Aprile 8th, 2018 Riccardo Fucile
ERRORI DI TRASCRIZIONE RISPETTO A CENTINAIA DI VERBALI ALLA BASE DEL RICORSO DI UNA CANDIDATA DI FORZA ITALIA CHE AVREBBE OTTENUTO 2700 VOTI IN PIU’… AVENDO GIA’ OPTATO PER IL SEGGIO CALABRESE, SALVINI DOVREBBE FARSI MANTENERE DALLA ISOARDI CHE NON DOVRA’ QUINDI SOLO STIRARGLI LE CAMICIE
Una serie di errori presenti nei verbali della Corte d’Appello di Catanzaro mette a rischio il seggio calabrese
di Matteo Salvini, e quindi la sua elezione in Parlamento visto che la procedura di elezione del Rosatellum non prevede “reversibilità ” per le pluricandidature.
A parlare della curiosissima vicenda è oggi Lucio Musolino sul Fatto Quotidiano. Tutto parte da Michela Caligiuri, candidata al secondo posto nel listino proporzionale di Forza Italia e oggi ricorrente davanti alla presidenza del Senato dopo aver perso il collegio uninominale di Cosenza appannaggio del candidato M5S Nicola Morra.
Le regole del Rosatellum hanno portato alla sua elezione in Calabria, nella circoscrizione in cui la Lega ha ottenuti il quoziente più basso.
Nella regione Forza Italia ha portato a casa un solo senatore
Il secondo non è scattato perchè il riparto dei seggi, “operato dall’ufficio elettorale centrale e dell’ufficio elettorale regionale”, è stato “in favore della Lega”.
Ciò è avvenuto, secondo la candidata Caligiuri, perchè “in Corte d’Appello a Catanzaro sono state invertite le colonne dei voti di Forza Italia con le colonne dei voti di Fratelli d’Italia”.
“In molte sezioni,di cui ho acquisito i verbali —aggiunge — i voti erano riportati al contrario. Questo è avvenuto un po’ in tutta la Regione. Rifacendo i calcoli, in realtà il seggio era scattato per Forza Italia e non per la Lega”.
“Errori marchiani — spiega l’avvocato Oreste Morcavallo che assiste la candidata cosentina di Forza Italia —Credo che sia un dato completamente falsato”.
Ecco perchè, al primo punto, il legale calabrese contesta il “verbale di proclamazione nella parte in cui è stato proclamato eletto nel collegio plurinominale della Calabria per il Senato della Repubblica il candidato Matteo Salvini”.
Gli errori di trascrizione che hanno riguardato centinaia di sezioni hanno portato un divario tra i risultati effettivi e quelli risultanti nei verbali: si parla addirittura di 2700 voti.
La Caligiuri ha chiesto alla Corte d’Appello di annullare la proclamazione in autotutela ma le hanno risposto picche. Per questo adesso si muove verso il Senato. Con una possibile brutta sorpresa in arrivo per Salvini.
(da agenzie)
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Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile
INCONTRA I DUE COORDINATORI INDAGATI PAGANO E ATTAGUILE MA NON SI PUO’ PERMETTERE I PROVVEDIMENTI CHE CHIEDE SOLITAMENTE AGLI ALTRI PARTITI CHE HANNO INDAGATI
Nessun commissariamento, almeno per il momento. 
Matteo Salvini, all’indomani dell’inchiesta che ha travolto la Lega in Sicilia, s ela cava con le tipiche frasi di cirocstanza: “Voglio leggere le carte, ci sono delle cose che non mi convincono”.
Il leader del Carroccio, per ora, si limita a timide bacchettate ai suoi dirigenti: “Ho dato indicazione a tutti di scegliere ovunque volti nuovi, quanto al pregresso… ma da domani si cambia, staremo più attenti. Quando si cresce – dice Salvini – bisogna stare attenti e saremo sempre più attenti ma questo ovunque, da Varese a Catania. E’ chiaro che quando rappresenti milioni di italiani devi essere doppiamente attento”, ha aggiunto Salvini.
Come se questi dirigenti non li avesse scelti lui.
L’inchiesta di Termini Imerese per voto di scambio e attentato ai diritti politici ha mandato ai domiciliari l’ex deputato regionale Salvino Caputo e il fratello Mario, che si candidò al suo posto alle Regionali 2017.
Indagati i due coordinatori regionali Alessandro Pagano e Angelo Attaguile, che restano nei loro incarichi.
La decisione presa al termine di un incontro a Roma durato circa un’ora.
“C’è serenità – afferma Pagano dopo l’incontro – e non esiste alcuna ipotesi di commissariamento. Abbiamo dimostrato che noi siamo stati più che fedeli”
Conta la fedeltà o l’onestà ?
(da agenzie)
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Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile
IL PRIMO NON SA O NON RICORDA COSA FA IL SECONDO
C’è un Salvini A e un Salvini B. Un Matteo di diritto e un Matteo di rovescio.
