Settembre 13th, 2019 Riccardo Fucile
LA CONFERMA DEL MINISTRO DEGLI INTERNI SEEHOFER: “PRENDEREMO IL 25%, ALTRETTANTO FARA’ LA FRANCIA, QUOTE MINORI IN ALTRI PAESI”
Il ministro dell’Interno tedesco, Horst Seehofer, ha confermato che c’è accordo affinchè la
Germania accolga un quarto dei migranti che entrano in Italia dopo un salvataggio in mare.
Lo riferisce il sito del quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung sottolineando che anche la Francia prenderà un 25% di questi migranti.
“I colloqui sono ancora in corso. Ma se rimane come concordato, possiamo prendere il 25% delle persone salvate in mare davanti all’Italia”, ha detto Seehofer al quotidiano bavarese.
“Ciò non sovraccaricherà la nostra politica migratoria”, ha detto l’esponente dell’ala destra bavarese (Csu) del partito della cancelliera Angela Merkel.
Per Berlino “non cambia niente”, ha sostenuto Seehofer come riferisce il sito della Sueddetsche Zeitung (Sz) ricordando che, secondo dati del ministero dell’Interno, negli ultimi 12 mesi sono arrivati in Germania 561 migranti salvati in mare in Italia.
Francia, Germania e Italia, all’incontro dei ministri dell’Interno dell’Ue in programma a Malta il 23 settembre, vogliono fissare quote sulla ripartizione di migranti, ricorda la Sz sostenendo che anche Parigi sarebbe disposta ad accoglierne un 25%.
“L’aspettativa è che altri Stati si aggreghino”, ha detto Seehofer riferendosi all’intesa che andrà poi ratificata nel Consiglio Ue di ottobre. “Ho sempre detto che la nostra politica migratoria è anche umana. Non faremo annegare nessuno”, ha detto il ministro il quale ha constatato che non ci sono Paesi nordafricani disposti ad attuare una sua proposta di esame del diritto di asilo dei migranti sulla sponda sud del Mediterraneo.
Intanto il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, fa un appello sul Trattato di Dublino: “Una riforma del trattato di Dublino – afferma – è una riforma importante per fare una politica europea che affronti la questione dell’immigrazione. Si rimbocchino le maniche e si discuta di questa riforma in Consiglio, la mettano in agenda”.
Nel frattempo l’Ocean Viking, la nave con a bordo 82 migranti, rimane in mare. Sulla questione arriva la critica del dem Matteo Orfini: “Per la cronaca: in attesa dell’accordo sulla redistribuzione, la Ocean Viking resta in mare senza l’assegnazione di un porto sicuro. Esattamente come accadeva con Salvini ministro. Così davvero non va bene. Anzi: così è una vergogna”.
(da Open)
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Settembre 11th, 2019 Riccardo Fucile
SARA’ UFFICIALIZZATO IL 23 SETTEMBRE A LA VALLETTA: 25% DEI PROFUGHI SARANNO AUTOMATICAMENTE PRESI IN CARICO DALLA GERMANIA, UN ALTRO 25% DALLA FRANCIA… ALTRI PAESI QUOTE MINORI, COMPRESI QUELLI CHE ARRIVANO CON MEZZI PROPRI
Si chiama «Temporary predictive riallocation program», ovvero “Programma temporaneo e
predefinito per le riallocazioni” e dovrà essere ufficialmente sottoscritto il 23 settembre a La Valletta tra Italia, Malta, Germania e Francia.
Francesco Grignetti su La Stampa racconta oggi che è parte di una trattativa segreta partita il 18 luglio a Helsinki
Oggi sarà Giuseppe Conte a parlarne a Bruxelles con Ursula Von der Leyen prima dell’ufficializzazione, che dovrebbe avvenire tra 15 giorni al vertice dei ministri dell’Interno e della Giustizia che si terrà in Lussemburgo.
Il patto segreto sui migranti si basa su questi assunti:
Il punto su cui i quattro governi hanno negoziato è un meccanismo automatico, per quote prefissate, che approfitta di un cavillo nel Regolamento di Dublino.
