DAI PALETTI DELLA COMMISSIONE UE… CONTE SBAGLIA AD ACCENTRARE TUTTO SU DI SE’, MA RENZI HA TORTO A CRITICARE IL PIANO, I PAESI DEVONO OSSERVARE LE LINEE GUIDA DETTATE DA BRUXELLES, NON PUOI SPENDERE I SOLDI COME TI PARE

Definirle scelte obbligate forse è un eccesso. Ma di sicuro il margine di manovra del governo nel preparare la bozza del Piano nazionale per la ripresa e resilienza era molto limitato.
Le polemiche politiche di queste ore — Matteo Renzi nel suo discorso al Senato si è chiesto “chi abbia deciso” dove mettere le risorse — non tengono conto del fatto che tutti i Recovery plan devono rispettare i rigidi paletti fissati dalla Commissione europea.
Regole necessarie per assicurare che i 750 miliardi del Next generation Eu raggiungano gli obiettivi stabiliti da Bruxelles, a partire da lotta al cambiamento climatico e transizione digitale, a cui va destinata una quota ben precisa di fondi.
Non solo: ogni Paese è anche tenuto a proporre misure con cui “affrontare efficacemente” i punti deboli rilevati dal Consiglio nelle sue raccomandazioni specifiche pubblicate ogni anno.
Per l’Italia la lista è lunga: dalla lentezza della giustizia civile alla bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, passando per i risultati scolastici “tra i peggiori dell’Ue” e l’insufficiente offerta di asili nido.
Tutti problemi a cui (cercare di) rimediare con il Piano. Risultato: la quasi totalità  dell’ossatura della bozza era “già  scritta” o quasi.
Fuori dalle maglie restano solo i circa 13 miliardi dell’iniziativa React Eu, che il governo punta a usare per il taglio dei contributi per i lavoratori del Sud.
44 pagine di linee guida fissano i paletti
Le linee guida dello staff della Commissione sono state pubblicate lo scorso 17 settembre: 44 pagine ricche di esempi di “tipiche riforme e investimenti” ritenuti adeguati ai fini della transizione verde e delle altre priorità  dell’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen, che è stata tra i grandi sponsor del fondo straordinario per la ripresa post Covid finanziato — per la prima volta nella storia — con l’emissione di bond europei per centinaia di miliardi. “Gli Stati hanno bisogno di una guida chiara per assicurare che i 672 miliardi della Recovery facility (il “cuore” del Next generation Eu, ndr) siano investiti sia per la ripresa immediata sia per una crescita sostenibile e inclusiva di lungo termine“, ha spiegato la presidente durante la presentazione del documento. E il punto è proprio questo: quelli che arriveranno all’Italia, primo beneficiario del piano, non sono fondi “svincolati” e da usare a piacimento per i settori scelti dal governo. Servono per costruire l’Europa del post pandemia secondo un progetto di ampio respiro messo a punto a Bruxelles.
Quattro obiettivi: dalla coesione alla transizione digitale e green
Dopo aver ricordato che i Piani nazionali vanno presentati entro il 30 aprile 2021 e discussi informalmente “appena possibile” con la task force europea — l’Italia ha iniziato a farlo a metà  ottobre — le linee guida entrano nello specifico.
Mettendo nero su bianco i quattro obiettivi generali che gli Stati membri devono tenere presenti, indicando come il loro piano contribuirà  a raggiungerli: al primo posto c’è la promozione della coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione, seguita dal rafforzamento della resilienza economica e sociale, dalla mitigazione dell’impatto sociale ed economico della crisi e dal supporto alla transizione verde e digitale.
A prima vista le descrizioni sono vaghe, ma è solo l’inizio. Perchè il punto 4, sulla base di quanto deciso da Commissione e Consiglio nei mesi scorsi, ricorda che almeno il 37% delle risorse va speso per progetti “verdi”: per l’Italia significa almeno 72,5 miliardi. In più è richiesto “un livello minimo del 20% di spesa legato al digitale“: fanno altri 39 miliardi e passa. La bozza italiana rispetta l’indicazione e va un po’ oltre, visto che alla transizione green vanno stando alle tabelle 80 miliardi pari al 40,8% dei 196 miliardi che sono la cifra complessiva degli stanziamenti della Rrf per l’Italia (stima ancora provvisoria), mentre al digitale ne vengono assegnati 45 (23%). E così il 64% del totale è già  assegnato.
Le sette iniziative chiave a cui contribuire
Ma il “foglietto di istruzioni” di Bruxelles è solo all’inizio. Subito dopo i Paesi vengono “invitati a fornire informazioni su quali componenti del loro Recovery plan contribuiranno alle sette iniziative” definite “fiori all’occhiello europei”, che fanno parte della strategia annuale per la crescita sostenibile: si tratta di piani per l’accelerazione nell’uso delle energie rinnovabili, la riqualificazione degli edifici, la promozione di tecnologie per la mobilità  pulita, la diffusione di banda larga e 5G, la digitalizzazione della pubblica amministrazione, lo sviluppo di processori più efficienti insieme al raddoppio della percentuale di aziende che usano big data e servizi cloud avanzati, l’aumento delle competenze digitali e della formazione sul lavoro. Di qui la necessità  di un’infornata di progetti in queste aree.
Gli investimenti in infrastrutture? Solo se realizzabili entro il 2026
Quanto agli investimenti in infrastrutture, è lo stesso manuale europeo a specificare che il loro orizzonte temporale deve essere coerente con quello del piano europeo, che si esaurirà  nel 2026: dunque “gli Stati dovrebbero evitare investimenti la cui implementazione non può essere assicurata nell’arco di vita della Facility ed essere cauti nel considerare investimenti che richiederebbero impegni fiscali permanenti che richiederebbero economie di bilancio nei budget nazionali”.
Cosa che spiega la scelta di concentrarsi sul rafforzamento e l’estensione di alcune tratte ferroviarie e la realizzazione dell’alta velocità  al sud — che già  sarà  una sfida — e non aggiungere nel calderone altre grandi opere inventate ex novo.
Gli investimenti già  decisi saranno finanziati con i prestiti, riducendo così la necessità  di indebitarsi ulteriormente sul mercato, mentre le sovvenzioni a fondo perduto andranno a coprire le spese addizionali.
Le raccomandazioni Paese da seguire
Il quadro si completa con la richiesta che il Recovery plan affronti anche le sfide identificate delle raccomandazioni Paese che Bruxelles invia tutti gli anni. Le linee guida ne ricordano alcune che ritengono valide per tutti, tra cui le riforme per migliorare il cosiddetto “business environment” — la facilità  di fare impresa — e garantire l’efficacia della pubblica amministrazione. Aggiungendo le richieste specifiche fatte all’Italia, che nel 2019 e 2020 hanno riguardato tra il resto il coinvolgimento di giovani e donne nel mercato del lavoro, gli investimenti per migliorare i risultati scolastici, il rafforzamento delle competenze digitali e la riduzione della durata dei processi civili, il menù è completo.
Poche indicazioni sulla sanità 
La bozza italiana recepisce tutte le indicazioni ed è peraltro modellata sulle linee guida italiane scritte dal Comitato interministeriale affari europei, approvate in cdm e discusse in Parlamento a ottobre.
Per quanto riguarda uno degli aspetti più discussi, gli “scarsi” fondi alla sanità , va detto che quel comparto non è tra i punti principali del documento della Commissione visto che i Paesi, sulla carta, possono finanziarlo anche con le risorse del Mes.
Le linee guida si limitano dunque a consigliare che scuole e ospedali siano in cima alla lista degli edifici pubblici da riqualificare e modernizzare — e il Recovery italiano lo prevede — e come esempi di interventi per affrontare le vulnerabilità  dei sistemi sanitari cita il “miglioramento dell’accessibilità ” e il rafforzamento dell’assistenza di lungo termine. Il piano italiano, partendo dalle criticità  emerse durante la pandemia, punta su assistenza territoriale e digitalizzazione, capitolo che comprende la telemedicina per l’assistenza domiciliare ai pazienti anziani ma anche l’ampliamento dell’accesso dei laureati in medicina alle specializzazioni che sono risultate più scoperte, a partire da anestesia e terapia intensiva.
Obiettivi, tempi e risultati
Il piano vero e proprio, comunque, è ancora da scrivere: sarà  molto più dettagliato e, stando allo schema proposto dalla Commissione, dovrà  comprendere per ogni progetto specifici obiettivi descritti con numeri e dati, tappe da raggiungere strada facendo, risultati attesi in termini di impatto su quel settore. Ogni voce dovrà  essere accompagnata dalla spiegazione di cosa, come, entro quando si punta a realizzare, chi è responsabile di farlo, perchè è importante per il sistema Paese.
La precisione e la chiarezza saranno cruciali, visto che è sulla base dell’effettivo raggiungimento di ogni target nei tempi previsti che la Commissione darà  man mano il via libera al versamento dei fondi richiesti.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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GERMANIA, MERKEL PRONTA A UN LOCKDOWN TOTALE

