Febbraio 28th, 2017 Riccardo Fucile
LA CITTADELLA DEL CAFFE’ NASCERA’ NELL’EX PALAZZO POSTE IN CORDUSIO: “PROGETTO UNICO, OMAGGIO ALLA CULTURA ITALIANA”… PREVISTE 350 ASSUNZIONI E STIPENDI PIU’ ALTI DELLA MEDIA
La prima giornata milanese di Howard Schultz, amministratore delegato di Starbucks, è cominciata presto: prima un’occhiata alle palme davanti al Duomo, poi di corsa da Rocco Princi per una lezione sulla pagnotta perfetta infine un discorso a braccio di quasi un’ora davanti a centinaia di studenti dell’università Bocconi.
Ad ascoltarlo, mentre parla di leadership, ci sono anche l’ex premier Mario Monti e l’ex amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani.
Oggi, invece, al sindaco Giuseppe Sala presenterà il progetto per l’apertura della prima caffetteria Starbucks in Italia.
Il taglio del nastro è in agenda alla fine dell’anno prossimo: la Roastery (torrefazione, ndr), uno spazio da 2.400 metri quadrati, occuperà l’intero palazzo delle Poste di Piazza Cordusio. E “sarà il nostro fiore all’occhiello. Un progetto unico”, spiega il manager che la scorsa estate ha annunciato una partnership con Princi, la panetteria milanese che sfornerà i prodotti per tutte le Roastery del gruppo: da Seattle a Shanghai, da New York a Milano.
“C’è voluto tempo per trovarlo, ma la prima volta che sono passato davanti all’edificio di piazza Cordusio – racconta Schultz – ho capito che sarebbe stato il posto perfetto per dare onore all’artigianalità del caffè e dare omaggio alla cultura italiana”.
L’apertura della prima caffetteria italiana chiude il cerchio di un’avventura iniziata nel 1971 a Seattle, ma il primo approccio con la città non è stato dei migliori.
Il giardino tropicale con palme e banani davanti al Duomo ha diviso i milanesi. E c’è stato il vandalo che ha bruciato una delle piante, la Lega Nord che ha colto l’occasione per attaccare il Comune che “così i clandestini si sentiranno a casa”, mentre il sindaco su Instagram ha ammesso di non essere “così entusiasta dell’idea, ma c’è stato un bando e la sovrintendenza si è espressa in modo positivo”.
“Il dibattito sulle palme ci ha stupiti”, dice Schultz. Spiegando che le sponsorizzazioni sono una strategia già adottata in diverse situazioni: “Quando entriamo in una città nuova, soprattutto in una interessante e dinamica come Milano, vogliamo dare subito qualcosa alla comunità . Lo facciamo prima di aprire la caffetteria, è una sorta di captatio benevolentiae e anche per questo la reazione ci ha stupiti così tanto”.
Il manager però ci tiene a sottolineare come Starbucks non abbia “disegnato il giardino: noi siamo semplicemente gli sponsor ed è abbastanza strano per noi essere in questa posizione. Cerchiamo sempre di essere molto umili e rispettosi, spero che la gente capisca che volevamo solo fare qualcosa di utile per la città “.
Anche perchè sul piatto c’è un investimento da decine di milioni di euro e la promessa di centinaia di assunzioni: “Milano è risorta dopo l’Expo. L’apertura della Roastery sarà una catalizzatore che mostrerà al mondo che posto incredibile sia Milano per investire. Per noi, invece, sarà l’inizio di una nuova avventura”
Un messaggio che il manager ha ripetuto anche davanti agli studenti della Bocconi dove ha parlato di leadership.
“Per noi questi sono appuntamenti fondamentali nella formazione degli studenti – dice il rettore, Gianmario Verona -. Sono argomenti difficili da trasmettere attraverso i libri e le lezioni. Schultz è un grande esempio per i nostri studenti, anche perchè tratta con grande attenzione il tema della corporate social responsability”.
“Le grandi aziende – ha spiegato Schultz – hanno grandi responsabilità . Non solo verso i loro azionisti, ma anche nei confronti dei loro dipendenti e delle comunità nelle quali vivono. Noi cerchiamo sempre di fare la nostra parte lavorando sul giusto bilanciamento tra utili e impatto sociale”.
Per Milano il manager promette salari più alti della media e assunzioni stabili oltre all’apertura di nuovi punti vendita nel corso del 2018.