E la cosa stupefacente è che il primo Salvini non sa che combina il secondo.
Matteo, per esempio, non sa o non ricorda che il Rosatellum, questa immonda legge elettorale, è anche opera sua.
Anzi, per dirla tutta, dobbiamo ringraziare lui se è stata approvata.
I due Matteo infatti non si parlano, e quindi il primo non sa nemmeno che il secondo ha ottenuto, durante la campagna elettorale, un aiutino, qualche migliaio di voti, da Giuseppe Scopelliti, ex sindaco di Reggio Calabria ed ex governatore della Regione, da ieri costretto al fermo tecnico in carcere per aver falsificato i bilanci della sua città , oggi in dissesto, al tempo in cui la sgovernava.
E Scopelliti insieme a Gianni Alemanno, inquisito per finanziamento illecito e incappato nelle maglie dell’inchiesta su Roma Capitale — aveva fondato il movimento per la sovranità .
Quella che tanto piace a Salvini, il primo dei due.
E Matteo, il primo Matteo, neanche sa o ricorda che il suo alter ego si era fatto ritrarre in una bella foto al mare con Alessandro Pagano, a cui ha concesso l’onore di guidare il movimento in Sicilia, con un bel curriculum politico alle spalle: una sorta di re del trasformismo.
Ai domiciliari per voto di scambio sono finiti in questi giorni il coordinatore palermitano Salvino Caputo e suo fratello, candidato non eletto alle regionali.
Se Matteo sapesse, altro che ruspa…
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 5th, 2018 Riccardo Fucile
SONO GIA’ QUATTRO I POLITICI INDAGATI PER LA VICENDA CAPUTO, PIU’ RIZZOTTO PER APPROPRIAZIONE INDEBITA
La Lega di Matteo Salvini forse non è più la Lega Nord ma non si può dire che il segretario del
Carroccio abbia perso la sua vocazione “verde”.
E se il verde non è più quello delle camicie del leghisti della prima ora e della Padania cosa c’è di più verde ed ecologico del riciclaggio di candidati sempreverdi adatti ad ogni stagione politica?
In Sicilia Noi con Salvini e la Lega hanno così imbarcato numerosi esponenti politici di lungo corso che però ora, alla luce di alcune inchieste giudiziarie, rischiano di non essere una scelta così pulita.
Il caso di Salvino Caputo, il dirigente di Noi con Salvini arrestato con l’accusa di voto di scambio, è solo la punta dell’iceberg.
Alle regionali del novembre 2017 l’avvocato Caputo (ex AN) non poteva essere candidato a causa di una condanna passata in giudicato.
Caputo nel 2013 era stato dichiarato decaduto da deputato dell’ARS per una condanna per tentato abuso d’ufficio quando era sindaco di Monreale: era stato accusato di aver tentato di annullare contravvezioni stradali elevate a esponenti politici ed ecclesiastici ed è stato condannato a un anno e cinque mesi con una sentenza diventata definitiva.
Il colpo di genio venne ad Alessandro Pagano oggi deputato della Lega al tempo coordinatore del partito di Salvini per la Sicilia occidentale.
In un’intercettazione dei Carabinieri riportata dal Fatto Quotidiano Pagano spiega: «Non possiamo prendere settemila-seimila voti e buttarli al macero male che va candidi tuo figlio». Pagano precisa anche le modalità dell’operazione: «Caputo senza fotografie e Gianluca detto Salvino, basta così, funziona così». Detto, fatto.
Nei manifesti elettorali campeggia solo il cognome, senza il nome del fratello Mario e senza foto. In lista invece si trova il nome di Caputo Mario, detto Salvino.
La storia surreale ricorda quella di un film di Eddie Murphy (Il Distinto Gentiluomo) dove gli elettori sono convinti a votare per un candidato che ha lo stesso cognome dello storico candidato del collegio.
A sua volta Salvino spiegava ai suoi fedelissimi che il candidato sarebbe stato Mario «ma nella lista mettiamo “detto Salvino” in modo da non perdere voti, le persone sono convinte che sono io».
Durante la campagna elettorale per le regionali c’era anche chi ripeteva lo slogan «Salvini a livello nazionale e Salvino alle Regionali». E non finisce qui.
Nell’inchiesta sono stati documentati anche dodici episodi di voto di scambio attraverso la promessa di posti di lavoro a disoccupati.
Il giorno dopo il “successo” delle regionali Salvini in conferenza stampa spiegò che i voti che in Sicilia Noi con Salvini aveva ottenuto erano voti puliti, onesti, conquistati uno per uno “senza candidare la qualunque”.
L’indagine della procura di Termini Imerese però solleva parecchi dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni del leader della Lega.
Caputo è indagato per «Attentato ai diritti politici dei cittadini» proprio a causa di quel “detto Salvino” fatto mettere nelle liste per ingannare gli elettori.
Non tutti infatti erano a conoscenza del fatto che Salvino Caputo non si era candidato e quindi potrebbero essere stati tratti in inganno dal trucchetto elettorale.