E allora: quando ci sarà la prossima emergenza con una nave umanitaria, i Paesi di bandiera chiederanno a Italia e Malta di fornire i loro porti come «punti sicuri di sbarco», senza che per questo italiani e maltesi dovranno farsi carico di tutto quel che segue.Il porto sarà indicato e seguirà una prima accoglienza, ma con l’accordo che nel giro di un mese, tassativamente, tutti gli sbarcati siano accolti altrove.
Per il momento, sia il governo francese, sia quello tedesco si sono impegnati a prendersi il 25% degli sbarcati. Ma per Italia e Malta non è ancora sufficiente. E perciò il programma non dovrebbe essere operativo fin tanto che il 100% degli sbarcati non avrà una destinazione sicura.
L’impegno alla ricollocazione per percentuali prefissate si basa chiaramente sull’esperienza di questo ultimo anno — anche ieri, grazie alla regia di Bruxelles, i profughi a bordo della «Alan Kurdi» scenderanno a Malta e in seguito andranno altrove — ma vuole superare il caso per caso.
Con questo Programma, formalmente il regolamento è rispettato: Paese di approdo sarà là dove lo straniero è riallocato, non quello del mero scalo tecnico.
Ma perchè questo accordo non suoni da «via libera» soltanto alle Ong, è previsto che i partner europei siano di manica larga (sempre per percentuali prefissate) anche con chi viene salvato nell’area Sar italiana o maltese attraverso la Guardia costiera, accettando il principio che questi disgraziati puntano ad entrare in Europa, non solo in Italia o a Malta.
(da agenzie)
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Settembre 10th, 2019 Riccardo Fucile
NO AD ALAN KURDI MA EVENTUALMENTE SI’ A OCEAN VIKING, CON REDISTRIBUZIONI CONCORDATE CON UE… ABOIZIONE DELLE MULTE A ONG E RISPETTO DEGLI OBBLIGHI DEL SOCCORSO IN MARE, MA PER GRADI PER NON DARE ARGOMENTI A SALVINI
C’è un piano per disinnescare il decreto sicurezza, ma soltanto tra qualche mese. 
Il governo Conte Bis ha promesso che avrebbe tenuto conto dei rilievi del Quirinale sulla norma il cui unico risultato finora è stato quello di moltiplicare i morti in mare, visto che i naufraghi portati a Lampedusa dalla Mare Jonio e dalla Eleonore sono comunque sbarcati in Italia.
Ma intanto all’orizzonte si profila il caso della Ocean Viking, attualmente in area Sar con a bordo 50 naufraghi: spiega oggi Tommaso Ciriaco su Repubblica che se la nave dovesse decidere di fare rotta verso i porti italiani, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese non farà ricorso al potere di vietarne l’ingresso.
Organizzerà invece il soccorso e gestirà con Bruxelles la redistribuzione di chi sbarca.
La Alan Kurdi invece non è autorizzata ad entrare in acque italiane. È infatti sempre in vigore il divieto siglato dall’ex ministro Matteo Salvini lo scorso 31 agosto in base al decreto sicurezza bis.
La comunicazione è stata inviata in serata dal Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano alla nave della ong tedesca Sea Eye che aveva chiesto il Pos (Place of safety, porto sicuro).
In Parlamento, intanto, il premier Giuseppe Conte ha spiegato che le cose sono cambiate: basta con gli approcci emergenziali, saranno eliminate le megamulte alle ong, in coerenza con le osservazioni del capo della Stato, Sergio Mattarella, elaborata “un’organica normativa” sul tema e chiesta “solidarietà effettiva” all’Ue.
I numeri di quest’anno smentiscono un’emergenza-sbarchi. Fino ad oggi si contano 5.728 arrivi nel 2019, contro i 20.322 del 2018 ed i 100.307 del 2017 nello stesso periodo.
Con l’avvicinarsi dell’autunno è prevedibile che questo si confermerà un anno record, ma in senso negativo, per migranti giunti via mare.
Cosa che permetterà di gestire il fenomeno come vuole Lamorgese, che ieri, intercettata in Transatlantico, ha risposto così ai cronisti che le chiedevano delle navi ong: “il ministro dell’Interno è sempre operativo, 24 ore su 24. Affronteremo anche questa emergenza se sarà un’emergenza”.