La Roastery di piazza Cordusio sarà gestita direttamente dal gruppo americano, le altre caffetterie, invece, saranno avviate da Percassi.
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 21st, 2017 Riccardo Fucile
LA TRACHYCARPUS WAGNERIANA DEVE LA SUA FORTUNA AL BOTANICO TEDESCO CHE LA PORTO’ DAL GIAPPONE A BERLINO… QUEI DEMENTI HANNO BRUCIATO UN PEZZO DI STORIA EUROPEA
la Trachycarpus Wagneriana deve la sua fortuna al botanico Albert Wagner che la portò dal
Giappone a Berlino
Verrà la domenica della Palme e sanerà il tutto. Per il momento si può parlare della discordia della palme.
Infatti chi pensa che le palme della piazza del Duomo, a Milano, siano un’esaltazione filo araba si confonde.
Araba e mediterranea d’origine è la Phoenix Canariensis, quella palma dei litorali e del meridione italiano che già era coltivata dalle parti nostre in epoca romana e oggi si è ammalata per colpa del punteruolo rosso, il temibile Rhyncho-phorus ferrugineus, stupidamente importato da vivai a basso prezzo in Egitto dove è endemico.
Le palme del Duomo sono invece quelle tipiche dei giardini di fine 800 in Inghilterra come nell’Italia del Nord, in quanto resistono fino a 15 gradi sotto-zero.
La si deve, questa palma, alla geniale attività di Robert Fortune (1812-1880) che, andato in Cina per rubare piante da tè da impiantare in India, si portò nelle isole britanniche anche vari esemplari di Trachycarpus oggi chiamate Fortunei in suo onore: la pianta si adattò ai giardini europei con facilità , visto che proveniva dalle aree meridionali dell’Himalaya.
La sua parente più piccina, la Trachycarpus Wagneriana deve la sua fortuna al botanico Albert Wagner che la portò dal Giappone a Berlino e da lì la fece girare per l’ Europa.
Oggi, nei nostri giardini è diventata spontanea.
Ergo: i dementi hanno incendiato un piccolo pezzo della nostra Storia e di quella europea.
Ma forse in piazza del Duomo il giardinetto è comunque sgrammaticato; le piazze italiane sono tendenzialmente lapidee e le aiuole con piccole Phoenix poste lì dopo l’Unità servivano più che altro a ricordare quelle delle stazioni ferroviarie, non prive d’una tenera poesia.
Philippe Daverio
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 19th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO I PRESIDI SOVRANISTI “CONTRO L’AFRICANIZZAZIONE”, L’ODIO VERSO LE PIANTE HA DATO I SUOI FRUTTI… “GESTO VILE, MA GLI IMBECILLI PERDONO SEMPRE”
Bruciata nella notte una delle palme di piazza Duomo, finite loro malgrado al centro di un dibattito
che non accenna a placarsi.
E ora nel mirino dei vandali, pare.
Stanotte qualcuno ha dato fuoco a una delle piante della nuova installazione nel cuore di Milano che sta prendendo vita sotto il segno di Starbucks, sponsor dell’iniziativa. Sono stati alcuni ragazzi usciti dal cinema dopo il secondo spettacolo a notare il tronco bruciare e a scattare una foto.
“Stanotte qualcuno ha cercato di bruciare alcune palme, danneggiandone in particolare una – fa sapere l’assessore al Verde PIerfrancesco Maran – è un gesto vile e le forze dell’ordine sono al lavoro per individuare i responsabili. Gli imbecilli però perdono sempre, e l’effetto sarà che i milanesi ci si affezioneranno ancora di più alle piante. Nel frattempo il via vai continuo di turisti, curiosi che fotografano le palme non si interrompe”.
Il giardino esotico, che vedrà crescere anche piante di banani, era stato solo nel pomeriggio preso di nuovo di mira dalla Lega che aveva organizzato ai piedi degli alberi una manifestazione di protesta con distribuzione di casse di banane ai passanti La questione va avanti da giorni, è arrivata in consiglio comunale, e lo stesso Sala – criticato sui social – si è detto “non entusiasta”, invitando però tutti ad aspettare di vedere l’aiuola finita
“Stanotte qualcuno ha dato fuoco a una delle palme appena piantate nell’aiuola di Piazza del Duomo – ha avvisato in mattinata su Facebook la vicepresidente Pd del Municipio 1, Elena Grandi, responsabile del verde – che piacciano o no è ora del tutto irrilevante: il tema è un altro. Mi piacerebbe trovare il colpevole e mandarlo a curare e a ripulire tutte le aiuole della città : per un annetto. Così, per insegnargli il significato di rispetto e di bene comune”.
