Febbraio 7th, 2021 Riccardo Fucile
“NON SERVE ULTERIORE PRECARIETA'”
Dopo l’incarico assegnato a Mario Draghi, il segretario della Cgil Maurizio Landini chiede di partecipare alla costruzione, e detta la sua linea a difesa dei lavoratori.
“Il mondo del lavoro non è che ci ha guadagnato in questi anni… Il mondo del lavoro deve vedere un vantaggio dalla riforma fiscale, con progressività e lotta all’evasione. Patrimoniale? Siamo per una riforma complessiva. Ma se qualcuno mi viene a ripropormi la flat tax deve esser chiaro che noi non siamo d’accordo, non siamo disponibili a pagare tre volte, quelli che lavorano sono quelli che si sono fatti il mazzo e hanno permesso di uscire dalla pandemia. Vogliamo riconosciuti dei diritti, non ulteriore precarietà “.
“In un Paese che deve investire 300 miliardi, che non ha una politica industriale, che ha un sistema pensionistico da riformare, cosa ho da perdere più di quello che ho già perso?”, chiede retoricamente Landini.
“Lo statuto dei lavoratori è già stato manomesso, serve un nuovo Statuto. Io rivendico un cambiamento. Non ho una preoccupazione di cosa taglierà Draghi, ma voglio essere coinvolto per partecipare allo sviluppo e alla rinascita del Paese. Non c’è certo da tagliare sul mondo del lavoro”, ha concluso Landini.
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile
A DICEMBRE 101.000 LAVORATORI IN MENO, 99.000 SONO DONNE, AUMENTANO GLI INATTIVI
Il numero degli occupati è calato in Italia di 444.000 unità nel 2020.
A dicembre, in particolare, c’è stata una flessione di 101mila unità . Tra le persone che hanno perso il lavoro nell’ultimo mese del 2020 ci sono 99mila donne.
Le ripetute flessioni congiunturali registrate tra marzo e giugno 2020, unite a quella di dicembre, segnala l’Istat, hanno portato a una riduzione dell′1,9% nell’arco dei 12 mesi. La diminuzione coinvolge uomini e donne, dipendenti (235.000) e autonomi (20.000) e tutte le classi d’età , ad eccezione degli over 50, in aumento di 197.000 unità , soprattutto per effetto della componente demografica. Il tasso di occupazione scende, in un anno, di 0,9 punti percentuali, dal 58,9 al 58%.
Nell’arco dei dodici mesi, diminuiscono le persone in cerca di lavoro (-8,9%, pari a -222.000 unità ), mentre aumentano gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+3,6%, pari a +482.000).
Il tasso di disoccupazione sale a dicembre al 9,0% (+0,2 punti). Anche il tasso tra i giovani cresce e segna un 29,7% (+0,3 punti). I disoccupati complessivi sono 2.257.000 con un aumento di 34.000 unità su novembre e un calo di 222,000 su dicembre 2019.
Il dato risente del largo utilizzo della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti oltre che dall’uscita dal mercato del lavoro delle persone che non hanno fiducia nella possibilità di trovare un lavoro. Gli inattivi sono 13.759.000 e crescono di +42.000 unità su novembre e di 482.000 unità su dicembre 2019 (+3,6%)
(da agenzie)
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Novembre 11th, 2020 Riccardo Fucile
INCONCEPIBILE CHE UNA AZIENDA STRANIERA VENGA IN ITALIA E FACCIA QUELLO CHE GLI PARE
Con il solito tripudio di petardi e fumogeni, il corteo dei lavoratori Arcelormittal di Genova è arrivato a destinazione, sotto la prefettura.
Dopo qualche istante di faccia a faccia tra manifestanti e forze dell’ordine, la polizia ha accolto la richiesta dei lavoratori, facendo un simbolico passo indietro e togliendosi i caschi.
Una delegazione guidata dal segretario genovese della Fiom, Bruno Manganaro, e da quello della Camera metropolitana del lavoro, Igor Magni, è poi entrata nel palazzo del governo per incontrare il prefetto, Carmen Perrotta.
“Metodi come la serrata non si sono mai visti. Un metodo barbaro, che non è previsto da nessun ordinamento: l’azienda ti mette in libertà , vai a casa senza stipendio, senza niente, a tempo indeterminato”, attacca Manganaro.
Tanta la solidarietà delle tute blu delle altre fabbriche genovesi, che si sono unite alla protesta. Un lungo corteo che, nel momento di massima partecipazione, ha sfiorato le mille persone. “La classe operaia genovese sa cosa vuol dire subire processi di ristrutturazione, anche se fatti così non si vedevano da decenni- prosegue Manganaro- i lavoratori di Mittal sono ben voluti dagli altri lavoratori, che sanno che una cosa di questo tipo non è accettabile e mandano un messaggio al governo, che è responsabile di questa vicenda”.