Dicembre 8th, 2020 Riccardo Fucile

“QUESTE MISURE NON SONO SUFFICIENTI PER SUPERARE L’INVERNO”

Nonostante il numero di nuovi casi sia tra i più bassi d’Europa, la Germania vuole correre ai ripari. Dopo gli accorati appelli alla popolazione delle scorse settimane, un lockdown leggero che ha visto la chiusura di bar e ristoranti e negozi aperti con ingressi contingentati, Angela Merkel sarebbe pronta a misure più severe.
Secondo quanto riferito dal quotidiano tedesco Die Welt, durante la riunione con il suo gruppo parlamentare della Cdu, la cancelliera avrebbe annunciato di voler optare per nuove restrizioni: «La situazione sta diventando molto seria: queste misure non saranno sufficienti per superare l’inverno».
Merkel si sarebbe mostrata irritata anche dai piccoli assembramenti per il vin brulè a causa di stand improvvisati da molti ristoranti e locali tedeschi: «In questi giorni si parla troppo del vin brulè e troppo poco degli infermieri e del personale sanitario che si affatica nelle terapie intensive», ha affermato.
Il piano di Merkel sarebbe quello di imporre, a partire dal 27 dicembre, un lockdown totale per una o due settimane perchè, come sottolineato durante la riunione con i suoi parlamentari, «con la sola speranza non si va avanti».
Nell’ultima giornata, secondo i dati forniti dal Robert Koch Institute, la Germania ha registrato 12.332 contagi e 147 vittime. A preoccupare sono soprattutto le terapie intensive che da ottobre sono passate da 360 a più di 4mila posti occupati.