Insieme ai due fratelli Caputo (Mario e Salvino) sono indagati anche l’onorevole leghista Alessandro Pagano — che tramite il suo avvocato ha fatto sapere che darà il consenso all’utilizzo delle intercettazioni — e Angelo Attaguile responsabile regionale di Noi con Salvini che stando a quanto precisa l’avvocato è indagato per istigazione a commettere il reato di «Attentato ai diritti politici dei cittadini» (art 294 del C.P.).
A completare il quadro dei leghisti siciliani sotto indagine c’è anche Antonino “Tony” Rizzotto. Rizzotto è stato il primo “leghista” eletto all’Assemblea regionale siciliana e subito dopo “scoprì” di essere indagato per appropriazione indebita aggravata ai danni di un istituto di formazione di cui era Presidente.
Ieri durante la puntata di Circo Massimo — la trasmissione radiofonica condotta da Massimo Giannini — il vicesegretario della Lega Giancarlo Giorgetti si è detto «deluso e amareggiato per errori nelle scelte di cui dobbiamo far tesoro» e ha puntato il dito contro i dirigenti locali del partito che «hanno sbagliato a puntare su personaggi che venivano dal passato».
Il punto è che anche i riferimenti locali di Noi con Salvini vengono dal passato.
A partire dal segretario Attaguile — ex DC ed ex MPA — per arrivare al deputato eletto all’ARS (già fedelissimo di Raffaele Lombardo ed ex PdL) e arrivando al deputato Carmelo Lo Monte (che ha transitato per quasi tutte le formazioni parlamentari presenti e passate) in larga parte Noi con Salvini è un partito fatto da ex di altri partiti. Anche Alessandro Pagano non è proprio un politico di primo pelo, fu assessore della giunta di Totò Cuffaro e dopo essere uscito dal PdL approdò all’NCD di Angelino Alfano (che era alleato con il PD).
Giorgetti dà ora la colpa ai “referenti locali” ma quando nel febbraio del 2015 Salvini sbarcò in Sicilia per presentare il suo partito personale era già cosa nota che i “riciclati” fossero una componente fondamentale e chi li aveva scelti?
Il vicesegretario del Carroccio non può certo incolpare il Capo, però è evidente che Salvini e il suo entourage hanno delle belle responsabilità . Noi con Salvini in Sicilia è un partito fantastico perchè non esiste, come quello dell’Isola che non c’è.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 4th, 2018 Riccardo Fucile
I SOLITI RICICLATI DA SALVINI FATTI DIVENTARE COMMISSARI DI PALERMO E CANDIDATI ALL’ARS: SONO L’EX DEPUTATO REGIONALE SALVINO CAPUTO GIA’ CONDANNATO PER ABUSO D’UFFICIO E IL FRATELLO MARIO
Con l’accusa di voto di scambio, i carabinieri del Provinciale di Palermo hanno arrestato l’ex
deputato regionale siciliano Salvino Caputo, dirigente di «Noi con Salvini».
L’ex parlamentare, avvocato di Monreale, commissario straordinario per i comuni della provincia di Palermo del movimento Noi con Salvini durante le elezioni della scorsa primavera, è finito agli arresti domiciliari su proposta della Procura della Repubblica di Termini Imerese.
Ai domiciliari anche il fratello, Mario Caputo, avvocato monrealese, candidato non eletto durante le ultime elezioni dell’Ars nelle liste del movimento Noi con Salvini, e Benito Vercio, 62 anni, indicato dagli investigatori come «procacciatore di voti nel termitano».
LA VICENDA
Nel corso delle indagini, la Procura della Repubblica avrebbe, inoltre, dimostrato «dodici episodi di compravendita di voti in cambio di promesse di posti di lavoro o altre utilità posti in essere da due degli arrestati in correità con ulteriori indagati».
I dettagli dell’operazione saranno resi noti a in Procura, a Termini Imerese, nel corso di una conferenza stampa tenuta dal Procuratore della Repubblica di Termini Imerese Ambrogio Cartosio, dal Sostituto Procuratore Annadomenica Gallucci e dal Comandante Provinciale Carabinieri di Palermo Antonio Di Stasio.
IL PROFILO DEGLI ARRESTATI
L’avvocato Salvino Caputo è un politico di lungo corso che ha militato sempre nelle fila del centrodestra. Ex attivista del Msi, per due volte sindaco di Monreale, è stato per quattro legislature deputato regionale eletto con An e Forza Italia prima e con il Pdl poi.
Nella primavera scorsa, infine, l’approdo alla Lega con la nomina a commissario straordinario del movimento Noi con Salvini per i comuni della provincia di Palermo. Ma Caputo ha anche un altro record: è il primo politico siciliano colpito dalla legge Severino.
Nel giugno del 2013 era infatti decaduto da parlamentare regionale in seguito a una condanna definitiva a un anno e cinque mesi per tentato abuso d’ufficio.