Il sindacalista ricorda che i metalmeccanici di Arcelormittal “sono i lavoratori della fabbrica in cui c’era Guido Rossa, barbaramente ucciso dalle brigate rosse. Non hanno avuto paura allora, figuriamoci se hanno paura della signora Morselli. Oggi noi continuiamo a difendere la fabbrica e i lavoratori”. “Quando è giusto bisogna lottare, non si può lottare solo quando conviene o quando hai l’illusione della certezza di vincere. Non è questo il nostro modo”.
Intanto, l’azienda ha già inviato circa 250 lettere di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, in attesa della cassa integrazione
“Mittal ha cercato di mascherare la serrata con la formula della consegna delle lettere individuali: è chiaro che è un pretesto- commenta Magni- ci aspettiamo il peggio, ma credo che adesso sia l’ora di dire basta. Penso che il governo abbia perso fin troppo tempo in questi mesi, non ha più scuse: deve intervenire, deve riportare una situazione di normalità e risolvere quello che sta accadendo in questa città e nelle altre città in cui ArcelorMittal è insediata”.
(da agenzie)
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Ottobre 21st, 2020 Riccardo Fucile
IL SETTORE VUOLE TRATTARE CON I SINDACATI E NON CONDIVIDE LA LINEA DEL PRESIDENTE
La lettera è arrivata ieri sera. “E’ emersa l’esigenza di trovare il necessario equilibrio che tuteli lavoratori ed imprese (…) chiediamo un incontro con l’auspicio di finalizzare un accordo negoziale nell’interesse dei lavoratori e delle imprese”.
Sono sette associazioni imprenditoriali del settore alimentare che scrivono ai sindacati per riallacciare l filo del confronto e raggiungere l’intesa per il rinnovo del contratto. Ma soprattutto è nero su bianco l’implosione della Confindustria.
Il presidente Carlo Bonomi ha fin qui mostrato i muscoli chiedendo alle imprese associate di non cedere alle richieste dei lavoratori sugli aumenti salariali e proprio nel settore alimentare la linea dura (ed ora il suo fallimento) ha offerto la rappresentazione plastica delle tensioni interne al fronte degli industriali: a fine luglio tre associazioni hanno autonomamente firmato il rinnovo del contratto con Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil (tra queste la Unionfood che rappresenta tutti i colossi del settore, da Barilla a Ferrero, alle multinazionali come Unilever); la presidenza di Confindustria è intervenuta a gamba tesa richiamandole all’ordine e chiedendo a tutte le altre associazioni di non riconoscere la valenza nazionale del nuovo contratto; si è andati avanti con un braccio di ferro interno alla confederazione di viale dell’Astronomia e con singole aziende (oltre 80) che hanno continuato a firmare autonomamente i rinnovi con i sindacati; qualche giorno fa Federalimentare (pivot storico del settore con la delega a trattare per tutti) ha gettato la spugna ed è stato un “rompete le righe” ufficiale che ha portato alla lettera di ieri
A questo punto, tutte le associazioni del settore si sono sganciate dalla linea di Bonomi: un clamoroso schiaffo al nuovo presidente di Confindustria (è in carica da maggio e da subito ha provato a cambiare il passo della confederazione, irrigidendo i rapporti con governo e sindacati) che potrebbe avere riflessi anche su altri settori alle prese con i rinnovi contrattuali (10 milioni di lavoratori in attesa nel solo comparto privato), il metalmeccanico su tutti che proprio nei giorni scorsi ha visto l’interruzione delle trattative tra Fim, Fiom e Uilm e Federmeccanica.
Bonomi, che accusa i sindacati di aver tradito il Patto della fabbrica siglato dalle parti sociali nel 2018, considera impraticabili gli aumenti salariali, spostando fuori dal perimetro della contrattazione collettiva (puntando ad esempio sul welfare) i margini di possibili miglioramenti economici per i lavoratori.
Ma si respira grande insofferenza tra le imprese stesse, perchè in una delicatissima fase di ripresa economica e con l’ombra di nuova minacciosa della pandemia, preferirebbero evitare tensioni sociali che, di fatto, comprometterebbero lo sforzo di rilancio dopo la prima batosta del Covid.
Non a caso, nella lettera delle sette associazioni dell’alimentare si sottolinea che l’incontro richiesto “comporta la sospensione immediata delle agitazioni”. E al di là del segnale per l’intero fronte confindustriale, lo strappo delle associazioni di questo settore ha un rilievo di per sè, visto che il settore rappresenta, con le sue circa 7mila aziende e i suoi 385mila addetti, l’8% del Pil nazionale.
(da agenzie)
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Settembre 30th, 2020 Riccardo Fucile
“QUI ASSUNTO E BEN PAGATO ANCHE SE DEVI IMPARARE IL TEDESCO”
Per andare da Taurianova a Tubinga ci vogliono 17 ore e 32 minuti di auto, senza traffico. Bisogna attraversare tutta l’Italia, dalla provincia di Reggio Calabria fino a Cernobbio, sul lago di Como, poi tutta la Svizzera e alla fine rimangono da percorrere gli ultimi chilometri che arrivano fino a questa città da quasi 90mila vicino a Stoccarda. Non è un viaggio che si fa per vedere paesaggi o città d’arte.
