Ottobre 30th, 2019 Riccardo Fucile
SOSPESO L’ITER PER LA CESSIONE DELLO STABILIMENTO, SERVE TEMPO PER TROVARE UNA SOLUZIONE CONDIVISA
L’annuncio tanto atteso da parte dei dipendenti e lavoratori Whirlpool dello stabilimento di
Napoli. L’azienda, dopo le minacce delle ultime settimane, ha annunciato di aver ritirato il processo di cessione per avere maggior tempo di trattare con il governo e trovare soluzioni (anche a livello sindacale) per evitare licenziamenti di massa. La notizia è stata ufficializzata anche dal ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli.
Whirlpool Emea ha spiegato di «essere pronta a ritirare la procedura di trasferimento del ramo d’azienda, a non procedere con il licenziamento collettivo dei dipendenti di Napoli e a continuare la produzione delle lavatrici — si legge nella nota ufficiale dell’azienda -. Le attuali tensioni siano controproducenti nella ricerca di una soluzione condivisa, a fronte di una situazione di mercato che rende insostenibile il sito e che necessita di una soluzione a lungo termine».
Nelle prossime settimane sono previsti diversi tavoli di confronto con il Mise e le sigle sindacali, per tentare di arrivare a una soluzione condivisa per l’azienda e per i lavoratori. «Whirlpool è convinta che, con maggior tempo a disposizione, si possa ristabilire un dialogo costruttivo e raggiungere una soluzione condivisa per garantire un futuro sostenibile nel lungo termine allo stabilimento di Napoli e ai suoi 400 dipendenti».
Una boccata di ossigeno in attesa di trovare una soluzione che possa esser condivisa tra azienda e governo.
«In queste ore l’azienda mi ha comunicato — ha detto il ministro Stefano Patuanelli in una diretta video su Facebook — la volontà di ritirare la procedura di cessione. E’ un primo passo che ci consente di sederci a un tavolo per risolvere definitivamente i problemi di quello stabilimento. Su questa vertenza il Governo ci ha messo la faccia. Abbiamo ottenuto un importante risultato. Ora ci sono le condizioni per sederci a un tavolo con le parti sociali per provare a trovare una soluzione industriale anche con un impegno del Governo per lo stabilimento».
(da agenzie)
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Ottobre 25th, 2019 Riccardo Fucile
IL M5S HA UN SERIO PROBLEMA CON LA DEMOCRAZIA: I LAVORATORI HANNO DIRITTO DI SCIOPERARE E PERDONO UN GIORNO DI STIPENDIO… DI MAIO E LA RAGGI IMPARINO IL RISPETTO VERSO CHI LAVORA
Il MoVimento 5 Stelle, lo abbiamo scritto più volte, ha un serio problema con la democrazia. Lo ha dimostrato una volta di più, caso mai fosse necessario, la sindaca di Roma Virginia Raggi che ha attaccato i sindacati dicendo che “tengono in ostaggio” la città e dichiarato che “la maggior parte dei cittadini è stanca di scioperi ingiustificati”.
Ora fortunatamente per noi non è la Raggi a dover decidere del diritto di sciopero dei lavoratori. Ed anzi probabilmente a Roma lo sciopero generale non ci sarebbe stato se l’Amministrazione avesse risolto (leggi: lavorato) i problemi di Roma Metropolitane, AMA, ATAC o Roma Multiservizi.
Cosa che in questi tre anni non è stata fatta, come ben sanno i romani che hanno già iniziato ad essere stufi, ma di Virginia Raggi.
Diverso è invece il caso di Luigi Di Maio, che oggi fa il ministro degli Esteri ma che fino a due mesi fa era il ministro del Lavoro.
Ospite ad un giorno da pecora Di Maio ha detto «è mai possibile che tutti gli scioperi si facciano di venerdì? La storia che alcuni sindacati fanno sempre sciopero il venerdì per fare il weekend lungo, mi sembra ormai una questione indecente, è un po’ sospetto».
Il ministro ritiene di essere “insospettabile” perchè «da ministro avevo proposto il salario minimo e il decreto dignità » ma in realtà quello che ha detto è abbastanza chiaro.