(da agenzie)

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I SINDACI DI VARSAVIA E BUDAPEST CONTRO I GOVERNI SOVRANISTI: “IRRESPONSABILE IL VETO DELLA UE”

Dicembre 8th, 2020 Riccardo Fucile

I DUE ESPONENTI DELLE OPPOSIZIONI: “DUDA E ORBAN IRRESPONSABILI A BLOCCARE IL RECOVERY FUND”

Voci di dissenso in Paesi nelle mani dei sovranisti: i sindaci dell’opposizione liberale di Varsavia e Budapest hanno denunciato oggi il veto “irresponsabile” al piano di ripresa europeo da parte dei governi polacco e ungherese, esortando Bruxelles a versare loro i fondi “direttamente”.
“Questi governi continuano ad essere irresponsabili opponendo il loro veto”, ha lamentato il sindaco di Varsavia rivolgendosi ai giornalisti durante una videoconferenza congiunta con l’omologo ungherese. “Se continua così, crediamo che l’Unione europea dovrebbe consentire agli amministratori locali di utilizzare direttamente una parte del denaro”, ha proseguito Rafal Trzaskowski.
L’opposizione attualmente guida le capitali sia della Polonia che dell’Ungheria, Paesi governati dai sovranisti. Dal 16 novembre questi ultimi hanno bloccato l’adozione del Recovery Fund, il piano di rilancio per reagire alla crisi del Covid dell’Ue da 750 miliardi di euro, rifiutando che il versamento dei fondi sia legato al rispetto dello Stato di diritto (giustizia indipendente, politica anticorruzione …). I 27 devono cercare di trovare una via d’uscita dalla crisi in un vertice europeo in programma giovedì e venerdì.
“Abbiamo scritto una lettera a tutti i leader delle istituzioni dell’Ue per affermare chiaramente la nostra posizione”, ha detto il sindaco di Varsavia, sconfitto a luglio alle elezioni presidenziali dal conservatore uscente Andrzej Duda.
“Dobbiamo tutti rispettare lo Stato di diritto, è della massima importanza, è essenziale per la nostra coesione”, ha aggiunto a nome della principale forza di opposizione polacca.
“Rappresentiamo milioni di cittadini e siamo legati all’Europa oltre che alle istituzioni europee”, ha affermato da parte sua il sindaco di Budapest, Gergely Karacsony, precisando di parlare insieme all’omologo di Varsavia a nome delle 249 autorità  locali di opposizione in entrambi i Paesi.
L’anno scorso lo stesso Karacsony ha denunciato l’arricchimento degli “oligarchi amici del governo” grazie alla distribuzione del denaro europeo.
Nel 2019 Budapest, Varsavia, Praga e Bratislava hanno concluso un “patto di città  libere” per offrire un’alternativa al “populismo” dei loro governi nazionali e per rafforzare i legami con l’Europa. L’alleanza liberale spera di poter dialogare direttamente con le autorità  di Bruxelles per ottenere fondi europei per le grandi città , aggirando le amministrazioni centrali.

(da Globalist)

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ORBAN SOTTO ATTACCO NEL SUO PARLAMENTO: “SBLOCCA IL RECOVERY FUND”

Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile

ULTIMATUM DALL’UNIONE EUROPEA… “IL VETO SERVE SOLO ALLE FINANZE DI ORBAN, DELLA SUA FAMIGLIA E DEI SUOI AMICI”