Da sindaco di Monreale, infatti, avrebbe tentato di cancellare alcune multe che i vigili urbani avevano contestato all’allora arcivescovo Salvatore Cassisa e ad alcuni suoi ex assessori. Inutile il ricorso in tribunale con il quale Caputo aveva cercato di rimanere all’Assemblea regionale siciliana contestando l’illegittima retroattività della norma.
Il fratello Mario Caputo si era invece candidato con la lista Fratelli d’Italia-Noi con Salvini alle elezioni regionali dello scorso autunno in Sicilia.
«Ci credo molto, e mi sto impegnando come candidato di nuova generazione per cercare di portare una ventata di novità nella politica regionale», aveva detto, presentando la sua candidatura.
E sulla scheda elettorale aveva scritto “Mario Caputo detto Salvino”, «usando» il nome del fratello Salvino, molto più conosciuto, ex parlamentare Pdl da poco al vertice di Noi con Salvini.
Ex consigliere comunale di Forza Italia a Monreale, Mario Caputo, correva a novembre nella lista Musumeci Presidente. «Sarà una sfida entusiasmante, non era nei programmi. Ma ho deciso di presentarmi in prima persona, e di non delegare ad altri, per riportare all’interno dell’agenda del governo regionale la città di Monreale, vittima soprattutto del disastroso governo Crocetta», aveva spiegato.
Il fratello Salvino Caputo aveva fatto sapere di volersi candidare nel 2019 come sindaco di Monreale.
LE REAZIONI POLITICHE
«È di queste ore l’arresto dei due fratelli Caputo, entrambi purtroppo esponenti di primo piano della Lega palermitana. Senza entrare nel dettaglio della vicenda, mi limito a dire che appena un anno fa venni sostituito proprio da Salvino Caputo alla guida del movimento – afferma Francesco Vozza – ex responsabile palermitano della Lega. «Temo che sia giunta l’ora di dire le cose per come stanno: sI è uccisa un’intera classe dirigente emergente per sostituirla con condannati e riciclati”
(da “La Stampa”)
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Aprile 3rd, 2018 Riccardo Fucile
QUELLO CHE NON DICE L’UOMO CHE VORREBBE GOVERNARE L’ITALIA, I CONTRIBUTI DEL PALAZZINARO ROMANO, I GIROCONTI, GLI INVESTIMENTI PROIBITI CON BANCHE E MULTINAZIONALI ESTERE
Un’associazione senza scopo di lucro. Una onlus usata per ricevere finanziamenti dalle aziende e girarli subito dopo a società controllate dalla Lega.
La porta girevole è stata creata da tre commercialisti fedelissimi a Matteo Salvini nell’ottobre del 2015, nel pieno del processo per truffa che ha poi mandato sul lastrico il partito imponendo il sequestro dei conti correnti.
Ma questo non è l’unico segreto finanziario del nuovo leader della destra italiana, in corsa per diventare capo del governo.
Al riparo da occhi indiscreti ci sono anche milioni di euro investiti in obbligazioni societarie e titoli derivati. Scommesse proibite per un partito politico, stabilisce la legge. Eppure la Lega le ha fatte.
I documenti ottenuti da L’Espresso permettono di andare oltre i bilanci ufficiali e ricostruire un pezzo delle trame finanziarie architettate dal Carroccio negli ultimi sei anni, quelli cioè che vanno dalla cacciata di Umberto Bossi a oggi.
Il risultato è che alla narrazione legalitaria sostenuta pubblicamente da Salvini si sovrappone una gestione economica opaca, che richiama il passato bossiano, tempi che “il capitano” vuole far cadere nell’oblio al più presto.
Ripartiamo dunque dall’inizio. Dov’è finito il tesoro della Lega?
Dove sono spariti i 48 milioni di euro messi sotto sequestro dal tribunale di Genova dopo la condanna di Bossi per truffa ai danni dello Stato?
Da mesi i giudici di Genova sono a caccia di quei denari: soldi pubblici, perchè frutto dei rimborsi elettorali.
Finora sui conti del Carroccio sono stati però rinvenuti poco più di 2 milioni. Gli altri? Usati, spesi, spariti: questo hanno sempre sostenuti i massimi dirigenti del Carroccio. «Oggi sul conto corrente della Lega nazionale abbiamo 15 mila euro», ha detto lo scorso 3 gennaio Salvini, che non perde occasione per ricordare come il suo partito sia senza un quattrino. La stessa cosa si legge sui bilanci ufficiali.
Alcuni documenti bancari aiutano però a comprendere meglio che fine ha fatto la ricchezza leghista. Facendo emergere un fatto inedito: sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti illegalmente.
Una legge del 2012 vieta infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea.
Il partito che si batte contro «l’Europa serva di banche e multinazionali» (copyright di Salvini) ha cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali.
Colossi come l’americana General Electric, la spagnola Gas Natural, le italiane Mediobanca, Enel, Telecom e Intesa Sanpaolo.