È esattamente lo stesso discorso che fanno quei libtard che sono contro il diritto di sciopero (un diritto garantito dalla Costituzione) e pensano che scioperare sia come andare a fare il weekend a Cortina.
Ed è la dimostrazione che nei 14 mesi trascorsi al Ministero del Lavoro Di Maio non sapeva che cosa stava facendo. Perchè altrimenti saprebbe che a chi sciopera viene tolto un giorno di stipendio, e per chi guadagna un migliaio di euro al mese (non diecimila come Di Maio) anche un giorno può fare la differenza.
Certo, bisogna aver lavorato — e scioperato — per poterlo capire. Chissà cosa ne penseranno i lavoratori della Whirlpool, che sciopereranno giovedì 31 ottobre, proprio prima del ponte di Ognissanti.
Chissà cosa dirà Di Maio, anche per loro dirà che lo fanno per fare qualche giorno di ferie in più? Immaginiamo di no, perchè 420 di quei lavoratori da novembre un lavoro non ce l’avranno più. E se sono in quella situazione è proprio per merito del buon lavoro svolto da Di Maio. Ma a Di Maio i lavoratori evidentemente piacciono solo quando gli cantano «dai Di Maio non mollare, dai Di Maio non mollare» sotto al Ministero.
E così mentre la sindaca di Roma insulta i sindacalisti l’ex ministro del Lavoro nonchè Capo Politico del M5S insulta direttamente i lavoratori la cui unica colpa è di lottare per i propri diritti.
Diritti che sono stati negati dalla mancanza di capacità dell’Amministrazione capitolina, che non ha saputo ascoltare le istanze e le rivendicazioni dei lavoratori.
«Così non si crea un torto alla politica, ma ai cittadini che devono tornare al lavoro» dice Di Maio mentre cerca di mettere i lavoratori gli uni contro gli altri.
Non una parola sulla vertenza di Roma Multiservizi, con la Raggi che ha sospeso i pagamenti del Comune e l’azienda che ha tagliato gli stipendi del 30%. Senza dimenticare di quando l’ex assessora Paola Muraro aveva promesso che il Comune avrebbe assunto i dipendenti della società . No: per il M5S è meglio scaricare la colpa sui lavoratori e sui sindacati, non sia mai che anche i politici — la cast
avrebbe detto qualcuno tempo fa — dovesse trovarsi ad assumere le proprie responsabilità . Ed a proposito di responsabilità ricordiamo a Di Maio che i lavoratori non scioperano per fare un giorno di vacanza, mentre lui al Ministero del Lavoro ha lasciato in sospeso 158 crisi aziendali perchè era troppo impegnato a fare il vicepremier, il capo politico e il bisministro.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 20th, 2019 Riccardo Fucile
“PRONTI ALLA PIAZZA SE SI TOCCA IL TAGLIO DEL CUNEO FISCALE”… “I POLITICI PARLINO DI LAVORO”
“Il messaggio che si deve dare al paese non è ‘no tasse’ ma ′ no evasione fiscale’”. Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, a Mezz’ora in più interviene sulla manovra e sottolinea che per il sindacato la battaglia che va condotta non è quella alla tassazione, ma a chi non paga i tributi.
Non si dice preoccupato dalla piazza del centrodestra di ieri: “Non è la prima volta con Berlusconi anni fa fu riempita molto di più. C’è invece un elemento che preoccupa: una serie di messaggi che arrivano da lì e non solo, su un punto e anche dalla Leopolda. Se di fronte a quanto accade da destra e non solo arriva il messaggio che il problema e no tasse questo è inaccettabile. Il messaggio che deve dare il paese è basta evasione fiscale. Una lotta che va rafforzata”, sostiene. E ancora: “Per me chi evade il fisco ruba e deve essere sanzionato, no ai condoni”.
“Abbiamo apprezzato il fatto che il governo ci abbia chiamato prima di fare la legge di stabilità ”, ha continuato. Alcune richieste dei sindacati sono state accolte in manovra: “Ad esempio la riduzione del cuneo fiscale”, dice Landini.
