OMAR, PROFUGO, DAL GAMBIA ALL’ITALIA SENZA MAI SMETTERE DI CORRERE
LA FUGA DALLA DITTATURA, I LAGER LIBICI, L’ARRIVO IN ITALIA … GRAZIE AL SUO TALENTO DI ATLETA SI INTEGRA E TROVA LAVORO ALLA DECATHLON AD ALBA… LA TITOLARE: “PUO’ ANCHE NEVICARE MA LUI ARRIVA SEMPRE PUNTUALE, SI FA 16 CHILOMETRI IN BICI”
Il motto di Omar, profugo atleta, è never give up running and smile, non smettere mai di correre e di sorridere.
Dal Gambia dov’è nato 23 anni fa è scappato nel momento più brutto della dittatura di Yahya Jammeh, uno dei regimi più oppressivi al mondo, tra islamizzazione radicale, tentativi di golpe, violenze e fame.
Quando nel 2016, a soli diciannove anni, rimase solo al mondo, decise di fuggire di corsa dal regime che aveva insanguinato il suo Paese senza mai girarsi indietro, una fuga della speranza e della disperazione. Ci vuole del coraggio per dire addio alla terra nella quale uno è nato, e partire per migliaia e migliaia di chilometri in pantaloncini, maglietta e scarpe da ginnastica.
E senza soldi, a parte qualche spicciolo che si era guadagnato lavorando nei cantieri. Da solo. “Essere coraggioso non significa non avere paura, ma vuol dire andare avanti sempre e comunque. Fai il primo passo, e ciò che vuoi ti verrà incontro”.
“Stipato su un pullman dove eravamo accalcati uno sull’altro ho attraversato Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger per arrivare nel deserto libico dove di giorno soffocavo dal caldo sabbioso. Di notte tremavo per il freddo. Presto sono finite le scorte di acqua e siamo rimasti due giorni senza bere”. Omar arriva stremato in Libia, dove finisce in un campo di raccolta profughi.
E qui vede l’inferno. “Gli arabi trattavano malissimo noi africani – racconta – bastava contraddirli, non fare quello che ordinavano, e scattavano pestaggi bestiali, rappresaglie crudeli, torture. Ho visto gente massacrata di botte e non smettevano di picchiarli neppure quando cadevano a terra feriti e insanguinati. Ho visto stuprare le donne”.
Omar riesce a sopravvivere in quel girone dantesco, in un mese e mezzo, con lavori saltuari, si procura la somma di denaro che gli era stata richiesta dagli scafisti per traghettare il Mediterraneo. “Un giorno arrivano due boss, ci chiamano e ci chiedono ‘chi di voi sa guidare una barca?’. In due alzano la mano”.
“La mattina dopo all’alba ottanta di noi, c’erano anche donne e bambini, salgono su un barcone, gli scafisti ci portano a cento metri da riva, poi si buttano in acqua e tornano indietro a nuoto. Proseguiamo da soli e dopo diverse ore di navigazione sbarchiamo a Lampedusa”.
Omar, quando tocca terra, piange di felicità . Sa che d’ora in avanti la corsa può ricominciare, questa volta le sue falcate non serviranno per lasciarsi alle spalle una dittatura, ma per andare incontro al futuro. “Amo sempre sorridere, non credo che i temporali durino per sempre. Il sole sorgerà di nuovo”.
Viene accolto nei “centri immigrazione” della Sicilia, di qui parte per Torino dove viene ospitato dalla Croce Rossa, quindi finisce a La Morra, piccolo borgo sulle langhe. Dove ben presto si integra proprio grazie alla corsa. “So cosa significa stare male, e non voglio che nessun altro si senta in quel modo”.
“Quando arrivo ero solo, completamente solo. Tristissimo. Non conoscevo nessuno. Comincio a frequentare la scuola per imparare l’italiano, e qui conosco i primi amici con i quali ho cominciato ad andare a correre. Uno di loro un giorno mi dice, ‘Omar, corri troppo bene, vieni con me, ti porto in una squadra di atletica’. Da quel giorno la mia vita è cambiata, ho fatto la mia prima gara con le scarpe bucate e l’ho vinta. Mi hanno subito tesserato alla Fidal. E ben presto sono entrato a far parte anche di una squadra di calcio”.
Omar non si ferma mai, lotta come un leone. “Da piccolo mi dissero, ‘sii la persona di cui avevi bisogno da bambino’. Questo insegnamento mi ha trasformato nella persona onesta che sono oggi”.
Ogni giorno, anche quando fa freddo piove e nevica, in bicicletta macina 16 chilometri per raggiungere il campo di atletica o quello di calcio. Studia, impara la lingua. Manda il suo curriculum in giro. Gli risponde Decathlon, il primo colloquio è per una posizione come stagista.
Al funzionario dell’ufficio Personale che gli chiede notizie, cosa sa fare, mostra il cellulare dove c’è il video di una sua gara. “So correre”. Al termine dello stage di sei mesi, per merito gli viene proposto un contratto di lavoro.
È stato così che è tornato a sorridere. E che la sua storia finisce su Facebook diventando virale. “È come se fossi rinato, sono circondato da persone che mi vogliono bene e mi fanno sentire a casa”.
“Omar, 22 anni – ha postato Erika Siffredi, dell’ufficio Personale Decathlon – ha un permesso di soggiorno come richiedente asilo, è sbarcato a Lampedusa tre anni fa dopo un viaggio durato quasi 2 mesi. Si è presentato ad una giornata di selezione, parlava male l’italiano ma era sorridente. Un sorriso a trentadue denti che aveva tanto da raccontare. Durante il colloquio ha tirato fuori il cellulare per farmi vedere un video in cui stava partecipando ad una gara di corsa. Sì, Omar è un runner, uno di quelli veloci”.
“In questi mesi ha imparato tanto ma soprattutto ci sta insegnando tanto. Lui arriva sempre in anticipo in sella alla sua bicicletta e non importa se fuori ci sono 40 gradi o sta diluviando, lui è sempre puntuale ma soprattutto Omar è sempre felice”.
“Non è stato facile ma Omar ce l’ha fatta e oggi la firma di questo contratto di lavoro ha un sapore diverso, anche per me. Buona strada ragazzo. Si aggiunge quindi un rappresentante del Gambia a quelli del Pakistan, Argentina, Marocco, Macedonia, Croazia, Francia e Inghilterra presenti nel nostro negozio. A noi l’Italia piace così”.
E non solo a loro.
(da “La Repubblica“)
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