“Orban ha avviato i preparativi per portare l’Ungheria fuori dall’Ue”. A dirlo non è George Soros o uno dei partiti della sparuta opposizione di sinistra in Ungheria.
Bensì Pèter Jakab, leader di Jobbik, partito nazionalista ungherese, il secondo gruppo parlamentare a Budapest dopo Fidesz. Solo 17 deputati contro i 117 del partito di Viktor Orban, ma oggi Jakab non era da solo contro il premier nell’incontro a porte chiuse in Parlamento in vista del Consiglio europeo di giovedì.
Jobbik e tutti gli altri partiti di opposizione hanno chiesto a Orban di togliere il veto sul recovery fund, raccontano i siti ungheresi. Il capo del governo insiste sulla sua linea ma a sera scatta una nuova videochiamata con il ‘partner di veto’ Mateusz Morawiecki, premier della Polonia.
Da Bruxelles la pressione è fortissima sui due paesi dell’est che stanno bloccando il pacchetto di 750 miliardi di aiuti anti-crisi e anche il bilancio pluriennale europeo da 1800 miliardi di euro.
Da Berlino la presidenza tedesca dell’Ue, di turno fino a fine dicembre, ha fatto recapitare a Budapest e a Varsavia l’ultimatum: entro mercoledì devono dare la loro ultima parola. E se continuerà  a essere ‘veto’, allora gli altri 25 Stati europei andranno avanti da soli: il recovery fund potrebbe a questo punto diventare un accordo intergovernativo a cooperazione rafforzata o un fondo sul modello del programma ‘Sure’, elaborato dalla Commissione per sostenere le spese di disoccupazione per covid.
La scelta di mettere il veto, per protesta contro le condizioni che legano l’erogazione dei fonti Ue al rispetto dello stato di diritto, sta provocando tensioni nel governo polacco.
Il vicepremier Jaroslaw Gowin non è esattamente sulla stessa linea di Morawiecki e la scorsa settimana ha lasciato intravedere uno spiraglio. Vale a dire la possibilità  di chiudere un’intesa con gli altri leader europei sulla base di una dichiarazione politica che sancisca il rispetto della sovranità  di tutti gli Stati membri.
Del resto, la Polonia è terza nella classifica della ripartizione dei soldi del recovery fund, subito dopo Italia e Spagna, con oltre 60 miliardi di euro. Perderli sarebbe un peccato.
È uno dei motivi per cui negli ambienti diplomatici di Bruxelles si considera la posizione della Polonia meno granitica di quella ungherese. Se la coppia ‘Orban-Morawiecki’ dovesse scoppiare, Budapest potrebbe avere maggiori difficoltà  a isolarsi sul no.
Ma Orban per ora non cede. Nel parlamento ungherese il premier però finisce sotto attacco, pur saldo nella solida maggioranza di Fidesz naturalmente. Ma è un fatto che tutti gli altri partiti, di destra e sinistra, gli chiedano di ritirare il veto.
“Orban vuole paralizzare l’Europa anche se questo finisce per uccidere gli ungheresi”, attacca Jakab, convinto che invece il recovery fund possa tirare fuori il paese dalla crisi.
Del resto, sui criteri di ripartizione anche l’Ungheria è messa bene: ha la quota di fondi più alta pro-capite, in totale oltre 15 miliardi di euro per nemmeno 10 milioni di abitanti. “Il veto costerebbe 250mila fiorini a ogni ungherese”, secondo i calcoli di Tà­mea Szabà³ del partito ambientalista ‘Pà¡rbeszèd’.
“Il veto serve solo alla sicurezza finanziaria del primo ministro, della sua famiglia e dei suoi amici”, attacca il socialista Bertalan Tà³th.
“Il premier ha dichiarato guerra, ma la guerra avrà  solo degli sconfitti”, dice Erzsèbet Schmuck, di Lmp, i Verdi ungheresi.
“Orban è troppo debole per fare del male all’Europa col veto, ma il veto può causare seri danni all’Ungheria”, dice il Democratico Là¡szlà³ Varju che chiede al governo di usare solo vaccini ‘fidati’.
La replica di Fidesz è sempre la stessa: “Siete al servizio di Soros e di Bruxelles che favorisce l’immigrazione”.

(da “Huffingtonpost”)

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RECOVERY FUND, COME FUNZIONANO LE CABINE DI REGIA DI FRANCIA E SPAGNA PER LA GESTIONE DEI FINANZIAMENTI

Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile

LE DIFFERENZE RISPETTO ALL’ITALIA: LA GESTIONE AFFIDATA A STRUTTURE GOVERNATIVE

Tra il dire e il fare c’è di mezzo…la task force. Capire come incanalare i fiumi di denaro che arriveranno se e quando sarà  effettivamente operativo il Recovery fund europeo da 750 miliardi di euro, è una sfida con cui si stanno confrontando tutte le capitali Ue, soprattutto quelle più a Sud.
Lo scorso agosto si è insediata la Recovery and resilience task force, un’articolazione della Commissione europea che ha il compito di supportare gli Stati membri nell’elaborazione dei rispettivi piani che attingeranno ai fondi europei. Sarà  quindi l’ interlocutore dei governi nel confronto sulle misure da adottare in ciascun Paese e avrà  il compito di monitorare l’effettiva attuazione dei piani.
La task force lavorerà  con la Dg Ecfin, che fa capo al commissario Paolo Gentiloni, ma risponderà  direttamente alla presidente Ursula von der Leyen. Se tutto fila liscio, e non è detto visto la posizione assunta da Polonia e Ungheria, i primi fondi potrebbero arrivare agli stati all’inizio della prossima estate.
Fino allo scorso settembre quasi tutti i paesi erano ancora fermi alla casella di partenza. “In diversi Stati membri il problema principale — aveva affermato un funzionario europeo — è mettere in piedi una struttura interna che gestisca il piano, dotata di personale e competenze adeguate e con la necessaria copertura politica». Negli ultimi due mesi però qualcosa si è mosso.
Come è noto all’Italia, principale beneficiaria, almeno come valori assoluti, vengono messi a disposizione poco più di 200 miliardi, di cui però “solo” 80 sono trasferimenti, il resto prestiti.
Il governo ha per ora immaginato una task force composta da sei manager coadiuvati da ben 100 tecnici, anche se sembra che nelle ultime ore si stia pensando ad una struttura più snella.
Le risorse dovrebbero essere concentrate su una selezione di 60 progetti. Oggi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha spiegato che “c’è un percorso veloce e cristallino per valorizzare al massimo quella che per l’Italia è una occasione storica, con 209 miliardi che devono cambiare le nostre vite”.
E gli altri cosa fanno?
I due paesi più direttamente confrontabili con l’Italia, per dimensioni dell’economia ed entità  delle somme da gestire, sono Francia e Spagna. Madrid ha a disposizione circa 140 miliardi di euro, 73 miliardi sotto forma di trasferimenti e 66 come prestiti.
Il governo, per ora incerto se ricorrere anche ai prestiti, ha indicato alcune priorità  di destinazione dei fondi. Le voci sono investimenti per la conversione verde delle attività  produttive, per la digitalizzazione dell’economia, per nuove infrastrutture di trasporto e per promuovere la ricerca tecnologica.
Dopo un dibattito piuttosto acceso, Madrid ha deciso che la gestione dei fondi sarà  affidata unicamente al governo, senza il supporto di soggetti esterni. Nella cabina di regia entrerà  quindi un gruppo di ministri, sotto la guida del primo ministro Pedro Sanchez.
La Francia dovrebbe ottenere da Bruxelles fino a 50miliardi di euro di trasferimenti. Non avrà  invece accesso ai prestiti, anche perchè Parigi ai tassi con cui si finanzia oggi sui mercati (negativi anche sulle lunghe scadenze) non avrebbe nessuna convenienza a riceverli. Il paese sembra essere quello dove lo stato dei lavori è più avanzato.
A settembre è stato presentato il piano “France Relance” da 100 miliardi di euro, che incorpora i fondi in arrivo da Bruxelles.
Il piano è molto focalizzato sulle imprese e per questo ha già  ricevuto critiche nel paese. Venti miliardi sono infatti destinati alla riduzione delle tasse sulle aziende e altri 35 ad investimenti in competitività  ed innovazione.
Contestualmente alla messa a punto del piano è stato creato il commissariato al Piano per gestirne l’attuazione. A capo della struttura c’è Franà§ois Bayrou, politico, ex ministro dell’Istruzione e della Giustizia che riferirà  direttamente al governo e, in particolare, al ministro dell’Economia Bruno Le Maire.
Come in Spagna quindi la gestione del piano avviene all’interno dell’esecutivo, anche se Bayrou sarà  naturalmente affiancato da tecnici. Va detto che questa struttura era già  rodata: il commissariato risorge dopo essere andato “in pensione” nel 2006 e aver operato per oltre 4o anni.
In Germania, invece, la discussione sugli aiuti che arriveranno dall’Europa è molto meno sentita. Berlino infatti dovrebbe ricevere circa 23 miliardi di euro di trasferimenti. Briciole rispetto al Konjunkturpaket da 130 miliardi che il governo di Angela Merkel ha approvato lo scorso giugno per aiutare famiglie, imprese ed enti locali.
La manovra per il 2021 presentata dal ministro delle Finanze Olaf Scholz (Spd) prevede altri debiti per 96 miliardi di euro.
In pratica, il pacchetto che il governo ha approvato nel giugno scorso è un Recovery plan interno, finanziato autonomamente, che ha puntato su 50 misure per uscire dalle crisi. Ora Berlino dovrà  decidere quali di queste finanziare con i soldi europei.

(da “IL Fatto Quotidiano”)

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LA UE PUNTA ANCORA SU CONTE PER LA STABILITA’