È un viaggio di lavoro, ed è il viaggio che Francesco Palermita ha deciso di percorrere per fare quello per cui ha studiato: l’infermiere. Un viaggio che sei mesi fa ha raccontato con un video su YouTube insieme ad altri infermieri, anche loro emigranti in Germania.
Francesco ha 28 anni e ad agosto 2015 ha deciso di partecipare a una selezione di Germitalia, un’agenza specializzata nel reclutare infermieri italiani per strutture sanitarie tedesche.
Per Google bastano tre parole chiave: lavoro+infermieri+italia. Il sito di Germitalia è il primo risultato. Prima del Covid il processo di selezione avveniva dal vivo: un colloquio in un albergo di Torre del Greco, in provincia di Napoli, e poi l’inizio del progetto in Germania. Nella maggior parte delle offerte le garanzie sono due: contratto a tempo indeterminato e corso per imparare la lingua.
Secondo i dati pubblicati da Almalaurea, la percentuale di infermieri che lavorano un anno dopo aver completato gli studi è del 72%. Una percentuale alta, come tipico delle professioni sanitarie, che però non racconta delle condizioni degli infermieri nei primi anni di professione, dove spesso è difficile trovare un contratto a tempo indeterminato e dove responsabilità e ore di lavoro non sono bilanciate rispetto allo stipendio.
Un quadro che è cambiato poco nonostante l’emergenza Covid, tanto che il flusso di infermieri che si formano in Italia per emigrare all’estero non si è certo chiuso.
Matteo, quando hai deciso di andare in Germania per lavorare?
«Ho deciso appena finita la laurea, verso il 2015. In Italia non ho mai lavorato come infermiere in ospedale, facevo giusto qualche assistenza notturna. Cercavo un’esperienza all’estero: ero indeciso tra Germania e Regno Unito».
Come mai la Germania?
«Per la lingua. Di solito nel Regno Unito viene richiesto un livello minimo di inglese per lavorare. Qui invece ti danno la possibilità di essere assunto subito e intanto frequentare un corso per imparare la lingua. Una volta superato l’esame di livello di B2 viene definitivamente riconosciuto come infermiere».
E prima del riconoscimento, come lavori?
«Hai un contratto con un inquadramento diverso. Un infermiere con il B2 di tedesco ha un contratto che si aggira sui 2.900 euro lordi: circa 1.800 euro netti al mese. Prima del B2 hai un altro tipo di contratto, con un netto più basso che attorno ai 1.650 euro al mese».
Sono cifre più alte degli stipendi italiani. Ma non completamente diverse.
«Sono cifre simili a quelle che si possono avere se si riesce a trovare lavoro in ospedale, contando notti e straordinari. Posti del genere però in Italia non sono semplici da ottenere, qui in Germania invece le selezioni per nuovi candidati sono molto frequenti».
Non c’è il rischio di spendere tutti questi soldi per il costo della vita?
«Questa cosa è un luogo comune. È vero, in Germania il costo della vita è più alto se lo paragoniamo con quello del Sud Italia, però il confronto non regge con altre città . Quando studiavo a Roma pagavo per la mia stanza 450 euro di affitto al mese. Qui per la stessa cifra posso affitare un monolocale. Poi bisogna contare le altre spese: durante il lockdown l’Iva è stata abbassata dal 19% al 16%. L’assicurazione dell’auto invece mi costa solo 600 euro all’anno. Con il mio stipendio e qualche sacrificio credo di riuscire a mantenere una famiglia. Almeno un figlio, non dico due. In Italia per mantenere un figlio bisogna essere in due a fare sacrifici».
Nel video che hai girato sui tuoi colleghi c’è una cosa che hanno in comune tutte le voci che hai raccolto: provengono del Sud.
«È vero. La maggior parte, direi quasi il 90% degli infermieri italiani che ho conosciuto qui, arrivano dal Sud o al massimo dal Centro. Posso dire di aver conosciuto davvero poca gente del Nord, giusto una ragazza di Como e una coppia di Trento».
Quindi non c’è nessuna controindicazione per trasferirsi in Germania?
«Qualche problema c’è. All’inizio, soprattutto prima di ottenere il B2, controllano molto ogni passaggio del tuo lavoro. E questo ha fatto innervosire parecchi colleghi. Qui poi sei comunque lontano dalla famiglia e dagli amici. Certo, noi italiani cerchiamo di fare gruppo ma non è facile ricostruirsi i contatti in questo territorio».
Come è stato affrontato il Coronavirus negli ospedali tedeschi?
«Con molta tranquillità . Qui a Tubinga abbiamo avuto un massimo di 60 pazienti in terapia intensiva. Oggi siamo a zero. Le autorità sanitarie hanno mostrato di essere molto preparate davanti all’epidemia di Coronavirus».
Le agenzie tedesche cercano personale italiano ancora adesso? Con il rischio di una nuova fase dell’epidemia alle porte?
«Certo, di posizioni aperte ce ne sono ancora tante. E le agenzie offrono sempre nuovi progetti».
Torneresti in Italia?