Poi il messaggio all’esecutivo: “Il governo con noi ha preso degli impegni. E la riduzione del cuneo e la lotta all’evasione per noi sono punti fondamentali”. Quanto al cuneo, il sindacato è pronto alla piazza: ”È indubbio che dentro una situazione con più forze politiche c’è una discussione, ma se vi confrontate con il sindacato e vi prendete degli impegni non può succedere che siano messi in discussione per le beghe interne, dovrete renderne conto”.
Un riferimento poi alla manifestazione del centrodestra: “Quando abbiamo riempito San Giovanni non avevamo una piazza di parte, era una piazza che aveva unito. Avevamo messo insieme lavoratori che avevano potuto votare a destra come sinistra”.
Il messaggio a Salvini e Renzi è chiaro: “Vorrei che parlassero di quello che sta facendo” nel mondo del lavoro, dice. Il riferimento è a un fatto recentissimo che ha visto, loro malgrado, protagonisti dei fattorini di Bologna: “A Bologna hanno licenziato 40 rider e a Crotone sono stati licenziati dei lavoratori con un WhatsApp.
Il problema è il presente, devono rimettere al centro il lavoro e la qualità del lavoro. Ma di questo non ne parlano”.
Poi il focus su Alitalia: “Stiamo chiedendo che si acceleri. Nulla in contrario all’ingresso di Fs, Atlantia o del Mef con una quota. Ma è necessario che si definisca un piano industriale”.
Per fronteggiare la vicenda Whirlpool, e tutte le altre crisi industriali, servirebbe secondo Landini una “agenzia per lo sviluppo, una sorta di nuova Iri”. Si tratterebbe, continua, di “nuovi strumenti”: “non si tratta di nuove nazionalizzazioni ma di un intervento pubblico”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 13th, 2019 Riccardo Fucile
L’OPERAIO CHE RACCOGLIE LE STORIE DELLE VITTIME: “BASTA PARLARE DI NUMERI, SONO PERSONE”
“Basta parlare soltanto di numeri: quelle sono persone. Lavoratori con degli affetti, una moglie, dei figli,
che la mattina sono usciti per andare al lavoro e poi non sono più tornati a casa”.
Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico di 45 anni della provincia di Firenze, alle statistiche preferisce le storie.
Ogni giorno passa al setaccio i mezzi di informazione per aggiornare l’elenco delle vittime sul posto di lavoro.
Più di 700 dall’inizio dell’anno, come viene ricordato oggi a Palermo nella giornata nazionale dedicata al tema e in occasione della quale anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ribadito che “la sicurezza di chi lavora è una priorità sociale”.
Quello di Bazzoni però non è un freddo database di numeri, ma una sequenza di nomi e cognomi, di brevi ricostruzioni, piccoli frammenti per raccontare chi fossero le persone che non ci sono più.
“Lo faccio per restituire loro un po’ di dignità . A volte nemmeno si conosce il nome di chi è morto. Ma anche loro hanno delle storie, delle famiglie che hanno perso un proprio caro, è giusto che venga ricordato”.
Poche righe per trascrivere il nome di chi non c’è più, la sua età e, quando è possibile, le circostanze dell’incidente. Così, storia dopo storia, l’elenco dei morti diventa una lunghissima sequenza di frammenti di vite, restituendo con forza maggiore la portata della strage in corso.
“Ho cominciato a occuparmene dal 2006, ho visto che se ne parlava troppo poco e ho iniziato a scrivere ai mezzi di informazione perchè se ne occupassero di più”, racconta Bazzoni, che oggi è anche rappresentante per la sicurezza nelll’impresa in cui lavora, una fabbrica di macchine enologiche.
Con alcuni dei famigliari delle vittime si è anche messo in contatto. “Alcuni li ho aiutati, quando si perde un proprio caro, un fratello, un padre, succede che si resta soli, ci si sente abbandonati da tutti, soprattutto dalle istituzioni. Ci sono anche delle problematiche burocratiche da affrontare: ottenere la rendita Inail ad esempio non è semplice, quando posso cerco di dare loro una mano”.
Intanto però l’elenco delle vittime si allunga, da dove cominciare? “Innanzitutto dovremmo smetterla di chiamarle ‘morti bianche’, perchè così sembrano tragiche fatalità , come se non ci fosse nessun responsabile dietro. Sembra quasi un modo per sminuirle”.