Dicembre 4th, 2020 Riccardo Fucile

NON VEDONO ALTERNATIVE CREDIBILI… ORA SI ATTENDONO LE RISPOSTE SUL RECOVERY FUND

L’eco delle fibrillazioni di maggioranza è arrivata anche a Bruxelles e nelle cancellerie europee. Accade sempre per ogni paese membro, ma in particolar modo accade adesso con un’Italia che concentra su di sè un surplus di attenzione: è destinataria della parte più cospicua del recovery fund, ben 209 miliardi di euro.
Ma è proprio quest’ultimo elemento, centrale in epoca di pandemia, a rafforzare la propensione naturale delle cancellerie europee per la stabilità  di governo. Malgrado le fibrillazioni, anche da Bruxelles non si vede un’alternativa pronta per un altro esecutivo in Italia.
Soprattutto a partire dalla crisi economica del 2008, a Bruxelles si tende ad escludere il vuoto di potere negli Stati membri.
Scriverne non è eresia ma realtà  di una Unione che, sebbene sia ancora fatta di sovranità  nazionali, è così interconnessa da aver introdotto ‘de facto’ un meccanismo di sfiducia costruttiva nei paesi che la compongono.
Se un governo arriva alla fine, è perchè in qualche modo è pronto il sostituto (accadde nel 2011 nel passaggio da Berlusconi a Monti o nel passaggio dal Conte 1 al Conte 2 l’anno scorso) oppure ci sono le elezioni (di solito a fine legislatura).
A quanto confidano fonti Ue a taccuini ovviamente chiusi, nessuno dei due casi si avvicina alla situazione odierna in Italia.
Malgrado la trepidante attesa europea di conoscere come il governo di Roma gestirà  il recovery fund, Giuseppe Conte ha ancora quella ‘copertura’ continentale per stare al governo.
Certo le aspettative sono pressanti: la dotazione di 209 miliardi di euro fa della mission italiana una sorta di ‘test pilota’ valido per tutta l’Ue sulla capacità  di riagganciare la ripresa dopo la crisi del covid. Ma prima di cambiare cavallo, in Europa vogliono intravedere l’alternativa.
E’ per questi meccanismi che spesso da Bruxelles si intravedono le mosse politiche che poi avvengono in Italia.
A luglio dello scorso anno, la scelta della Lega di sfilarsi dal voto dell’Europarlamento su Ursula von der Leyen presidente della Commissione europea e la decisione opposta degli eletti cinquestelle di appoggiare questa nomina, lasciarono chiaramente intendere che il legame di governo tra i due partner politici si era rotto.
Di lì a un mese, i noti accadimenti italiani e la nascita del governo Pd-M5s. Conte uscì di nuovo premier dal G7 di Biarritz a fine agosto, dove fece il pieno dei sostegni internazionali a partire da quello di Donald Trump.
Oggi in Europa ci sono quattro eurodeputati che si sono dimessi dal Movimento per aderire ai Verdi europei. La cosa stra provocando scontri interni al calor bianco: da Roma, i vertici del M5s chiedono ai quattro fuoriusciti di dimettersi anche dalla carica di eurodeputati.
Ma tutto questo non è la miccia di deflagrazione dell’alleanza di governo. Agli scontenti del sì pentastellato sulla riforma del Mes, ci pensa Beppe Grillo: “Non vi incaponite, la Mes è finita”. Per dire: abbiamo dovuto tenere ‘contenta’ l’Europa sul sì alla riforma del Salva Stati che però non useremo mai, state tranquilli, il fondatore dà  la sua parola.
E in effetti sul Mes le istituzioni europee sono abbastanza soddisfatte del risultato. Dopo un anno di attesa, hanno ottenuto il sostegno italiano, sempre promesso dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, infine maturato nel difficile rapporto tra i due partner di maggioranza Pd e M5s.
Al momento, l’interesse principale di Bruxelles e delle cancellerie europee non è sull’uso della linea di credito istituita per la pandemia all’interno del Salva Stati.
Su questo anche lo stesso direttore del Mes, il tedesco Klaus Regling, ammette: “Per la crisi del covid, l’Europa ha messo in campo anche altri strumenti finanziari”.
Normale, insomma, che il Mes finisca in un ruolo marginale, anche perchè — sebbene Regling non la metta così, ma altri osservatori sì, a partire dall’istituto Jacques Delors di Parigi – la crisi del debito greca ha in qualche modo insegnato agli Stati a starci lontani.
In Europa adesso sono tutti concentrati sulla riuscita del recovery fund. A partire dal suo lancio effettivo: tanto che, confermano fonti europee ancora oggi, l’idea di andare avanti a 25, se non si riuscirà  a convincere Ungheria e Polonia, è sempre più realistica. Tutto pur di mandare avanti un piano che, nel bel mezzo di una seconda ondata di contagi che nessun paese europeo riesce a domare, è davvero l’unico fiore all’occhiello di cui l’Ue possa andare fiera in questi tempi complicati.
Viene da qui l’attenzione che si riversa sull’Italia, con il suo bottino di 209 miliardi di euro e la responsabilità  di fare bene per tutta l’Europa. Prima di tifare Conte o chi per lui, gli altri partner europei, a cominciare dai maggiori Germania e Francia, tifano stabilità . Dal loro punto di vista, è il bene più prezioso, soprattutto oggi che c’è da mettersi al lavoro per uscire dalla crisi e dalla pandemia.
A pochi giorni dal voto sull’informativa del premier in Parlamento, alla vigilia del Consiglio europeo di giovedì prossimo, anche il capo dello Stato Sergio Mattarella avverte che in caso di crisi si va al voto, rispecchiando la premura europea per la stabilità  in un paese, l’Italia, da sempre osservato speciale proprio per le sue fibrillazioni perenni.

(da “Huffingtonpost”)

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LA UE AGGIRA IL VETO DI UNGHERIA E POLONIA SUL RECOVERY: “NON POSSONO IMPEDIRCI DI AIUTARE I NOSTRI CITTADINI, FAREMO SENZA DI LORO”

Dicembre 4th, 2020 Riccardo Fucile

“I SOLDI A LORO DESTINATI SARANNO REDISTRIBUITI TRA GLI ALTRI PAESI BENEFICIARI E NON AVRANNO NEANCHE I FONDI DI COESIONE”