Una fiche da 300mila euro è stata messa anche sul corporate bond di Arcelor Mittal, il gruppo siderurgico indiano che ha acquistato l’Ilva promettendo di lasciare a casa circa 4mila lavoratori.
Ma lasciamo stare per un attimo gli investimenti e torniamo al momento in cui tutto è cambiato.
Il 16 maggio del 2012, poco dopo che la notizia dell’inchiesta per truffa ha costretto Bossi a dimettersi da segretario federale, la Lega apre un conto corrente presso la filiale Unicredit di Vicenza.
Nel giro di sei mesi vi trasferisce buona parte della liquidità parcheggiata in altre banche: 24,4 milioni di euro in totale.
È l’inizio di una frenetica girandola di bonifici e giroconti che porteranno, nel giro di quattro anni, al prosciugamento delle risorse finanziarie padane. O almeno di quelle registrate sul conto della Lega nazionale.
Degli oltre 24 milioni arrivati in Unicredit, una decina sparisce quasi subito: prelievi in contanti, pagamenti non meglio specificati, investimenti finanziari, trasferimenti sui conti delle sezioni locali del partito, bonifici a favore di società di capitali controllate dalla stessa Lega come Pontida Fin, Media Padania ed Editoriale Nord.
A gennaio del 2013 un altro colpo di scena. Il partito, allora guidato da Maroni, apre un nuovo conto corrente. Dove sposta una buona fetta del tesoretto custodito in Unicredit. Questa volta la scelta ricade sulla Sparkasse, la cassa di risparmio di Bolzano. Non un istituto a caso.
Il presidente della banca altoatesina è infatti Gerhard Brandstà¤tter, già socio d’affari dell’avvocato della Lega di quel momento, il calabrese Domenico Aiello.
Sul conto della Sparkasse arrivano, oltre a 4 milioni di titoli finanziari, 6 milioni di liquidità . Bastano solo sei mesi, però, e i soldi spariscono.
La maggior parte del denaro viene usata per finanziare la campagna elettorale di Maroni alla presidenza della regione Lombardia: decine di bonifici a società di comunicazione e organizzazione eventi, tra cui spiccano i quasi 400 mila euro diretti alla sede irlandese di Google, punto di passaggio obbligato per chiunque voglia farsi pubblicità sul motore di ricerca più usato al mondo.
Anche in questo caso non mancano i trasferimenti alle sedi locali del partito, ma la parte del leone – come avvenuto pochi mesi prima con il conto Unicredit – la fanno le società di capitali della Lega. Radio Padania: 250 mila. Editoriale Nord: 600 mila. Pontida Fin: 206 mila. Fin Group: 360 mila.
Una volta prosciugato il conto Sparkasse, si torna a puntare tutto su Unicredit.
Ed è qui che vengono a galla i dettagli sugli investimenti finanziari.
Nel dicembre del 2013, quando Maroni è ancora il segretario federale, il Carroccio ha in pancia titoli per 11,2 milioni di euro.
Due terzi della somma equivalgono a buoni del tesoro italiani, mentre il resto sono obbligazioni societarie. Ci sono anche 380 mila euro investiti in un derivato, un titolo basato sull’andamento del Ftse Mib, il principale indice azionario della Borsa di Milano.
Insomma una Lega che, a dispetto della legge e delle dichiarazioni ufficiali contro la finanza speculativa, ha scelto di rischiare parecchio con i soldi dei rimborsi elettorali.
Strategia che non è cambiata quando a Maroni è succeduto Salvini.
Alcuni documenti bancari riassumono il saldo del conto corrente del Carroccio presso Unicredit il 19 maggio del 2014, quando Matteo è ormai da qualche mese in plancia di comando.
Le carte raccontano due fatti.
Il primo è che anche Salvini ha investito i denari del partito in obbligazioni societarie. Nello specifico, Matteo ha puntato 1,2 milioni su Mediobanca, Arcelor Mittal e Gas Natural.
Il secondo fatto salta all’occhio confrontando i saldi del conto corrente leghista a distanza di soli cinque mesi.
Da dicembre del 2013 al maggio del 2014 il patrimonio è crollato, passando da 14,2 milioni a 6,6 milioni.
Non è dato sapere in che modo siano stati spesi così rapidamente tutti quei soldi. Di certo Salvini fino a qualche tempo fa poteva disporre di parecchie risorse, mentre oggi i conti della Lega sono ufficialmente a secco.
Tant’è che lo Stato italiano, attraverso i giudici di Genova, si è dovuto accontentare di sequestrare solo 2 milioni sui 48 teorici.
Perchè la Lega ha investito soldi violando una legge dello Stato?
E come mai i finanziamenti delle imprese sono arrivati sui conti di una sconosciuta associazione no profit invece che su quelli ufficiali?
Alle domande de L’Espresso, il partito guidato da Salvini ha preferito non rispondere. Scelta che alimenta un dubbio: la onlus è stata creata per evitare il sequestro dei soldi da parte dei magistrati?