I responsabili invece ci sono, così come è ancora troppo debole l’azione del governo in questo senso. “Sono stati presi degli impegni a ridurre gli infortuni, si continuano a fare tavoli qui e lì, vorrei che si passasse dalle parole ai fatti”.
Ad esempio rafforzando gli strumenti di prevenzione. “Gli ispettori del lavoro di cui si parla spesso, controllano solo la regolarità contributiva e sicurezza nei cantieri edili, ma devono sempre avvisare le Asl territorialmente competenti. I tecnici delle prevenzione sono circa 2000 in tutta Italia, con circa 4 milioni di aziende da controllare. Se le dovessero controllare tutte, ogni azienda riceverebbe un controllo ogni 20 anni”, sottolinea Bazzoni. “Avevo letto che il Ministro del Lavoro Catalfo voleva aumentare gli ispettori del lavoro di 150 unità , ma casomai bisogna aumentare i tecnici della prevenzione dell’Asl, che non dipendono dal Ministero del Lavoro ma dalle Regioni”.
La politica insomma non può più voltarsi dall’altra parte. Le leggi esistono, ma ancora restano inapplicate: “C’è il Testo Unico per la sicurezza, è stato approvato 11 anni fa, ma mancano i decreti attuativi. Quello lo devono fare loro che sono al governo, non io che sono in fabbrica”.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 28th, 2019 Riccardo Fucile
I COMPRATORI SI SONO TIRATI INDIETRO
Il 6 agosto al Mise l’allora ministro Di Maio aveva promesso: «Nessuno perderà il lavoro». Quel giorno venne resa nota la firma dei contratti preliminari tra il gruppo Toskoz, proprietario della storica fabbrica del cioccolato Pernigotti nata nel 1860, e le due aziende che erano rimaste in campo dopo una «selezione» durata mesi tra varie società del settore dolciario in seguito all’accordo sindacale per la chiusura con reindustrializzazione firmata a febbraio.
Oggi, fa sapere La Stampa, i compratori si sono tirati indietro:
Mercoledì scorso, di nuovo al Mise, a Roma, era previsto il tavolo per sancire la firma dei contratti definitivi, prevista per il 30 settembre, ma tutto è stato rinviato al 2 ottobre poichè, secondo la Pernigotti, Emendatori ha interrotto la trattative proprio nel finale.
La Spes, da parte sua, era pronta ad andare avanti ma ieri sera è arriva l’ennesima doccia fredda per i lavoratori e per una città intera: la Spes ha annunciato che la Pernigotti ha rescisso il contratto preliminare a pochi giorni dal 30 settembre.
La coop torinese ha fatto sapere che il gruppo Toksoz ha motivato la sua clamorosa decisione con l’impossibilità di definire il contratto definitivo con Emendatori.
La Spes sarà comunque presente al tavolo del 2 ottobre al Mise «per rispetto dei lavoratori e delle istituzioni». I sindacati sono sorpresi ma solo in parte dalla notizia.
«Era nell’aria anche questo colpo di scena — dice Marco Malpassi della Flai Cgil -. Lunedì a Milano avremo un incontro nella sede della Pernigotti e attendiamo il 2 ottobre a Roma per vedere cosa ci diranno».
Lo staff di Emendatori starebbe però ancora trattando con Pernigotti: i lavoratori dello stabilimento vogliono credere che resti ancora un ultimo minimo spiraglio di speranza
(da agenzie)
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Settembre 18th, 2019 Riccardo Fucile
LO STUDIO UNIONCAMERE E ANPAL: IL 31% DEI POSTI DIFFICILI DA COPRIRE…”SERVE CHE SCUOLA E MONDO DEL LAVORO PUNTINO SULLA FORMAZIONE”
In Italia ci sono circa 1 milione di posti di lavoro lasciati scoperti. In altre parole, le aziende vorrebbero assumere figure talvolta altamente specializzate che però non riescono a trovare sul mercato.
I dati sono stati sviluppati sulla base dell’Indagine Excelsior — Unioncamere e Anpal, pubblicata ieri, lunedì 16 settembre: nella fotografia scattata dagli esperti sul mondo dell’occupazione nel nostro Paese c’è da un lato una situazione favorevole, con numero di contratti in crescita nel mese in corso, circa 20mila in più rispetto allo stesso mese del 2018, con un incremento di 4,8 punti percentuali da parte soprattutto delle imprese del comparto industriale e terziario, dall’altro le difficoltà da parte delle stesse nel reperire le figure professionali richieste.