Possiamo accettare il Next Generation Eu e il Bilancio europeo 2021-2027 se “per il momento mettiamo da parte le regole sullo stato di diritto”. Viktor Orbà n non cede di un centimetro, il premier illiberale di Budapest in vista del summit Ue di giovedì prossimo non toglie il veto, posto insieme al collega polacco Mateusz Morawiecki, al pacchetto europeo per la ripresa da 1.800 miliardi.
L’autocrate ungherese boccia ancora la strada sulla quale lavorano i partner per rassicurare il suo Paese e la Polonia, ovvero un testo allegato alle conclusioni del summit che assicura la non arbitrarietà  nell’utilizzo delle norme sulla legalità  grazie al ruolo della Corte di giustizia.
Nel corso di una conferenza stampa sul suo primo anno di mandato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha commentato: “Siamo in difficoltà  senza dubbio, abbiamo un ostacolo che va trattato, ma siamo ancora nel mezzo del negoziato e resto ottimista, spero che si risolva nei prossimi giorni”.
Tuttavia l’ex premier belga, parlando a nome degli altri 25 partner, ha fatto muro sulla richiesta di eliminare le regole che vincolano l’esborso dei fondi europei al rispetto della legalità : “Lo Stato di diritto è una questione fondamentale al centro del progetto Ue, non può essere usato in modo arbitrario, perchè la legge è il contrario dell’arbitrarietà “.
Intanto il commissario europeo al Bilancio, Johannes Hahn, parlando al Financial Times afferma che Ungheria e Polonia “non possono impedirci di aiutare i nostri cittadini” con i fondi della ripresa e dunque conferma che Bruxelles prepara una soluzione per circumnavigare il doppio veto: “Stiamo lavorando alle alternative”.
A Ungheria e Polonia “dev’essere chiaro che non ci arrenderemo a questo veto” e, se non dovesse esserci un accordo su Recovery Fund e bilancio Ue “andremo avanti senza di loro”: ha ribadito il commissario Ue per l’Economia Paolo Gentiloni, alla Conferenza Rome Med-Mediterranean Dialogues, promossa dal ministero degli Esteri e dall’Ispi.
“Non abbiamo molto tempo” per raggiungere l’intesa e “il momento giusto è la prossima settimana al Consiglio europeo”, ha sottolineato   dicendosi “personalmente preoccupato, ma fiducioso che alla fine supereremo questo veto”. “Lo Stato di diritto non è un’opzione in Ue”, ha aggiunto.
Insomma, conferma che se al summit del 10 e 11 dicembre Orbà n e Morawiecki non rientreranno nei ranghi, il Recovery Fund partirà  a 25.
A Bruxelles si ragione su uno strumento comunitario simile a Sure, il fondo da 100 miliardi lanciato da Paolo Gentiloni per sostenere gli ammortizzatori sociali in piena crisi da pandemia che è gestito dalla Commissione ed emette eurobond grazie alle garanzie dei governi nazionali (che sostituirebbero quelle del Bilancio Ue — anch’esso bloccato dai ribelli dell’Est – per il Recovery). Visto che Polonia e Ungheria non parteciperanno, con ogni probabilità  i fondi loro destinati verranno redistribuiti tra gli altri beneficiari.
Inoltre visto che anche il budget settennale dell’Unione è bloccato, Bruxelles si prepara ad andare a esercizio provvisorio, i cosiddetti dodicesimi, con i finanziamenti che andranno riallocati da zero (mentre il Bilancio ha già  l’indicazione dei programmi e delle quote per stati): in tal caso, i partner sono convinti a tagliar fuori Polonia e Ungheria, che così oltre ai soldi del Recovery perderebbero i generosissimi fondi di coesione stanziati in loro favore.
I due subirebbero anche conseguenze politiche, come la probabile espulsione di Fidesz — il partito di Orbà¡n — dal Ppe, collocazione che fino ad oggi ha giocato il ruolo di assicurazione sulla vita politica del premier ungherese. Inoltre Budapest e Varsavia finirebbero ai margini del progetto europeo e nessuno potrebbe più scommettere su una loro permanenza nella Ue nel medio termine.

(da agenzie)

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WEBER, PORTAVOCE DEL PPE IN EUROPA: “BASTA PAROLE, E’ ORA DI AGIRE, FUORI ORBAN DAL PPE”

Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile

“LA DECISIONE ERA PREVISTA PER SETTEMBRE, ORA SI AGISCA”

Più volte tirato in ballo negli ultimi giorni dall’ala più liberale del partito, oggi anche il portavoce del gruppo Ppe al Parlamento europeo, Manfred Weber, si è esposto sul tema che ha di nuovo scatenato la guerra interna alla famiglia più rappresentata in Unione europea: l’espulsione di Fidesz, il partito del primo ministro ungherese Viktor Orban, dal Partito Popolare Europeo.
Parlando in videoconferenza con la stampa estera in Germania, il politico bavarese ha detto che “il tempo delle parole è finito, adesso è il momento di agire”.
Ai giornalisti Weber ha ricordato che come presidente del gruppo parlamentare del Ppe si è assicurato che la sospensione di Fidesz dalla formazione, avvenuta a marzo 2019, fosse effettiva: “È stato un segnale forte — ha dichiarato — Adesso Fidesz non è più rappresentata negli organi dei gruppi parlamentari”.
E ha poi colpito duramente i membri ungherese non nascondendo la sua posizione: “Purtroppo, a causa del coronavirus, a settembre non è stato possibile escludere Fidesz“.
La tempistica per prendere questa decisione è nelle mani del presidente del partito Donald Tusk, ma da statuto il voto all’assemblea del partito può avvenire solo in presenza, mentre a causa della pandemia gli incontri si stanno tenendo sempre da remoto.
Così i parlamentari che mirano alla cacciata di Orban hanno deciso di organizzare una raccolta firme per l’espulsione di Tamà¡s Deutsch, capo della delegazione ungherese colpevole di aver paragonato la clausola sullo Stato di diritto, sulla quale la maggior parte del partito è d’accordo, alla repressione nazista e comunista.
Una mossa che, se dovesse ottenere i risultati sperati dall’ala più liberale, secondo fonti interne convincerebbe lo stesso Orban ad abbandonare sia il Ppe che il relativo gruppo all’Europarlamento prima ancora di un voto sull’espulsione del partito.
Weber, però, non motiva la sua posizione con la questione Deutsch o con il recente scandalo sessuale che ha colpito l’ormai ex eurodeputato di Fidesz, Jà³zsef Szà¡jer. Bensì, il ragionamento del leader tedesco si rifà  all’impasse che si è venuta a creare in sede di Consiglio Ue, con Orban e il premier polacco, Mateusz Morawiecki, che hanno optato per la strategia dell’ostruzionismo sul Recovery Fund a causa della condizionalità  legata allo Stato di diritto per l’erogazione dei fondi europei: se non ci sarà  un soluzione nelle prossime ore o nei prossimi giorni, ha spiegato, “ciò avrà  un impatto enorme sulla fine definitiva dell’adesione”.
Sul bilancio dell’Ue, il portavoce del gruppo si è detto favorevole al fatto che tutti i Paesi arrivino insieme ad un accordo, “ma i colloqui stanno già  iniziando su posizioni di ripiego. Cosa fare se non si riesce a raggiungere un accordo?”. Con l’aiuto della “cooperazione rafforzata” di un gruppo di Stati dell’Ue, ha aggiunto, è legalmente possibile per gli altri Paesi decidere in merito agli aiuti per il Covid anche senza Ungheria e Polonia.
“Allora anche i fondi regionali, dai quali i due Paesi traggono grandi benefici, non andrebbero a Budapest e Varsavia”, ha avvertito. “Stiamo giocando con il fuoco”, per questo ha auspicato una depoliticizzazione del dibattito e lo stop alle azioni della Polonia e dell’Ungheria, da lui ritenute irresponsabili. Se il primo ministro ungherese Orban pensa che il compromesso negoziato non sia basato sul Trattato di Lisbona, ha concluso, c’è una sede nella quale ciò può essere chiarito: “La Corte di Giustizia europea, non con il veto”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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IL PIANO DELLA MERKEL: RECOVERY FUND SENZA UNGHERIA E POLONIA