In mancanza di risposte da parte dei diretti interessati, non resta che attenersi ai fatti documentabili.
L’associazione si chiama Più Voci, esiste dall’autunno del 2015.
All’apparenza sembra una rivisitazione in salsa padana della fondazione renziana Big Bang. Con la differenza che la onlus sovranista non ha nemmeno un sito internet, figuriamoci una lista pubblica dei finanziatori.
A tenerne le redini sono tre commercialisti lombardi che Salvini ha voluto al suo fianco nel nuovo partito: Giulio Centemero, tesoriere, assistito dai colleghi Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni.
Se è vero che la onlus Più Voci finora non ha pubblicizzato alcuna attività politica o sociale, il conto corrente di riferimento mostra una certa vitalità .
Soldi – 313 mila euro in pochi mesi – che entrano, fanno una sosta e poi ripartono per altri lidi. O meglio, verso altri conti intestati a società della galassia leghista: aziende in cui i commercialisti preferiti da Salvini hanno incarichi di rilievo.
Per chiarire meglio il ruolo dell’associazione Più Voci è necessario tornare tra la metà del dicembre 2015 e i primi mesi del 2016, quando sul conto della onlus piovono due bonifici per un totale di 250 mila euro.
La causale è la classica usata per i contributi ai partiti: “erogazione liberale”.
I versamenti sono stati disposti dalla Immobiliare Pentapigna srl.
Un nome che ai più non rivela molto. Scavando sulla proprietà si arriva a uno dei più noti costruttori della Capitale: Luca Parnasi, titolare del 100 per cento delle azioni dell’immobiliare.
Già , proprio l’uomo che dovrebbe costruire il nuovo stadio della Roma, erede di una dinastia di palazzinari (lui preferisce il termine “sviluppatore di progetti”) che con il potere ha sempre flirtato.
Il padre Sandro, era un comunista convinto, ha gettato le basi dell’impero, oggi con le finanze scricchiolanti e con i debiti in mano a Unicredit.
Il figlio Luca preferisce il basso profilo, anche se qualche anno fa ha tentato di far rivivere lo storico quotidiano di sinistra Paese Sera, ma si è dovuto arrendere poco dopo.
Nella sua carriera non ha disdegnato affari con personaggi equivoci. Come quello proposto dal capo della famigerata “Cricca”, Diego Anemone, di recente condannato in primo grado a 6 anni per associazione a delinquere.
Una decina di anni fa, Parnasi acquistò da Anemone per 12 milioni un complesso residenziale di pregio dietro il Pantheon, un tempo nella disponibilità del Vaticano.
Perchè Parnasi ha versato almeno 250 mila euro all’associazione leghista? L’immobiliarista romano non ha risposto alle domande de L’Espresso.
Di certo il primo contributo versato all’associazione Più Voci si concretizza il 12 dicembre di tre anni fa.
Nel pieno dunque della retorica sovranista di Salvini, che già in quel momento può contare sul movimento Noi con Salvini per fare proselitismo sotto il Po.
E sempre a cavallo tra il primo e il secondo bonifico il leader leghista annunciava la presenza della Lega-Noi con Salvini alle Comunali poi vinte dai Cinque Stelle e Virginia Raggi.
Insomma, il sostegno “liberale” offerto dal re del mattone Parnasi potrebbe essere letto in questa ottica locale-Capitale. Un luogo dove il costruttore ha bisogno di mantenere buoni rapporti con tutti, se vuole davvero sperare di costruire lo stadio della Roma.
Ma, forse, non si tratta solo di questioni romane. Perchè i Parnasi si stanno giocando partite decisive per il futuro del loro gruppo anche oltre il Tevere e il raccordo.
C’è per esempio il caso Ferrara. Qui la famiglia di costruttori è proprietaria del Palaspecchi, un grande complesso immobiliare che versa da anni in stato di abbandono.
La politica locale, con in testa la Lega, per diversi anni ha sostenuto l’idea di demolire tutto. Un’ipotesi rischiosa per Parnasi. Per sua fortuna, però, le cose sono cambiate. Dopo anni di tira e molla, all’inizio dell’anno scorso la situazione sembra essere stata risolta con un intervento finanziato principalmente da Cassa depositi e prestiti.
L’ente che gestisce i risparmi postali degli italiani dovrebbe permettere di riqualificare l’intera area e realizzare duecentosessanta alloggi sociali, affiancati da attività commerciali, servizi e spazi verdi.
Un bel sospiro di sollievo per il gruppo Parnasi, che intanto sta facendo parlare di sè anche nell’altra capitale d’Italia, quella economica, Milano.
Un mese e mezzo fa, infatti, il Milan ha affidato al quarantenne Luca Parnasi il compito di individuare un’area adatta a realizzare il futuro campo di proprietà rossonera.
L’immobiliarista ha dunque contribuito in maniera massiccia alla causa di questa sconosciuta associazione leghista.