«Ora no. Qui ho quello che mi serve e qui immagino il mio futuro. Ogni tanto risale la voglia di tornare ma non riesco a vedere un percorso lavorativo solido come quello che ho trovato qui».
(da Open)
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Settembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
SI TRATTA DELL’ESTENSIONE DELL’AMMORTIZZATORE SOCIALE AD ALTRE TRE MILIONI DI PERSONE, CON L’IDEA DI UN BONUS PER GLI AUTONOMI
L’impronta politica è nel termine che sarà utilizzato per definire la nuova cassa integrazione: universale. Dove per universale si intende che tutti potranno averla.
Un principio che il virus ha imposto durante l’emergenza e infatti il Governo ha dato vita alla cosiddetta cassa Covid, una forma di sostegno generalizzata e senza paletti. Ma poi questo stesso principio è stato ammorbidito per il rischio che la cassa Covid diventasse per le aziende un alibi per non riaprire e per tenere i lavoratori a casa.
Ora però bisogna pensare alla fase 2, cioè all’ordinario. Ed ecco che il principio dell’universalità ricompare. Anzi si vuole far diventare strutturale.
Huffpost è in grado di anticipare il lavoro che una commissione di esperti, nominata dal Governo, sta portando avanti al ministero del Lavoro per mettere nero su bianco la riforma della cassa integrazione.
La nuova cassa integrazione tirerà dentro 3 milioni di lavoratori oggi esclusi, dal negoziante al piccolo ristorante con due dipendenti.
Sarà un ammortizzatore universale, come si diceva, ma non unico. La cassa altro non è che un’assicurazione pagata dalle aziende e dai lavoratori in base al rischio di ridurre o sospendere l’attività lavorativa.
Esistono decine di gestioni diverse, dove ognuna si riferisce a un settore. E ognuno ha un’aliquota da versare. In questo senso la nuova cassa non sarà unica, ma avrà aliquote differenziate in base ai profili di rischio.
Prendiamo ad esempio il caso di un edile, che solitamente ricorre alla cassa per il maltempo, o un artigiano. Hanno un’aliquota bassa. Se si dovesse ricorrere a un’aliquota unica, questa sarebbe mediamente più alta. E questo significa che ricorrere alla cassa integrazione avrebbe un prezzo salato.
L’impronta dell’universalità poggia sulla gamba politica dell’estensione di un diritto che oggi non è per tutti. Perchè la cassa va alle aziende con più di 15 dipendenti, eccezionalmente per quelle tra 5 e 15, ma addirittura non è prevista per quelle con meno di cinque dipendenti. I più piccoli, come i negozi o i ristoranti di piccole dimensioni, ne sono un esempio.
Ma l’impronta dice anche un’altra cosa. E cioè che il Governo sta puntando la leva delle politiche sul lavoro, e quindi della spesa pubblica, ancora una volta verso una misura omnibus e di sostegno. La logica assomiglia a quella del reddito di cittadinanza. E non è un caso se si sta pensando a un sostegno strutturale anche per i lavoratori autonomi. L’idea è quella di un bonus per quando non si lavora.
Ma sia per la cassa integrazione universale che per il bonus strutturale per gli autonomi bisogna fare i conti con i soldi a disposizione.
E qui interviene un altro tema, anch’esso politico ed economico allo stesso tempo, perchè su alcune voci di spesa lo Stato registrerà a fine anno dei risparmi. È il caso, ad esempio, di quota 100.
Cosa si farà con questi soldi? Dove andranno a finire? Il tema è aperto e il cantiere della cassa integrazione universale conta di viaggiare comunque in autonomia rispetto all’esito della partita della redistribuzione dei risparmi. Anche perchè non è detto che una cassa universale significhi necessariamente un esborso maggiore o addirittura monstre per le casse dello Stato. Il tema è un altro e cioè tarare una previsione di copertura, di capire cioè quanto può essere l’appeal potenziale nei confronti di questa nuova misura.
Lo stesso andamento della cassa integrazione sta registrando un andamento ancora ondivago. Perchè le ore di cassa autorizzate dall’Inps nei primi otto mesi di quest’anno sono oltre tre miliardi, di cui 2,8 miliardi legate all’emergenza sanitaria. Un aumento del 988% rispetto all’intero 2019. Ma quelle poi utilizzate dalle aziende nei primi sei mesi sono state solo il 42,2 per cento. E ad agosto le ore autorizzate dall’Inps sono scese del 39,1% rispetto a luglio. Certo sono microtendenze, ma che rompono l’equazione cassa integrazione per tutti e quindi maggior costo. In altre parole: la cassa universale riguarderà tutti, ma non è detto che tutti la utilizzino.
Il disegno del Governo prevede poi di portare la gestione affidata oggi ai Fondi bilaterali piuttosto che al Fondo artigiani sotto un’unica gestione. Questo per evitare asincronie nel processo di erogazione della cassa. La maggior parte delle domande di cassa integrazione che non sono arrivate ancora compimento, infatti, attiene al Fondo artigiani, dove le procedure sono complesse.