Spiega ancora oggi Repubblica che le modifiche riguarderanno essenzialmente due punti: le multe abnormi comminate a chi salva naufraghi – la celebre norma anti Ong – e il rispetto degli obblighi internazionali che impongono il soccorso in mare.
Su questo terreno le due forze sono già d’accordo. Così come sull’opportunità di non mettere mano immediatamente al decreto.
Per una ragione assai prosaica: non massacrare la luna di miele del nuovo governo. I sondaggi planati sulla scrivania del quartier generale del Pd, infatti, sono assai simili a quelli in mano a Luigi Di Maio.
E dicono due cose, in estrema sintesi. Primo: il tema dei porti chiusi non è considerato prioritario dagli italiani. Secondo: le forze di governo sono in risalita nelle rilevazioni, mentre Salvini e le destre in discesa. Perchè rovinare tutto, accendendo uno scontro che può risolversi senza troppi clamori?
La statistica dovrebbe del resto aiutare il governo: in autunno gli sbarchi diminuiscono. Senza contare che la giurisprudenza pende nettamente dalla parte delle modifiche: c’è la decisione del gip su Carola Rackete, che non convalidò l’arresto della capitana riconoscendo che il soccorso rappresentava l’adempimento di un dovere derivante dai trattati internazionali. E poi la sentenza del Tar del Lazio sulla Open Arms, che consentì lo sbarco per un salvataggio avvenuto in condizioni di «eccezionale gravità e urgenza».
E allora quando arriverà il momento giusto per mandare in soffitta le norme volute da Salvini? Si parla di gennaio, quando sarà inverno.
Lavorando nel frattempo a una ridistribuzione automatica delle quote di naufraghi con tutti i paesi europei e, nel medio periodo, alla modifica del regolamento di Dublino.
Per Conte serve «l’istituzione di corridoi umanitari europei».
Intanto, fa sapere Alessandra Ziniti su Repubblica, dopo le ultime tre evacuazioni mediche, il capomissione della Alan Kurdi ha chiesto aiuto alle sale operative di Italia, Francia, Spagna e Portogallo per farli sbarcare. E ieri la commissione Ue ha avviato la trattativa per la redistribuzione.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
STOP ALLA GUERRA CON CHI SALVA LE VITE IN MARE, NUOVI ACCORDI PER AUMENTARE I RIMPATRI, SBLOCCO DEI FONDI ALLE FORZE DELL’ORDINE, PERCORSO REALE DI INTEGRAZIONE
La strategia di Palazzo Chigi sulla questione migranti è chiara: superare Dublino e tornare al sistema di quote per una gestione meno impattante e più condivisa a livello di Unione europea.
Le decisioni sulla sorte delle persone che attraversano il Mediterraneo non verranno più prese in mezzo al mare, con centinaia di naufraghi ogni volta destinati a rimanere in un limbo a bordo delle navi delle ong mentre i governi europei si spartiscono compiti e doveri, ma a Bruxelles, dove dovrà essere messo in campo un piano strutturato di accoglienza.
Basta con i porti chiusi e la guerra alle organizzazioni che salvano le vite in mare.
Sì invece a un confronto costruttivo e, se necessario, deciso con i partner europei, così da evitare le numerose situazioni emergenziali alle quali si è dovuto far fronte nei mesi del governo gialloverde.
Anche se l’esecutivo, e la stessa ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, in passato, ha già dichiarato che con le ong ci sarà collaborazione, nel rispetto di regole e norme che andranno puntualizzate.
Nell’ottica di una condivisione europea nella gestione della questione migratoria, non si può quindi escludere anche un ritorno a un progetto comune sul modello del vecchio Triton che prevedeva una gestione condivisa del controllo delle frontiere marittime. Tutto passerà , nonostante le iniziali resistenze pentastellate, da una revisione, più o meno massiccia, dei decreti Sicurezza che, almeno, dovranno recepire le indicazioni arrivate dal Quirinale e garantire una maggiore aderenza agli obblighi previsti dalle leggi del mare.
E la lettera “per avere relazioni più costruttive” inviata dal titolare degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, a Luigi Di Maio fa ben sperare su una futura, possibile collaborazione tra Italia e Francia sulla questione migratoria, dopo la stagione dei duri respingimenti attuati alla frontiera tra i due Paesi e le accuse di “colonialismo” mosse dal capo politico dei Cinque Stelle.