Non è il solo, però. Con 40 mila euro si piazza Esselunga, la catena di ipermercati della famiglia Caprotti.
Del resto Salvini stesso non ha mai nascosto l’ammirazione per il gruppo concorrente per eccellenza delle Coop. «Grande uomo, mai servo di nessuno», scriveva nel suo addio su Facebook il giorno della scomparsa di Umberto Caprotti.
La causale del bonifico di 40 mila euro versato a giugno 2016 recita “contributo volontario 2016”.
Quasi a voler sottolineare che anche per quell’anno sono in regola con l’attestazione di fiducia verso la Lega sovranista. Esselunga è stata l’unica a rispondere alle nostre domande. La catena di supermercati non ha spiegato perchè abbia scelto di versare almeno 40 mila euro all’associazione leghista invece che donarli direttamente al partito.
Si è limitata a farci sapere che quella cifra «è stata destinata a Radio Padania nell’ambito della pianificazione legata agli investimenti pubblicitari su oltre 70 radio». Ma allora perchè le aziende non versano il loro contributo direttamente alla Lega o a Radio Padania? È un modo per confondere le acque ed evitare il sequestro dei soldi? E per quale motivo scrivere nella causale “Contributo volontario” se di pubblicità si trattava?
Domande a cui non è possibile dare risposta. Il loquace Salvini, questa volta, ha preferito il no comment.
C’è da dire, però, che in effetti, poco dopo essere arrivati sul conto della onlus i soldi, non solo quelli di Esselunga, vengono girati a società di capitali del gruppo leghista. In quattro mesi 265 mila finiscono proprio alla cooperativa Radio Padania, quella della storica emittente del Carroccio, mentre altri 30 mila euro vengono versati sul conto della Mc srl, società leghista che controlla il giornale online Il Populista, diventato lo strumento principe della propaganda salviniana in rete.
Insomma, l’operazione ha tutta l’aria di essere una partita di giro. Anche perchè l’amministratore unico sia della Mc che di Radio Padania è lo stesso Giulio Centemero, tesoriere del partito, che siede nella onlus da cui partono i denari.
Le azioni della Mc sono saldamente in mano alla Pontida Fin, altra cassaforte storica del Carroccio ormai caduta in disgrazia, il cui 1 per cento continua a essere in mano al Senatur Umberto Bossi.
Frammenti di un passato che Salvini vorrebbe rottamare, ma che non riesce a tenere fuori dalla porta. Anche se una cosa Matteo Salvini l’ha cambiata davvero. Roma per i sovranisti cresciuti tra le valli di Pontida non è più ladrona.
Ai tempi di Umberto Bossi era proibito frequentare i salotti. Il Senatur aveva avvertito i parlamentari padani, guai a mischiarsi con il potere romano, tra manager, stelle dello spettacolo e palazzinari.
Con la Lega modello Front National, certe rigidità appartengono al passato secessionista.
(da “L’Espresso“)
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Marzo 30th, 2018 Riccardo Fucile
PIU’ VOCI PER INCASSARE I SOLDI DEI FINANZIATORI E LA ONLUS CHE FA DA SPONDA… ECCO COSA NASCONDE LA LEGA
Dov’è finito il tesoro della Lega? 
Dove sono spariti i 48 milioni di euro che il tribunale di Genova vorrebbe mettere sotto sequestro dopo la condanna di Bossi per truffa ai danni dello Stato?
Da mesi i giudici di Genova sono a caccia di quei denari. Finora sui conti del Carroccio sono stati però rinvenuti poco più di 2 milioni. E gli altri?
«Oggi sul conto corrente della Lega nazionale abbiamo 15 mila euro», ha detto lo scorso 3 gennaio Matteo Salvini, l’aspirante premier, l’uomo che vuole l’incarico di governo e che non perde occasione per ricordare come il suo partito sia senza un quattrino.
Alcuni documenti bancari, tuttavia, aiutano a comprendere meglio che fine ha fatto la ricchezza leghista.
Facendo emergere un fatto inedito: sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti illegalmente.
Una legge del 2012 vieta infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea.
Il partito che si batte contro «l’Europa serva di banche e multinazionali» (copyright di Salvini) ha cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali.
Ma c’è di più.
In questa trama finanziaria si ritaglia un ruolo anche un’associazione finora sconosciuta. Si chiama Più voci. Una onlus come tante, ma di area leghista.
Con una particolarità : è usata dalla Lega per ricevere finanziamenti dalle aziende, denari girati subito dopo a società controllate dal partito.
L’associazione è stata creata da tre commercialisti fedelissimi a Salvini nell’ottobre del 2015, nel pieno del processo per truffa contro Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito.
Non ha un sito web, nè sembra attiva nel dibattito pubblico. Di certo, però, su quel conto corrente hanno lasciato traccia lauti bonifici.
Chi ha finanziato la sconosciuta Più voci?