Potrebbe sembrare un paradosso: a fronte degli oltre 435mila contratti di lavoro che le imprese intendono attivare, il 31% delle entrate previste risulta non facile da trovare, con un incremento, rispetto a settembre 2018, di ben 5 punti percentuali.
Insomma 1 posizione su 4 resta scoperta perchè non si riesce a trovare la figura adatta. Inoltre, scorrendo il Borsino delle Professioni, si nota come siano soprattutto gli operai specializzati, in particolare fabbri ferrai, saldatori, lattonieri, come pure i tecnici informatici, telematici e delle telecomunicazioni ad essere maggiormente richiesti e, soprattutto, difficili da reperire, con percentuali superiori al 50% se non addirittura al 60%.
E tutto questo nonostante i dati sulla disoccupazione giovanile da record Italia: basti pensare che secondo gli ultimi dati Istat relativi al mese di luglio sull’occupazione, la disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni ha toccato quota 28,9% (+0,8 punti su giugno). Su base annua invece il valore continua a scendere (-2,7 punti), confermando un trend tra i più negativi in Europa. Ma come si è potuti arrivare a questa situazione?
L’esperto: “La colpa? Il rapporto tra scuola e lavoro”
Fanpage.it lo ha chiesto a Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt, l’Associazione per favorire gli studi nel campo del diritto del lavoro e delle relazioni industriali, fondata da Marco Biagi nel 2000.
“Questi dati periodici sono dati da considerare su due livelli — ha sottolineato Seghezzi -. Prima di tutto questi risultati non si devono prendere per oro colato, dal momento che sono il frutto di questionari che le aziende compilano con desiderata specifiche, talvolta non tenendo conto del mercato del lavoro. E poi non bisogna dimenticare che oggi il rapporto tra mondo della formazione e imprese è diventato complicato. Serve più formazione e soprattutto serve che le aziende collaborino in maniera più incisiva e continuata con gli enti di formazione. L’incontro tra questi soggetti deve avvenire prima per poter allineare tutte le competenze”.
Dunque, riflettori puntati su orientamento e formazione: “In Italia — ha concluso Seghezzi — mancano i servizi indispensabili per un passaggio facile dalla scuola al lavoro. La prima ha al momento troppi limiti ed è difficile che riesca a formare a 360 gradi tutte le figure specializzate che le imprese chiedono. Sono quest’ultime che devono intervenire e concludere in un certo senso il percorso formativo. Per cui credo che la soluzione a questa situazione sia che scuola e mondo imprenditoriale cominciano a dialogare prima, magari potenziando l’alternanza scuola-lavoro o incentivando l’orientamento e la pratica in azienda. Misure, queste, che nel nostro Paese sono ancora poco utilizzate”.
(da Fanpage)
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Settembre 12th, 2019 Riccardo Fucile
QUADRO DEBOLE: RALLENTA LA CRESCITA DEGLI OCCUPATI, SI ARRESTA QUELLA DEI TEMPI PIENI
Segnali positivi ma anche parecchie incertezze nell’ultimo rapporto Istat sui dati trimestrali del mercato del lavoro.
Nel secondo trimestre dell’anno, l’Istituto traccia – nei confronti del primo periodo del 2019 – un leggero aumento dell’occupazione e una riduzione degli inattivi, cioè coloro che non hanno lavoro nè lo cercano, con il tasso di senza lavoro che cala al 9,9%.
Secondo i dati dell’Istat, nel periodo aprile-giugno l’occupazione è salita rispetto al trimestre precedente (+0,6%).
Significa 130 mila occupati in più: salgono i dipendenti, sia a termine che permanenti, e in misura minore anche gli indipendenti.
Ma l’aumento non deve lasciare andare a facili entusiasmi: siamo di fronte a un quadro fragile.
Le ore lavorate sono infatti scese leggermente su base congiunturale (-0,1% sul trimestre precedente) e hanno rallentato la loro crescita in termini tendenziali (+0,4%), cioè rispetto all’anno prima.