Giuseppe Conte sta mettendo in piedi il nuovo piano sull’immigrazione, in piena collaborazione con i nuovi capi del Viminale e della Farnesina.
Proprio la succeditrice di Matteo Salvini dovrà poi occuparsi della gestione delle persone che saranno accolte in Italia in attesa di ricevere una risposta riguardo alla loro domanda di protezione internazionale.
L’idea è quella di replicare ciò che Lamorgese mise in piedi come capo di Gabinetto del ministro Minniti, prima, e da prefetto di Milano, poi.
No ai grandi centri di accoglienza, sovraffollati, piazze di reclutamento per la criminalità organizzata e luoghi dove spesso si consumano abusi.
Sì, invece, a un’accoglienza diffusa, ramificata nel territorio grazie all’aiuto degli amministratori locali, ma caratterizzata da piccoli nuclei di persone che, così, non risultano impattanti per la comunità in cui si vanno a inserire.
Oltre alla firma di nuovi accordi bilaterali, tralasciati durante il precedente mandato di governo ma fondamentali per mettere in piedi anche un’efficace politica dei rimpatri, si punta anche a delegare alla Commissione Ue un accordo più ampio che coinvolga strutture come l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr).
Una strategia che punta a rovesciare la narrativa del precedente governo gialloverde che etichettava l’Italia come “il campo profughi d’Europa”.
La questione più spinosa, soprattutto relativa alla gestione dell’accoglienza interna, sarà quella dei fondi da mettere a disposizione delle forze dell’ordine.
Al sindacato dei lavoratori di polizia (Silp) sono già arrivate comunicazioni relative alla necessità del pagamento degli straordinari dei dipendenti relativi agli anni 2018 e 2019. Per poter gestire un sistema di accoglienza che garantisca gli standard di sicurezza e di adeguati servizi per gli immigrati, sarà necessario, almeno, sbloccare i pagamenti.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 7th, 2019 Riccardo Fucile
LA FUGA DALLA DITTATURA, I LAGER LIBICI, L’ARRIVO IN ITALIA … GRAZIE AL SUO TALENTO DI ATLETA SI INTEGRA E TROVA LAVORO ALLA DECATHLON AD ALBA… LA TITOLARE: “PUO’ ANCHE NEVICARE MA LUI ARRIVA SEMPRE PUNTUALE, SI FA 16 CHILOMETRI IN BICI”
Il motto di Omar, profugo atleta, è never give up running and smile, non smettere mai di correre
e di sorridere.
Dal Gambia dov’è nato 23 anni fa è scappato nel momento più brutto della dittatura di Yahya Jammeh, uno dei regimi più oppressivi al mondo, tra islamizzazione radicale, tentativi di golpe, violenze e fame.
Quando nel 2016, a soli diciannove anni, rimase solo al mondo, decise di fuggire di corsa dal regime che aveva insanguinato il suo Paese senza mai girarsi indietro, una fuga della speranza e della disperazione. Ci vuole del coraggio per dire addio alla terra nella quale uno è nato, e partire per migliaia e migliaia di chilometri in pantaloncini, maglietta e scarpe da ginnastica.
E senza soldi, a parte qualche spicciolo che si era guadagnato lavorando nei cantieri. Da solo. “Essere coraggioso non significa non avere paura, ma vuol dire andare avanti sempre e comunque. Fai il primo passo, e ciò che vuoi ti verrà incontro”.
“Stipato su un pullman dove eravamo accalcati uno sull’altro ho attraversato Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger per arrivare nel deserto libico dove di giorno soffocavo dal caldo sabbioso. Di notte tremavo per il freddo. Presto sono finite le scorte di acqua e siamo rimasti due giorni senza bere”. Omar arriva stremato in Libia, dove finisce in un campo di raccolta profughi.
E qui vede l’inferno. “Gli arabi trattavano malissimo noi africani – racconta – bastava contraddirli, non fare quello che ordinavano, e scattavano pestaggi bestiali, rappresaglie crudeli, torture. Ho visto gente massacrata di botte e non smettevano di picchiarli neppure quando cadevano a terra feriti e insanguinati. Ho visto stuprare le donne”.