(da agenzie)
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Febbraio 18th, 2017 Riccardo Fucile
POSSONO PIACERE O MENO, MA CHI PARLA DI AFRICANIZZAZIONE SI TROVI UNO PSICHIATRA, MA DI QUELLI BRAVI
First world problems: vi piacciono le palme e i banani in piazza Duomo? A Milano non si parla d’altro,
così come sulle pagine dei giornali e, figurarsi, sui social network. Ora, beninteso, gli esotici abbellimenti possono piacere oppure no. È questione di gusti personali e “dove c’è gusto non c’è perdenza”.
Ma il guaio è che, come spesso accade, dall’opinione all’opinionismo il passo è stato sin troppo breve e da almeno ventiquattro ore siamo bombardati da un dibattito surreale palma sì/palma no.
Surreale perchè dai gusti personali si è passati ad analisi strampalate che vanno alla ricerca di significati più o meno reconditi nella scelta di Starbucks (che ha vinto un bando comunale) di piantare palme e banani nel cuore di Milano.
A cominciare dall’immancabile Matteo Salvini, che in un tweet ha fatto sapere al mondo come la pensa sull’argomento: “Palme e banani in piazza Duomo? Follia. Mancano sabbia e cammelli, e i clandestini si sentiranno a casa”.
Come dire che tutti i fancazzisti come lui si trovassero bene al Leoncavallo.
I tanti seguaci di Salvini sui social si sono ovviamente scatenati, accostando la scelta di palme e banani a misteriosi intenti di propaganda filo-immigrazione.
Perchè si sa: oggi una palma, domani una moschea al posto del Duomo, dopodomani la sharia come legge unica del quadrilatero della moda.
Ma l’analisi strampalata sull’immigrazione conseguenza diretta dei palmizi o sull’africanizzazione di quella che i leghisti del web chiamano Milanabad non merita nemmeno di essere approfondita, lontana com’è non solo da un minimo di verosimiglianza ma, peggio ancora, dal buonsenso e soprattutto dalla buona fede.
Torniamo alle palme e ai banani. Sono davvero così brutti? Stridono davvero così tanto con piazza Duomo?
Poche ore dopo l’inizio della polemica sui social, l’account twitter del Comune di Milano ha pubblicato una foto di piazza Duomo di oltre un secolo fa, facendo notare come già allora ci fossero delle palme ad abbellire il cuore della città .
Anche si trattasse di una novità assoluta, la polemica suonerebbe comunque esagerata
Ma il problema vero qual è? È strumentalizzazione politica? È rigurgito no global fuori tempo massimo con una polemica usata ad hoc per contrastare Starbucks e il suo sin troppo atteso arrivo in Italia (proprio a Milano nel 2018)? Il problema, dunque, è l’estetica della palma, le scelte del sindaco Sala o il rischio Frappuccino che incombe sull’autarchico espresso?
In fondo basterebbe fare un giro in piazza Duomo per rendersi conto di persona che palme e banani hanno un senso, che sono persino gradevoli alla vista proprio perchè contrastano così nettamente con il gotico del Duomo e lo stile neorinascimentale della Galleria Vittorio Emanuele II.
E poi, anche per dare il giusto peso alle cose, trattasi di piante, di un abbellimento temporaneo, la cui presenza non è e non può essere eterna.
Non si è costruito un ecomostro all’ombra della Madonnina, non si è deturpato per sempre il decoro della piazza. Si è tentato, seguendo un progetto che ha regolarmente vinto un bando, di rendere piazza Duomo diversa, particolare, originale.
De gustibus, ovviamente, ma basta con le castronerie pseudopolitiche, con le interpretazioni mondialiste, con le letture complottarde su un fantomatico disegno diabolico filo-immigrazione.
La piega che ha preso il dibattito su palme e banani in piazza Duomo dimostra, ancora una volta, quanto provinciale può essere l’opinione pubblica italiana e quanti danni può provocare la strumentalizzazione politica anche su temi all’apparenza sciocchi e di scarsa importanza.