Dicembre 3rd, 2020 Riccardo Fucile

LA CANCELLIERA PRONTA ALLO STRAPPO: I DUE PAESI PERDEREBBERO MOLTI SOLDI

“E’ necessario che tutte le parti scendano ad un compromesso” sul bilancio Ue e il Recovery Fund, altrimenti l’accordo “non funzionerà ”, avverte Angela Merkel alla videoconferenza delle commissioni per gli affari Ue dei Parlamenti nazionali europei. Soprattutto, confermano diverse fonti europee ad Huffpost, la cancelliera non vuole uscire a mani vuote dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre, l’ultimo della presidenza tedesca di turno dell’Ue.
Vuole portare a casa il recovery fund, a tutti i costi. Anche nel caso in cui dovesse essere costretta a usare l’arma più estrema. Cioè trasformare il recovery fund in un accordo intergovernativo a 25 senza Ungheria e Polonia.
La presidenza tedesca sta lavorando anche a questa possibilità . Perchè finora non ci sono spiragli nella trattativa con i governi di Budapest e Varsavia, scontenti per il meccanismo che lega l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto.
Per questo hanno deciso di sollevare i veti che bloccano il recovery fund. E ora la mediazione è in alto mare. Nè si prevede una soluzione prima del summit dei 27 leader europei giovedì prossimo a Bruxelles. La materia sarà  sviscerata in quella sede. Ecco perchè si cerca di arrivarci con un piano.
A Bruxelles anche la Commissione europea sta lavorando ad un carnet di ipotesi. L’obiettivo è sempre quello di salvare il Next Generation Eu, lo strumento economico deciso dall’Ue quest’estate per combattere la crisi causata dal covid, 750 miliardi di euro da raccogliere sui mercati attraverso l’emissione di bond comuni della stessa Commissione.
E tra le ipotesi sulle scrivanie di Palazzo Berlaymont c’è anche quella di trasformare il recovery fund in un accordo intergovernativo a 25, senza Ungheria e Polonia che naturalmente verrebbero tagliate fuori dai nuovi fondi.
Non si tratta di una soluzione a costo zero. In questo caso, l’Europarlamento non potrebbe approvare il nuovo bilancio europeo, perdendone la potenza di fuoco di oltre 1800 miliardi. L’Unione andrebbe in esercizio provvisorio.
Significa non poter far partire i nuovi progetti, poter sfruttare solo quelli già  finanziati, usando solo un dodicesimo al mese del vecchio bilancio. Ma la soluzione potrebbe far paura a Ungheria e Polonia che subirebbero tagli ai fondi di coesione, quelli cui tengono di più.
“Dovremo lavorare fino all’ultimo giorno” per arrivare a un accordo, dice Merkel lasciando intendere che per lei il dado ancora non è tratto. Negli ambienti europei si continua a sperare che Ungheria e Polonia mollino la presa. Sembrano in trappola, ma non danno segnali di cedimento.
Nemmeno il danno di immagine dopo il coinvolgimento di un suo fedelissimo, l’eurodeputato ungherese Jozsef Szajer, nell’orgia interrotta dalla polizia a Bruxelles, sembra scalfire Viktor Orban. E dunque, accenna la cancelliera, inserire il Recovery fund nel pacchetto di bilancio si sta rivelando “difficile quanto far quadrare un cerchio”. La nuova corsa a 25 è quasi ai nastri di partenza.

(da “Huffingotonpost”)

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