L’Espresso, in edicola da domenica 1 aprile, pubblicherà i nomi delle aziende e degli imprenditori (insospettabili leghisti) che hanno offerto il loro contributo alla Lega sovranista di Salvini.
Alle domande de L’Espresso, il partito guidato da Salvini ha preferito non rispondere. Ha commentato, invece, chi ha versato parte dei contributi sul conto della onlus.
(da “L’Espresso”)
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Marzo 15th, 2018 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTO HA CENSURATO IL COMPORTAMENTO DEI PARLAMENTARI DELL’ENF PRESENTI CHE HANNO CHIESTO SCUSA … COSA ASPETTA A FARE ALTRETTANTO?
Matteo Salvini non aveva gradito il richiamo alle regole da parte dei giornalisti della sala stampa
di Strasburgo.
Il 13 marzo era il giorno del suo addio all’Europarlamento e il leader della Lega si era portato la claque di eurodeputati e assistenti parlamentari. Applausi scroscianti ad ogni suo intervento.
Più che una conferenza stampa sembrava un comizio, e qualche giornalista ha appunto chiesto se almeno i non addetti ai lavori potevano evitare di applaudire.
Galvanizzato dalla vittoria il futuro premier del Centrodestra ha detto ai colleghi (eh, sì, Salvini è un giornalista) «Se a qualcuno danno fastidio gli applausi può accomodarsi fuori».
Le regole della sala stampa dell’Europarlamento vietano esplicitamente gli applausi durante le conferenze stampa. Il motivo è piuttosto ovvio. Come è ovvio quello per cui Salvini si è presentato attorniato da alcuni esponenti dell’ENF, l’eurogruppo dell’estrema destra europea (Harald Vilimsky del Fpà¶, Nicolas Bay del Front National francese, e Marcel de Graaff il Pvv).
Tra le proteste dei giornalisti accreditati Salvini ha proseguito imperterrito a costruire la sua narrazione della vicenda
Evidentemente per Salvini le regole della sala stampa europea sono contrarie al volere del popolo italiano. Che però non risulta abbia votato per cambiarle.
Nella visione salviniana delle cose i giornalisti sono “complici” nella diffusione dell’ideologia europeista.
Lui invece, da giornalista e da leader politico, non ha alcuna responsabilità della diffusione delle balle sull’invasione organizzata e sul coinvolgimento di Soros e delle ONG nel pianificare gli sbarchi volti a sostituire il popolo italiano.
Quelle del resto servono a prendere i voti con i quali Salvini legittima il suo diritto a raccontare balle.
Il suo non è solo disprezzo per i giornalisti in quanto lavoratori. Non è nemmeno disprezzo per l’Europa e le istituzioni europee. È disprezzo per le regole.
I giornalisti della sala stampa hanno scritto al Presidente dell’europarlamento Tajani per far notare che è la prima volta che accade che un politico invita i giornalisti ad uscire dalla sala stampa “preferendo loro chi in sala dovrebbe esserci (oppure essere presente come ospite che osserva, non come tifoso da stadio)”.
La risposta del portavoce dell’Europarlamento Jaume Duch non è tardata ad arrivare. Secondo l’Europarlamento il comportamento degli invitati di Salvini e la condotta tenuta dai membri dell’ENF è stata in palese violazione delle regole delineando una mancanza di rispetto nei confronti del lavoro dei giornalisti.
Duch ha scritto ai rappresentanti dell’ENF che come tutti i bulli quando vengono ripresi dalla maestra hanno promesso di non farlo più.
Che farà Salvini ora? Utilizzerà la vicenda per raccontare ai suoi elettori di quella volta che ha violato le regole europee (della sala stampa)?
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 13th, 2018 Riccardo Fucile
MAI VISTA UNA CONFERENZA STAMPA CON I TIFOSI SUGLI SPALTI… SALVINI INSULTA I GIORNALISTI: “CHI E’ INFASTIDITO DAGLI APPLAUSI PUO’ ANCHE ANDARSENE”
Proteste dei giornalisti nella sala stampa del Parlamento Europeo, a Strasburgo, all’inizio della
conferenza stampa del leader della Lega Matteo Salvini.
La sala si è riempita, oltre che di cronisti, anche di europarlamentari e di persone del gruppo Enf, che hanno applaudito il politico italiano all’ingresso in sala e non appena ha iniziato a parlare.
Si sono levate proteste da parte dei giornalisti, trattandosi di una conferenza stampa e non di un comizio elettorale, per la folta claque che ha applaudito Matteo Salvini a ogni sua risposta durante la conferenza stampa.
Salvini, in delirio di onnipotenza, ha riposto irritato: “Se a qualcuno non piace il risultato elettorale può andarsene, vedo che a sinistra c’è molta gente nervosa e questo mi fa piacere”.
A un reporter austriaco che gli ricorda di aver assistito ad un episodio simile l’ultima volta in Senegal, il leader della Lega ha risposto ironico: “Viva il Senegal se la pensa come noi”.
Chi lo conosce lo evita.
(da agenzie)
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