Sala resista e non ceda agli strilli sguaiati degli aizzatori di popolino. Le palme e i banani devono restare lì, anche perchè tra poco vogliamo goderci la loro esotica ombra.
Alla faccia di Salvini, ovviamente.
Domenico Naso
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 24th, 2017 Riccardo Fucile
IN OTTO CONTRO UN 19ENNE E UN 21ENNE FINITI IN OSPEDALE… CIRCONDATI ALL’USCITA DA UNA DISCOTECA… GLI AGGRESSORI ERANO ITALIANI
Hanno chiesto a tre giovani di consegnare portafogli e cellulari. Li hanno pesantemente insultati con
frasi omofobe. Infine, li hanno aggrediti con calci, pugni e bottigliate.
Gli aggressori sono otto giovani, forse nemmeno ventenni, italiani.
Le vittime sono due ragazzi omosessuali di 19 e 21 anni. La rapina è avvenuta nella notte fra sabato e domenica, all’uscita della discoteca Borgo del Tempo Perso in zona Porto di Mare, periferia sud di Milano.
I due giovani picchiati, assieme un terzo ragazzo che è riuscito a sfuggire all’agguato, hanno subito allertato i carabinieri. Poi nella giornata di oggi, lunedì 23 gennaio, hanno presentato un’integrazione di denuncia per meglio chiarire la natura omofoba dell’aggressione.
“Prima di cominciare a picchiare ci hanno provocato, ci hanno urlato ‘froci’ – racconta uno dei tre – io sono riuscito a fuggire, mentre i miei amici hanno subito danni seri. Non c’è dubbio, si è trattato di un’aggressione omofoba. L’obiettivo principale era offendere e fare male, non rubarci quello che avevamo addosso. Tanto è vero che alla fine ci hanno portato via solo un telefono e un portafogli”.
I due ragazzi picchiati, un magazziniere e uno studente di Economia, hanno riportato rispettivamente la rottura del naso e una frattura scomposta alla testa.
Quest’ultimo, 19enne, ha anche dovuto subire un intervento chirurgico.
I carabinieri precisano che l’aggressione è avvenuta poco dopo le 4 del mattino, mentre i tre giovani si stavano dirigendo dalla discoteca all’auto che avevano preso a noleggio. Nel tentativo di difendersi, uno dei ragazzi picchiati avrebbe cercato rifugio in auto.
Fabio Pellegatta, presidente di Arcigay Milano, commenta: “Ogni atto di violenza è inaccettabile. Ritengo gravissimo che, in una via pubblica, un gruppo di malviventi possa picchiare due giovani evidentemente indifesi e poi fuggire. A Milano, come altrove, serve un maggior livello di sicurezza, soprattutto nei luoghi frequentati la sera e la notte”.
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2016 Riccardo Fucile
DUE REATI CONTESTATI: FALSO MATERIALE E FALSO IDEOLOGICO, IN RELAZIONE A UNA DATA FORSE FALSATA SU DUE VERBALI… MA NON C’E’ AVVISO DI GARANZIA
“La mia (futura) assenza è motivata dalla personale necessità di conoscere vicende e fatti contestati”.
Non parla, ma scrive il sindaco Sala che si è autosospeso dopo aver avuto notizia di essere indagato nell’inchiesta sulla ‘piastra’ Expo (per falso ideologico e materiale su una data falsificata nei verbali), mentre dalla procura generale arriva la massima disponibilità ad ascoltarlo.
Il sindaco di Milano, difeso dall’avvocato Salvatore Scuto, potrebbe decidere di presentarsi nei prossimi giorni davanti al pg Felice Isnardi per difendersi dalle contestazioni.
Una ‘mossa’ che potrebbe servire a convincerlo della sua estraneità ai fatti persuadendolo a stralciare la sua posizione da quella degli altri indagati in vista di una richiesta di archiviazione e uscire così anche dal ‘limbo’ politico dell’autosospensione.
I poteri alla sua vice.
La giornata è iniziata con una giunta straordinaria durata un’ora e mezza nel corso della quale ha spiegato agli assessori ciò che aveva detto ai suoi uomini di fiducia già nel corso della notte: Sala non ha cambiato idea e ha affrontato una giornata emotivamente tesa, nel corso della quale ha preparato la transizione dei poteri ad Anna Scavuzzo, la sua vice.