In questo intreccio di economia e politica c’è anche un altro tassello che si punta a inserire nella riforma della cassa integrazione: togliere alla Regioni il ruolo che hanno nel complesso meccanismo della cassa integrazione in deroga. Covid ha fatto esplodere questo vulnus e la mancanza di fluidità tra il canale delle Regioni e quello dell’Inps. Migliaia di domande sono arrivate con ritardi anche di settimane al cervellone dell’Istituto di previdenza.
E questo intoppo ha rallentato tutto il meccanismo. L’idea del Governo è portare la cassa integrazione sotto l’egida del ministero del Lavoro e dell’Inps. Un sistema centralizzato che apre a un altro tema politico, quello del ruolo delle Regioni. E al ruolo del ministero che è guidato da una ministra con la casacca 5 stelle. Ecco allora che la cassa integrazione universale potrebbe riproporre le stesse dinamiche che hanno interessato il reddito di cittadinanza. Dinamiche e nuovi equilibri dentro la maggioranza giallorossa.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
BONOMI: “SE SI FALLISCE SUL RECOVERY FUND ANDIAMO TUTTI A CASA”… AUSPICA “UNA RIFORMA PROFONDA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI, SMONTANDO PARTE DEL REDDITO DI CITTADINANZA”
“Presidente, lei ha detto: ‘se sbaglio sull’utilizzo del Recovery Fund, mandatemi a casa’. No, signor presidente. Se si fallisce, nei pochi mesi che ormai che ci separano dalla definizione delle misure da presentare in Europa, non va a casa solo lei. Andiamo a casa tutti. percepisci il danno per il Paese sarebbe immenso”.
A dirlo, nel suo intervento all’Assemblea di Confindustria è il leader degli industriali, Carlo Bonomi, rivolgendosi a Giuseppe Conte. “Non ce lo possiamo permettere. E’ tempo di una azione comune, oppure non sarà un’azione efficace”.
“Servono scelte per l’Italia del futuro. Scelte anche controvento. Serve il coraggio del futuro” avverte Bonomi.
“Ripeto oggi, signor presidente del Consiglio, quanto ho detto due mesi fa agli Stati generali: il compito che vi spetta è immane, nessuno può e deve sottovalutarne le difficoltà ”, perchè il Paese è “reduce da 25 anni di bassa crescita e bassissima produttività ” e serve “un quadro netto di poche decisive priorità ”, “strumenti e fini per indirizzare la politica economica e industriale dell’Italia”. Serve, dice ancora Bonomi, “una rotta precisa per dare significato complessivo alle misure, e per tracciare la rotta serve un approdo sicuro”.
Un grande patto per l’Italia.
Confindustria chiede “un nuovo grande patto per l’Italia”, dice il leader degli industriali, un patto che richiede “una visione alta e lungimirante”. Dopo “25 anni di stasi” bisogna puntare su una “nuova produttività ”; “È su questo concetto ampio di produttività che si devono concentrare le azioni e le politiche dei prossimi anni, con l’obiettivo di massimizzare il ruolo di motore dello sviluppo del sistema delle imprese e del lavoro, e dare nuova centralità alla manifatture”.
L’Italia non diventi un Sussidistan, smontare parte del reddito di cittadinanza. “Aderire allo spirito Ue significa una visione diversa dai sussidi per sostenere i settori in difficoltà ” spiega il presidente di Confindustria nella sua relazione all’assemblea dell’associazione degli industriali.
“I sussidi non sono per sempre, nè vogliamo diventare un Sussidistan”. Serve “una profonda” riforma degli ammortizzatori sociali, tema sul quale “abbiamo inviato a metà luglio a governo e sindacati una proposta dettagliata, cui finora non abbiamo visto seguito. Essa si ispira al varo di vere politiche attive del lavoro, smontando la parte di Reddito di cittadinanza non destinata al contrasto alla povertà ma destinata in teoria alle politiche del lavoro che però, di fatto, per constatazione ormai unanime non funziona”.
Occorre, sostiene Bonomi, “aprire alle Agenzie per il lavoro che conoscono, a differenza dei Centri pubblici per l’impiego, le competenze richieste dalle imprese, e serve collegarvi nei nuovi contratti l’assegno di ricollocazione, coinvolgendo direttamente le imprese nelle procedure dell’outplacement e gli enti bilaterali di formazione imprese-sindacato nella grande opera di riaddestramento a nuove competenze, che è la vera sfida dell’industria”.
Con lo spirito di Alex Zanardi.
Per il Paese “servono scelte difficili, ma non impossibili” dice Bonomi, citando Alex Zanardi. Servono scelte, dice, “come le sfide affrontate e vinte da un grande sportivo come Alex Zanardi. E’ del suo spirito che oggi c’è bisogno”.
Dipendenti come autonomi.