Omar riesce a sopravvivere in quel girone dantesco, in un mese e mezzo, con lavori saltuari, si procura la somma di denaro che gli era stata richiesta dagli scafisti per traghettare il Mediterraneo. “Un giorno arrivano due boss, ci chiamano e ci chiedono ‘chi di voi sa guidare una barca?’. In due alzano la mano”.
“La mattina dopo all’alba ottanta di noi, c’erano anche donne e bambini, salgono su un barcone, gli scafisti ci portano a cento metri da riva, poi si buttano in acqua e tornano indietro a nuoto. Proseguiamo da soli e dopo diverse ore di navigazione sbarchiamo a Lampedusa”.
Omar, quando tocca terra, piange di felicità . Sa che d’ora in avanti la corsa può ricominciare, questa volta le sue falcate non serviranno per lasciarsi alle spalle una dittatura, ma per andare incontro al futuro. “Amo sempre sorridere, non credo che i temporali durino per sempre. Il sole sorgerà di nuovo”.
Viene accolto nei “centri immigrazione” della Sicilia, di qui parte per Torino dove viene ospitato dalla Croce Rossa, quindi finisce a La Morra, piccolo borgo sulle langhe. Dove ben presto si integra proprio grazie alla corsa. “So cosa significa stare male, e non voglio che nessun altro si senta in quel modo”.
“Quando arrivo ero solo, completamente solo. Tristissimo. Non conoscevo nessuno. Comincio a frequentare la scuola per imparare l’italiano, e qui conosco i primi amici con i quali ho cominciato ad andare a correre. Uno di loro un giorno mi dice, ‘Omar, corri troppo bene, vieni con me, ti porto in una squadra di atletica’. Da quel giorno la mia vita è cambiata, ho fatto la mia prima gara con le scarpe bucate e l’ho vinta. Mi hanno subito tesserato alla Fidal. E ben presto sono entrato a far parte anche di una squadra di calcio”.
Omar non si ferma mai, lotta come un leone. “Da piccolo mi dissero, ‘sii la persona di cui avevi bisogno da bambino’. Questo insegnamento mi ha trasformato nella persona onesta che sono oggi”.
Ogni giorno, anche quando fa freddo piove e nevica, in bicicletta macina 16 chilometri per raggiungere il campo di atletica o quello di calcio. Studia, impara la lingua. Manda il suo curriculum in giro. Gli risponde Decathlon, il primo colloquio è per una posizione come stagista.
Al funzionario dell’ufficio Personale che gli chiede notizie, cosa sa fare, mostra il cellulare dove c’è il video di una sua gara. “So correre”. Al termine dello stage di sei mesi, per merito gli viene proposto un contratto di lavoro.
È stato così che è tornato a sorridere. E che la sua storia finisce su Facebook diventando virale. “È come se fossi rinato, sono circondato da persone che mi vogliono bene e mi fanno sentire a casa”.
“Omar, 22 anni – ha postato Erika Siffredi, dell’ufficio Personale Decathlon – ha un permesso di soggiorno come richiedente asilo, è sbarcato a Lampedusa tre anni fa dopo un viaggio durato quasi 2 mesi. Si è presentato ad una giornata di selezione, parlava male l’italiano ma era sorridente. Un sorriso a trentadue denti che aveva tanto da raccontare. Durante il colloquio ha tirato fuori il cellulare per farmi vedere un video in cui stava partecipando ad una gara di corsa. Sì, Omar è un runner, uno di quelli veloci”.
“In questi mesi ha imparato tanto ma soprattutto ci sta insegnando tanto. Lui arriva sempre in anticipo in sella alla sua bicicletta e non importa se fuori ci sono 40 gradi o sta diluviando, lui è sempre puntuale ma soprattutto Omar è sempre felice”.
“Non è stato facile ma Omar ce l’ha fatta e oggi la firma di questo contratto di lavoro ha un sapore diverso, anche per me. Buona strada ragazzo. Si aggiunge quindi un rappresentante del Gambia a quelli del Pakistan, Argentina, Marocco, Macedonia, Croazia, Francia e Inghilterra presenti nel nostro negozio. A noi l’Italia piace così”.
E non solo a loro.