“Queste dinamiche del mercato del lavoro si inseriscono in una fase di sostanziale ristagno dell’attività economica confermata, nell’ultimo trimestre, da una variazione congiunturale nulla del Pil”.
Sappiamo poi, come ricorda la stessa Istat, che “nei dati mensili più recenti (luglio 2019), al netto della stagionalità , il tasso di occupazione e il numero di occupati mostrano un lieve calo rispetto al mese precedente”.
Anche l’andamento tendenziale degli occupati mostra che i miglioramenti del mondo del lavoro sono in attenuazione.
Prosegue “a ritmi meno sostenuti la crescita del numero di occupati (+0,3%, +78 mila in un anno), dovuta ai dipendenti permanenti a fronte del calo di quelli a termine e degli indipendenti; l’incidenza dei dipendenti a termine sul totale dei dipendenti scende al 17,2% (-0,2 punti in un anno)”.
Si tratta di quella rotazione dovuta anche al Decreto dignità . Ma anche in questo caso, c’è un campanello d’allarme: dopo il rallentamento nell’ultimo periodo, si arresta la crescita degli occupati a tempo pieno mentre prosegue l’aumento del tempo parziale; l’incidenza del part time involontario è stimata al 64,8% dei lavoratori a tempo parziale (+1,2 punti).
Alla crescita dell’occupazione soprattutto nel Nord e più lievemente nel Centro (+0,7% e +0,1%, rispettivamente) si contrappone, per il terzo trimestre consecutivo, il calo nel Mezzogiorno (-0,3%)”.
Sempre restando nel confronto annuale, “per il nono trimestre consecutivo si riduce il numero di disoccupati (-260 mila in un anno, -9,3%), coinvolgendo entrambi i generi, le diverse aree territoriali e tutte le classi di età . Dopo due trimestri di calo, torna ad aumentare il numero di inattivi di 15-64 anni (+63 mila in un anno, +0,5%)”.
Anche vista dal lato delle imprese, la situazione ricalca queste luci e ombre. Se da un lato “prosegue la crescita della domanda di lavoro, con un aumento delle posizioni lavorative dipendenti dello 0,3% sul trimestre precedente e dell’1,5% su base annua, sintesi della crescita sia dell’industria sia dei servizi”; dall’altra parte scendono le “ore lavorate per dipendente” dello 0,6% su base congiunturale e dello 0,9% su base annua. “Il ricorso alla cassa integrazione registra una variazione positiva”.
Il costo del lavoro, infine, cresce dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e del 2,4% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, sintesi di un aumento delle retribuzioni (+0,1% su base congiunturale e +1,6% su base annua) e degli oneri sociali (+0,3% su base congiunturale e +4,5% su base annua).
Tra gli aspetti indagati dall’Istat c’è anche quello della ricerca di lavoro,: seppure in lieve diminuzione, continua a prevalere l’uso del canale informale.
Rivolgersi a parenti, amici e conoscenti rimane la pratica più diffusa (82,7%, -0,7 punti); seguono l’invio di curriculum (65,4%, -0,5 punti) e la ricerca tramite internet (55,6%, -2,0 punti).
Aumenta tuttavia sia la quota di disoccupati che ha contattato il Centro pubblico per l’impiego (22,3%, +1,1 punti) sia quella di quanti si sono rivolti alle agenzie di somministrazione (12,2%, 1,6 punti).
(da agenzie)
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Agosto 14th, 2019 Riccardo Fucile
L’ULTIMO DECRETO E’ SCRITTO SULL’ACQUA, VARATO “SALVO INTESE” E NON E’ STATO ANCORA CONVERTITO
La crisi cancella gli operai. Da Ilva a Whirlpool, da Bekaert a Embraco, il caos del governo lascia irrisolte centinaia di emergenze industriali che, sommate, fanno 240mila posti di lavoro a rischio.
Il decreto per le imprese non arriva alla Gazzetta Ufficiale, a rischio gli ammortizzatori
La task force del Mise spiazzata dagli eventi. Eppure in ballo tra esuberi, delocalizzazioni e ammortizzatori sociali scaduti o in scadenza, c’è il reddito delle famiglie, di intere comunità territoriali.
I tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo Economico sono 158, i lavoratori coinvolti oltre 240 mila, le ore di cassa integrazione autorizzate in giugno erano 27,6 milioni aumentate del 42,6% sul 2018 (in crescita addirittura del 99,8% le ore di Cassa straordinaria e del 451,7% quelle in deroga).
L’emblema di questo limbo è il decreto varato dal Consiglio dei ministri il 6 agosto che sblocca 3,5 milioni per le emergenze industriali in Sardegna (Portovesme con la ex-Alcoa e Porto Torres); 30 per la Sicilia (Termini Imerese con Blutec in primis); 17 per la Whirlpool di Napoli; un milione per Isernia; introduce agevolazioni tariffarie per le industrie energivore (di nuovo la ex-Alcoa); fa un primo passo sui diritti dei rider; ripristina tutele legali “a scadenza” per i manager di ArcelorMittal che guidano l’Ilva, disinnescando così il rischio di chiusura dell’acciaieria.
Tutte norme, però, scritte sull’acqua: il decreto, infatti, è stato varato “salvo intese”, dunque non è in Gazzetta Ufficiale e andrà eventualmente convertito in piena crisi di governo.
Una precarietà assoluta che allontana gli investimenti, le multinazionali e che, in queste ore, ha spiazzato anche Giorgio Sorial, collocato da Di Maio alla guida della task force del Mise sulle crisi industriali.
«Quel decreto oltretutto è solo una goccia nel mare – sottolinea Re David – . Va assolutamente confermato e, se possibile, ampliato. Non si parli di ordinaria amministrazione, qualsiasi tipo di governo ci sarà nei prossimi giorni dovrà mettere in sicurezza i lavoratori».
Appello lanciato anche da Marco Bentivogli, leader della Fim-Cisl, sulle pagine de La Stampa: «L’industria italiana rischia davvero il colpo di grazia».
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2019 Riccardo Fucile
QUANDO LE STATISTICHE SONO STRUMENTO PER DIFFONDERE LE BALLE DEL GOVERNO : I DATI SONO CHIARI, BASTA ESSERE ONESTI NEL DIFFONDERLI
Esultanze a destra e a manca per il calo della disoccupazione ai livelli del 2012. I dati dell’Istat parlano di una percentuale che ormai è arrivata al 9,7%. Appunto, il dato più basso dal gennaio 2012. Ma dobbiamo capire, al di là delle consuete strumentalizzazioni delle statistiche e della matematica, che cosa ha portato al calo della disoccupazione, soprattutto in questo ultimo mese.
Si capirà , quindi, a un’analisi più profonda, che la situazione non è molto cambiata rispetto alla precedente rilevazione dell’istituto nazionale di statistica.
L’elemento che ha fatto scendere la disoccupazione al 9,7% è la diminuzione del numero dei disoccupati di circa 29mila unità soprattutto nell’ultimo mese. Ma a cosa è dovuto questo calo così importante?
Lo spiega su Twitter Mario Seminerio economista e divulgatore. Leggendo il report dell’Istat sulla disoccupazione relativamente al mese di giugno, si percepisce una variazione dell’occupazione di -6.000 posti, frutto di +52 mila dipendenti (di cui 43 mila a tempo indeterminato) e -58 mila autonomi.
Come si può evidenziare, non c’è effettivamente la creazione di nuovi posti di lavoro che fa calare il dato complessivo sulla disoccupazione.
La flessione è semplicemente rivelata sulla diminuzione del numero di disoccupati, appunto i 29mila di cui abbiamo parlato in precedenza.
Il calo di disoccupati di giugno (-29 mila) è fatto quasi interamente dalla coorte anagrafica 15-24 anni (-28 mila) e questo stesso numero — 28mila unità — va a rimpolpare le fila degli inoccupati.
Dunque, non c’è un movimento nel settore del lavoro e non ci sarebbe molto da festeggiare. Non c’è un peggioramento, questo è vero, ma la situazione è praticamente statica rispetto alle rilevazioni precedenti.
Gli occupati a giugno non sono aumentati. C’è stata la riduzione della disoccupazione perchè si è ridotto il numero di chi cerca lavoro, a un certo punto qualcuno si è stufato di farlo
(da “NextQuotidiano”)
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