“Perchè passare alla tassazione diretta mensile solo per i 5 milioni di autonomi? Facciamo lo stesso per tutti i lavoratori dipendenti, sollevando le imprese dall’onere ingrato di continuare a svolgere la funzione di sostituti d’imposta addetti alla raccolta del gettito erariale e di essere esposti alle connesse responsabilità ” è la proposta. “Sarebbe una bella prova che lo Stato metta tutti sullo stesso piano – dice Bonomi facendo riferimento agli evasori di autonomi e dipendenti – senza più alimentare pregiudizi divisivi a seconda della diversa percenzione del reddito”.
Superamento quota 100 non pesi sui giovani.
Le nuove norme sulle pensioni, per il superamento di Quota100, non pesi sulle spalle dei più giovani. È l’indicazione, in tema previdenziale, di Carlo Bonomi. “Significa all’esaurirsi di Quota 100 tra un anno – ha detto parlando di riforme che guardino a giovani e donne – non immaginare nuovi schemi previdenziali basati su meri ritocchi, come leggiamo quando si parla di Quota 101. Cioè nuovi regimi che continuerebbero a gravare sulle spalle dei più giovani”
Mai pensato al blocco dei contratti.
Confindustria “sta subendo una serie di accuse sindacali, e non solo, sulla nostra presunta contrarietà ” al rinnovo dei contratti, ma “nessuno di noi ha mai pensato nè parlato di blocco, il problema sono le regole da rispettare” dice Bonomi, parlando all’assemblea generale dell’associazione delle imprese, augurandosi che “il fraintendimento si superi presto, con dialogo, rispetto e ragionevolezza. Confindustria vuole contratti che siano compresi nello stesso spirito della svolta che vogliamo costruire insime, nel Patto per l’Italia”.
Quelle regole, sottolinea Bonomi, “fissano principi chiari sulla rappresentanza, per combattere la diffusione dei contratti pirata. E su come si calcolano le retribuzioni”. Il trattamento economico minimo, ribadisce, “si stabilisce bilateralmente nei contratti e non imponendo un salario minimo per legge enormemente superiore alla media retributiva come vorrebbero alcuni parti politiche, violando l’autonomia delle parti sociali”. E il trattamento economico complessivo, prosegue, per “dare spazio alla retribuzione di produttività , welfare aziendale, formazione e assegno di ricollocazione”.
(da “Huffingtonpost)
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Agosto 28th, 2020 Riccardo Fucile
PIU’ AIUTI ALLE IMPRESE E MENO AGLI ALTRI
Dopo tre interviste in tre giorni rilasciate dai vertici confindustriali su tre differenti grandi quotidiani, il presidente Carlo Bonomi denuncia, in una lettera interna destinata ai presidenti di tutte le associazioni del sistema, “intimidazioni alle imprese per indurle a tacere”.
Torna insomma il tema del “sentimento anti imprese” che il leader degli industriali fiuta nell’aria ogni volta che mette piede oltre viale dell’Astronomia. La lettera tocca poi su molti dei punti toccati in questi giorni. Il primo, naturalmente, quello del rinnovo dei contratti collettivi. Dieci milioni di lavoratori italiani attendono infatti nuovi accordi visto che i precedenti sono scaduti, in alcuni casi da anni o decenni.
“All’accusa che i leader sindacali hanno rivolto a Confindustria di non volere i contratti abbiamo risposto con chiarezza che Confindustria i contratti li vuole sottoscrivere e rinnovare. Solo che li vogliamo ‘rivoluzionarì”, scrive Bonomi in occasione dei suoi primi 100 giorni di presidenza. Nella lettera Bonomi specifica “contratti rivoluzionari rispetto al vecchio scambio di inizio Novecento tra salari e orari. Non perchè siamo rivoluzionari noi, aggettivo che proprio non ci si addice, ma — spiega — perchè nel frattempo è il lavoro e sono le tecnologie, i mercati e i prodotti, le modalità per produrli e distribuirli, ad essersi rivoluzionati, tutti e infinite volte rispetto a decenni fa”.
Bonomi , in vista del tavolo con i sindacati del prossimo 7 settembre, indica quindi agli industriali che questa è una posizione da sostenere “con grande energia”, con “chiarezza e fermezza”, con “tutto l’equilibrio ma anche con tutta la risolutezza necessaria”. Una chiamata alle armi che mostra però già importanti defezioni.
No agli aumenti in busta paga
Sinora la linea Bonomi è stata quella di non accettare aumenti in busta paga poichè non c’è inflazione. Neppure per quelle categorie come dipendenti della sanità privata o dell’industria alimentare che hanno continuato a recarsi al lavoro durante tutta la pandemia. Al massimo qualche concessione in termini di welfare aziendale, tutti interventi con forti agevolazioni fiscali per le imprese. Una linea sconfessata peraltro apertamente da colossi come Barilla, Ferrero o Coca Cola Italia che hanno invece firmato il nuovo contratto collettivo dell’alimentare che prevede aumenti in busta paga (a regime, cioè dal 2023, 119 euro lordi in media al mese). I “ribelli” compariranno davanti al presidente il prossimo 9 settembre.