(da “La Repubblica“)
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Settembre 5th, 2019 Riccardo Fucile
AHMED MUSA ERA STATO VITTIMA DI UN’AGGRESSIONE RAZZISTA A MIRAFIORI, ORA SPERA DI FREQUENTARE IL DOTTORATO
Sbarcato a Lampedusa nel 2011 senza documenti, oggi si è laureato a Torino con una tesi sui
diritti umani in Darfur, l’area dalla quale proviene e dove è stato incarcerato e privato della nazionalità , dopo la tortura e l’uccisione del padre e di sei fratelli.
I suoi primi giorni nel capoluogo piemontese li ha passati dormendo nella stazione di Porta Nuova. Un anno fa era anche stato vittima di un’aggressione razzista, nel quartiere Mirafiori.
Oggi vive al Collegio universitario e punta al dottorato. Ha lo status di profugo e un figlio piccolo, che ha chiamato Nelson Mandela.
Il protagonista di questa storia è Ahmed Musa, 32 anni, nato a Entkena in Sudan. E’ sfuggito al carcere perchè, considerato morto, è stato abbandonato in un campo dove lo hanno trovato e soccorso dei contadini.
Da allora all’arrivo in Italia passano cinque anni, tre dei quali trascorsi in Libia. Prima che i miliziani filogovernativi attaccassero la sua città , si era laureato in Economia a Khartoum, dove insegnava e si era sposato con una collega, ora rifugiata in Norvegia.
“Lo studio – spiega Musa mentre attende di entrare a discutere la tesi, relatrice Valentina Pazè – è un mezzo per dimostrare che nessuno può distruggere la volontà di un altro. Con lo studio, mi hanno insegnato i miei genitori, puoi cambiare la vita tua e quella degli altri. Ecco perchè ho fatto questa scelta. E’ stato difficile ma qui mi trovo benissimo, sono fuggito da una guerra e ora sono una persona normale”.
(da agenzie)
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Agosto 6th, 2019 Riccardo Fucile
L’OPERA DELLO STREET ARTIST A TAORMINA
Potrebbe essere caduto anche l’ultimo dei tabù del mondo contemporaneo. 
Se l’antico adagio diceva scherza con i fanti, ma lascia stare i santi, oggi i social network sembrano aver eliminato anche quest’ultimo timore reverenziale.
E se Matteo Salvini dedicava l’approvazione del decreto sicurezza bis alla Vergine Maria che lui crede essere nata il 5 agosto (la Chiesa Cattolica prevede che la natività di Maria si celebri l’8 settembre), dall’isola di Taormina lo street artist ritrae con l’aureola da santa la capitana della Sea Watch Carola Rackete.
Santa Carola protettrice dei rifugiati, si intitola così l’ultima opera dello street artist diventato famoso per aver disegnato, all’indomani della formazione del governo Lega-M5S, le due sagome di Salvini e Di Maio avvinghiate in un bacio.
TvBoy, da quel momento in poi, è diventato sempre più influente, con i suoi messaggi artistici sui muri di Roma.
Oggi, da Taormina ha voluto evidenziare la distanza che c’è tra l’approvazione del decreto sicurezza bis (una legge contro l’umanità per le sanzioni esagerate contro le ong che salvano le vite in mare) e le azioni di Carola Rackete che è sbarcata a Lampedusa dopo aver salvato 50 migranti da un naufragio nel Mediterraneo.
San Carola Rackete viene ritratta come una madonna moderna, con un bambino nero in braccio e il volto sorridente.
Al braccio sinistro, invece, la capitana della Sea Watch porta una cassetta medica per il primo soccorso. Uno stacco davvero stridente con la Madonna invocata da Matteo Salvini e con le altre invocazioni sacre che il ministro dell’Interno ha fatto nel corso della sua campagna elettorale e nel corso del suo primo anno di governo.
(da agenzie)
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Luglio 22nd, 2019 Riccardo Fucile
ERANO A BORDO DI UNA BARCA A VELA CHE HA RAGGIUNTO TRANQUILLAMENTE LA SPIAGGIA
Un gruppo di migranti di nazionalità iraniana e irachena è giunto stamattina a Roccella Jonica, nel reggino, a bordo di una barca a vela di circa 15 metri battente bandiera tedesca che è stata fatta arenare in un tratto di spiaggia libera, a circa trecento metri dal porto.