Alle 11.30 ha lasciato il Comune dall’ingresso secondario di via Case Rotte per non incontrare i giornalisti ed è andato a Palazzo Diotti, in corso Monforte, dove ha incontrato il prefetto.
Il prefetto ha preso atto della decisione.
Si è trattato più di una forma di cortesia istituzionale, dal momento che gli articoli cui si è appellato Sala per l’autosospensione non rientrano nel quadro normativo entro il quale il prefetto può intervenire.
Marangoni, dunque, ha preso atto. E il sindaco ha ribadito la sua posizione anche in una lettera che ha spedito al presidente del Consiglio comunale Lamberto Bertolè, alla sua vice in Comune, Scavuzzo, e all’omologa del Consiglio metropolitano, Arianna Censi.
“Mi serve tempo per capire”.
“La mia assenza – ha scritto, appunto, il sindaco – è motivata dalla personale necessità di conoscere innanzitutto le vicende e i fatti contestati, pertanto fino al momento in cui mi sarà chiarito il quadro accusatorio, ritengo di non poter esercitare i miei compiti istituzionali”.
Quanto tempo sia necessario non è facile dirlo, ma chi gli sta vicino ritiene non si tratti di troppo tempo. Anche perchè il Consiglio Comunale convocato oggi per la prossima settimana potrebbe voler dire che a quel punto il sindaco sarebbe nelle condizioni di spiegare le sue intenzioni per il futuro.
I due reati contestati.
“Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici” e “falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”: sono questi i due reati contestati al sindaco nell’inchiesta.
Il nome di Sala, con quello dell’imprenditore Paolo Pizzarrotti, compare nella richiesta di proroga indagini, avocate dalla Procura Generale alla Procura, in aggiunta ai nomi dei 5 indagati già noti.
Le ipotesi mosse dall’accusa sarebbero di concorso in falso ideologico e falso materiale, reato che – stando alla richiesta di proroga delle indagini – sarebbe stato commesso il 30 maggio 2012.
Finanza: “Verbali commissione gara con data falsa”.
Due ‘verbali’ relativi alla “sostituzione” di due componenti della commissione giudicatrice della gara per l’appalto della ‘Piastra dei servizi’ riporterebbero “circostanze non rispondenti alla realtà ” e, in particolare, sarebbero stati retrodatati con “l’intento di evitare di dover annullare la procedura fin lì svolta” anche per il “ritardo” sui “cronoprogrammi” dell’Expo. Lo scrive la Guardia di finanza in un’informativa del maggio 2013 agli atti anche della ‘vecchia’ inchiesta dei pm poi avocata dalla Procura Generale.
Dalla Procura generale.
Sala, iscritto nel registro degli indagati nelle ultime settimane, non è mai stato convocato per un interrogatorio, nè ha ricevuto un avviso di garanzia.
Dell’iscrizione ha avuto formalmente notizia solo tramite la notifica via posta elettronica certificata a un avvocato d’ufficio (Luana Battista, 37 anni, milanese, che ha riferito di averlo scoperto solo questa mattina) da parte del gip Lucio Marcantonio della richiesta di proroga delle indagini datata 6 dicembre.
Un atto imposto dal codice di procedura penale per permettere agli indagati di presentare memorie difensive.
Il sostituto pg Felice Isnardi, titolare dell’indagine, sarebbe dunque disponibile a ricevere e interrogare il sindaco se volesse chiarire la sua posizione.
Negli uffici del terzo piano, dove ‘regna’ il riserbo, si apprende inoltre che l’intenzione dei magistrati è quella di arrivare in tempi celeri ad una conclusione dell’inchiesta.
Sostegno a Sala su Facebook.
Sala ha comunicato su Facebook la sua decisione di autosospendersi intorno a mezzanotte. In dieci ore il post ha ricevuto circa 600 commenti.
La maggiorparte sono a suo sostegno e approvano la scelta, gesto considerato sintomo di serietà . In uno dei commenti si legge: “Renzi e Sala, quando la politica sa assumersi le proprie responsabilità . Una cosa mai vista prima in italia e a cui noi italiani non siamo abituati. Il tempo è galantuomo ed entrambi rialzeranno presto la china”.