Oggi è stato anche annunciato che il 16 settembre sarà sciopero nazionale dei lavoratori della sanità privata che incroceranno le braccia in segno di protesta per “la mancata sottoscrizione definitiva, da parte delle controparti ovvero Aiop (Associazione italiana ospedalità privata che fa capo a Confindustria) e Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari), della preintesa raggiunta il 10 giugno scorso sul rinnovo del contratto”
Libertà di licenziare
La scelta del governo di estendere gli ammortizzatori sociali e vietare per legge i licenziamenti nel pieno dell’emergenza Covid “poteva essere giustificata”, ma “protrarla ad oltranza è un errore molto rischioso”, afferma ancora Bonomi nella sua missiva. “Più si protrae nel tempo il binomio ‘cig per tutti-no licenziamenti più gli effetti di questo congelamento” del lavoro “potrebbero essere pesanti, in
termini sociali e per le imprese”, afferma. Per alcune, questa sorta di “anestesia” potrebbe significare “’al risveglio l’avvio di procedure concorsuali”. Bonomi rilancia, invece, la necessità di una riforma delle politiche per il lavoro “profondamente diverse”, orientate verso politiche attive e non passive, già a cominciare dalla prossima legge di Bilancio. Una riforma “complessiva e di sistema”.
Giova ricordare che il blocco dei licenziamenti (il cui costo è stato sostenuto dalla fiscalità generale e non dalle imprese, attraverso la Cig Covid) è stato imposto dal governo nella speranza che nel frattempo l’economia iniziasse a dare segni di ripresa, limitando l’impatto occupazionale. Nel frattempo la valvola di sfogo delle aziende sono stati i contratti a termine quasi mai rinnovati una volta arrivati a scadenza.
I soldi devono andare solo alle imprese
Nella lettera ricompare un altro leitmotiv del Bonomi pensiero. Gli aiuti per superare la pandemia devono andare alle imprese, molto di più di quanto avvenuto sinora. Basta con i “sussidi a pioggia”, formula cara al presidente per indicare sostegni che vanno a persone e famiglie in difficoltà .
“Se non saremo uniti negli obiettivi prioritari per cui ci battiamo, nel respingere le polemiche ed anche i tentativi di intimidirci, allora diventerà ancora più improbo il tentativo di trasformare l’Italia in quel Paese dell’innovazione permanente capace di accogliere e trattenere i nostri figli che, noi sappiamo, può e deve essere”.”Ci aspetta una stagione — scrive — in cui la demagogia rischia di essere la più fraudolenta delle seduzioni. E, al contempo, in cui il costo dell’incompetenza sopravanzerà per generazioni i benefici di chi oggi se ne avvantaggia”.
Belle parole che cozzano però con una realtà che vede le aziende private italiane tra le ultime in Europa per la quota di risorse destinate a ricerca, sviluppo e innovazione.
Circa lo 0,5% del Pil, meno della metà rispetto a Francia o Germania. Ma certamente tutto sarebbe diverso se fosse stata accolta l’unica “rivoluzionaria” concreta proposta con cui Confindustria si è presentata agli Stati generali dello scorso giugno: restituiteci 3,4 miliardi di accise sull’energia.
A Bonomi, che pochi giorni fa ha negato che Confindustria sia “un potere forte”, proprio non va giù che palazzo Chigi non esegua i desiderata degli industriali.
E così ogni occasione è buona per randellare l’esecutivo: “I numerosi interventi specifici, i bonus frammentati e i nuovi fondi accesi presso ogni ministero, non sono stati certo la risposta articolata ed efficace che ci aspettavamo”.
E ancora: politiche attive del lavoro “non possono essere attuate con il Reddito di cittadinanza“, la cui attuale configurazione va “smontata”, sostiene Bonomi. Bisogna “superare i limiti” dell’attuale sistema delle politiche del lavoro, puntando tra l’altro su formazione e riqualificazione professionale, ricollocazione e reimpiego, sottolinea inoltre il presidente di Confindustria facendo riferimento alla proposta di riforma “complessiva”, in dieci punti, inviata a metà luglio al governo e ai sindacati.
I contagi? Colpa solo degli altri
I panni sporchi si lavano in casa. La lettera interna avrebbe potuto fare un qualche accenno all’uso indebito della Cig Covid attuato da alcune aziende o magari qualche accenno di autocritica sui contagi in fabbrica che continuano a registrarsi nelle fabbriche. Niente di tutto ciò. Anzi, Bonomi liquida come un “falso assoluto” la critica alle imprese di “aver osteggiato la chiusura di alcune aree del Paese a fronte della diffusione del Covid-19″. Il presidente di Confindustria non lesina però bacchettate tutti gli altri. “Sulle misure di sicurezza anti-Covid ancora non ci siamo”, scrive. E sottolinea: “Che il tema dopo tanti mesi sia purtroppo ancora irrisolto lo testimoniano due vicende in corso”. Si sofferma quindi sulle “profonde incertezze sulla riapertura delle scuole a settembre, che al di là del bando su 2,4 milioni di banchi a rotelle identificati come priorità ancora non vedono una risposta precisa alla domanda centrale: che cosa avverrà negli istituti in presenza di contagi?”