A segnalare alle forze dell’ordine l’arrivo dei migranti è stato un pescatore che ha assistito allo sbarco. Al momento, ne sono stati individuati una quarantina, tra cui alcune donne e bambini. I migranti rintracciati sono stati portati in un centro di prima accoglienza messo a disposizione dal Comune di Roccella Jonica.
Prima dell’alba una barca a vela con bandiera tedesca, presumibilmente rubata, confusasi con il numeroso naviglio da diporto estivo, è riuscita a giungere a pochi metri dalla spiaggia nei pressi di Roccella Jonica (RC), sbarcando i migranti trasportati.
Un pescatore ha dato l’allarme attorno alle 8 di questa mattina e i finanzieri della Sezione Operativa Navale di Roccella Jonica sono immediatamente intervenuti, in mare con una motovedetta e a terra con varie pattuglie.
Mentre la motovedetta recuperava l’imbarcazione ormai vuota, i militari a terra hanno individuato i due sospetti di nazionalità russa che cercavano di guadagnare la statale 106 per dileguarsi.
Dai primi accertamenti sembrerebbero essere i due scafisti che hanno condotto la barca a vela, uno yacht in ottime condizioni di quasi 15 metri, dalla Turchia, da cui sarebbero partiti una settimana fa, all’Italia. Sono stati rintracciati dai finanzieri e dalle altre forze dell’ordine 42 migranti (32 adulti, 4 donne e 6 minori) condotti alle strutture di accoglienza per l’assistenza necessaria e gli approfondimenti investigativi funzionali ad assicurare alla giustizia i responsabili.
(da agenzie)
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Luglio 22nd, 2019 Riccardo Fucile
IL PROGETTO CONIVOLGE PIU’ ENTI E REALTA’: GIA’ RIPULITO IL CENTRO
«Basta far niente»: non è un monito razzista ma l’idea di un gruppo di immigrati senegalesi
e gambiani che ieri ha preso la scopa in mano e si è messo a ripulire corso Matteotti, ad Asti, e la zona vicina alla stazione.
Il progetto coinvolge più enti e realtà : il Comune di Asti, Aisap (associazione italo-senegalese di Asti e provincia), Associazione Gambiani Asti, Centro provinciale istruzione adulti (Cpia), l’associazione Ananse, la cooperativa sociale “Fa Servizi”, Croce Rossa.
Tutto nasce come un obiettivo del Comune che vuole prendersi cura della città ; in questo modo ha unito un’idea fuori dagli schemi alla necessità di superare luoghi comuni e pregiudizi legati al fenomeno migratorio.
«Ho accolto con felicità questa proposta. Questo è un esempio di progetto nato dal basso, uno splendido modo di prendersi cura della città da parte di cittadini e che siano nati qui o altrove non importa. Questo è un esempio di buona cittadinanza», aveva dichiarato il primo cittadino Maurizio Rasero.
Ad unirsi all’entusiasmo del sindaco anche l’assessore ai Servizi Sociali Mariangela Cotto, dichiarando che la Asti Servizi Pubblici (azienda che eroga servizi di trasporti urbani ed extraurbani) era pronta al sostegno dell’idea.
Ad appoggiare l’iniziativa anche diversi consiglieri comunali tra cui Francesca Ragusa, che curerà il progetto nella sua interezza. Plauso anche dal presidente del Consiglio Comunale Giovanni Boccia.
Idrissa Gueye, dell’associazione italo-senegalese Aisap , ha ricordato il suo arrivo ad Asti in un’intervista al Corriere della Sera. Ha raccontato di aver vissuto proprio nella zona che oggi lui cerca di rendere più pulita e accessibile al pubblico.
Nel presentare l’iniziativa, Gueye sottolinea che gli immigrati devono portare le cose belle della propria cultura, evitare di coinvolgersi nel degrado e anzi offrirsi per migliorare la città .
«Ho pensato che l’esempio di metterci insieme ci permetterebbe di migliorare quelle zone, insieme i cittadini possono fare tanto, così si ha una vera integrazione: ognuno portando le cose positive che ha da dare», ha detto.
(da agenzie)
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