C’è poi il tema per i presidi, come si era posto per gli imprenditori riguardo agli ambienti di lavoro, “dello scudo rispetto alla responsabilità penale in caso di contagi”. Bonomi sottolinea inoltre “l’esperienza dei mancati controlli e tamponi di massa al rientro dalle vacanze in Paesi posti dal Governo nella lista dei controlli obbligati”. E come “altra conferma” aggiunge “l’insuccesso della app Immuni”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 7th, 2020 Riccardo Fucile
NEI PRIMI GIORNI PRESENTATE 9.500 DOMANDE
È iniziato dal primo giugno il processo di regolarizzazione dei lavoratori stranieri, la norma per cui la ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova si è battuta al punto da ipotizzare le dimissioni nel caso in cui non fosse stata inclusa nel decreto Rilancio. ù
E sono trapelati i primi dati relativi al provvedimento per l’emersione dei rapporti di lavoro: nei primi quattro giorni, sono state ricevute circa 9.500 domande.
La data ultima per presentarsi, in questura o in prefettura, è il 15 luglio e il provvedimento coinvolge i settori agricoltura, zootecnia, assistenza alla persona e lavoro domestico.
Quando Bellanova l’ha annunciato, centrodestra e Lega hanno scatenato non poche polemiche, apostrofando la norma come una maxisanatoria per gli immigrati.
Ad ogni modo, i primi dati relativi alla sua applicazione rivelano un esordio in sordina, almeno dal punto di vista quantitativo.
Se si proseguirà a questo ritmo, la platea di lavoratori supererà di poco la quota di 100 mila: in media sono arrivate 2.375 domande al giorno.
Moltiplicando la media giornaliera per i 45 giorni della finestra temporale, la misura di Bellanova rischierebbe, dunque, di fermarsi a un quinto della portata prevista.
La ministra, tuttavia, invita alla cautela: «Per una valutazione più approfondita e di merito ritengo opportuno attendere i due step sulla diffusione dei dati indicati dal ministero dell’Interno, stabiliti per il 15 giugno e il primo luglio. Una lettura più approfondita ha bisogno, come è evidente, di avere a disposizione una massa di numeri più eloquente».
Ministra, nel caso in cui la norma non raggiungesse la platea stimata, si tratterebbe di una sconfitta?
«Parto da una premessa indispensabile: per me ogni lavoratrice e lavoratore regolarizzato e sottratto alle mani dei caporali varrà il grande impegno che l’approvazione della norma ha richiesto. Chi nelle scorse settimane mi ha messo alla gogna dei social parlando di invasione e ora critica i primi dati dovrebbe scegliere da che parte stare. Per me è sempre stato chiaro: mai con la mafia dei caporali».
C’è un problema di comunicazione con quei lavoratori che non hanno facile accesso all’informazione?
«È evidente che quella norma tanto più centrerà il suo obiettivo quanto più i lavoratori irregolari che vivono nel nostro Paese e soprattutto negli insediamenti informali saranno correttamente informati di questa opportunità e avranno a disposizione la piattaforma pubblica su cui incrociare domanda e offerta di lavoro. Quella piattaforma che io continuo a ritenere urgente e necessaria, e che dall’Anpal, l’agenzia governativa che si occupa di politiche del lavoro, non è mai stata realizzata come ci ha candidamente detto il suo Presidente — Domenico Parisi — nei giorni scorsi dalle pagine dei giornali. È necessario che i lavoratori stranieri irregolari siano raggiunti da una informazione quanto più corretta e capillare possibile su questa opportunità e chi di dovere, lungo l’intera filiera istituzionale come tra tutti i soggetti interessati a sconfiggere lavoro irregolare e caporalato, agisca di conseguenza».
Quindi, per lei, resta una norma necessaria a prescindere dai numeri degli interessati.
«Le circa 9.500 domande già inviate o in corso di presentazione e le oltre 60 mila visualizzazioni del sito del ministero dell’Interno sono già di per sè eloquenti. Indicano con molta chiarezza la necessità e l’opportunità di questa norma per consentire il controllo dell’emergenza sanitaria anche tra i lavoratori irregolari stranieri presenti nel nostro territorio mettendo al riparo la salute loro e di tutti; per avviare percorsi di emersione e regolarizzazione del lavoro italiano e straniero; per fronteggiare il bisogno di lavoro stagionale in agricoltura; per sconfiggere l’intermediazione illegale e criminale del lavoro e la concorrenza sleale tra imprese».
Pensa che la media giornaliera di domande per permesso di soggiorno e assunzioni aumenteranno?
«Voglio essere chiara: più lavoro irregolare, italiano e straniero, emergerà , più lavoratrici e lavoratori cosiddetti invisibili saranno nella condizione di sottrarsi a questa invisibilità e allo sfruttamento spesso osceno che ne consegue, conquistando identità e dignità . Dobbiamo levare più acqua possibile ai caporali e alla concorrenza sleale tra imprese che nell’agricoltura, ma non solo, avvelena le filiere, indebolendo proprio migliaia di imprese sane e la loro reputazione, in Italia e nel mondo».
(da Open)
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