Un altro: “Renzi si dimette dopo aver perso il referendum, il sindaco di Milano si auto sospende dopo aver appreso dai giornali di essere indagato. Mi chiedo: siamo in italia? In bocca al lupo a entrambi!”
(da “La Repubblica“)
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Novembre 20th, 2016 Riccardo Fucile
NEGLI ULTIMI 10 ANNI I CRIMINI DIMINUITI DEL 36%… MA QUALCUNO PREFERISCE LE CENTINAIA DI MORTI DEI TEMPI DI TURATELLO, VALLANZASCA E DELLE BR
“Milano trema”. Ma dove ballavano i ben oliati kalashnikov, con le loro raffiche, e persino i bazooka
della ‘ndrangheta, adesso lampeggiano i coltelli a buon mercato.
Chi conosce i poliziotti e i carabinieri di strada sa che anche la loro paura nel tempo è radicalmente cambiata. Quando negli anni Ottanta inseguivano qualcuno, lungo le strade buie delle periferie di Milano, il pensiero comune era: “E se questo è armato?”.
Oggi si domandano un’altra cosa: “E se fosse malato?”. Si è passati dai placcaggi in stile rugby alle perquisizioni con i guanti da chirurgo.
Allora, ai tempi di criminali stra-conosciuti, come Francis Turatello, Renato Vallanzasca e Rossano Cochis; Epaminonda detto il Tebano con i suoi killer chiamati “gli indiani” per la ferocia dei delitti; ai tempi delle rapine dei terroristi rossi e neri, i morti ammazzati si contavano letteralmente a centinaia, ma Milano – lo ricorderà chi c’era – reggeva l’urto e, se era il caso, si mobilitava.
Adesso, che si registrano tra i dieci e i venti omicidi l’anno, invoca l’esercito e si barrica in casa: “Milano trema” nonostante vittime e carnefici siano quasi sempre non i cittadini comuni, ma i senzacasa, i disperati, gli immigrati all’arrembaggio, quelli che hanno organizzato, al massimo, traffici da poche migliaia di euro.
Questi assassini? Li arrestano quasi tutti. Le sezioni Omicidi qui funzionano con numeri da record: “fanno scuola”.
E, per capirci sino in fondo, dove c’erano le inchieste difficili, per esempio, sugli altezzosi boss della Comasina, e sui loro agguati tragici e spettacolari, costati undici morti solo nell’ultima faida metropolitana, “vinta ” dai fratelli Flachi negli anni ’90, adesso esiste un piano di sicurezza integrata.
Prevede telecamere accese e sala operativa unica. Ha portato all’immediato arresto dei giovani filippini dell’altra sera, gli ultimi a finire nei telegiornali sotto la voce “allarme sicurezza”.
Ragazzi, bisogna precisarlo, che hanno aggredito e ferito non per la droga, o per la supremazia da delirio delle bande. Ma solo perchè altri filippini non sono arretrati. Hanno difeso il loro ballo proletario, sotto le luci fredde del Palazzo della Regione. Tentato, insomma, di salvaguardare una festa in strada: l’unica possibile, in questa costosa capitale morale, se non si hanno i venti euro d’ingresso per le discoteche, o la macchina, per inoltrarsi tra il dedalo dei capannoni industriali, riadattati e con security nerovestita, di via Scalarini, l'”ultima location”.
La stessa matematica, scienza di solito rispettata, era ed è categorica sui reati: quest’anno siamo scesi ancora, attestandoci a quota, sinora, 105mila “delitti in totale”. Cioè, abbiamo di fronte a noi milanesi numeri decisamente crollati rispetto ai 152mila reati del 2015; e diminuiti dai 162 mila del 2014.
Il “meno 36 per cento dei reati a Milano in dieci anni”, viene assicurato dal ministero dell’Interno.
Il prefetto Alessandro Marangoni ha avuto un’immagine efficace per inquadrare la cosiddetta paura percepita: “Ci si sente con la spada di Damocle che ci cade sul collo, invece questa spada si allontana sempre più, non ci colpirà così facilmente, ma “ci crediamo” lo stesso”, dice, con chiara amarezza.
Se c’è una città che gli dà ragione, ed è molto probabilmente la Milano che ha studiato di più, che conosce e pratica il volontariato, che ha relazioni sociali valide ed è meno povera, ce n’è anche un’altra che “trema”.
E che rivendica un’inquietudine diventata un diritto, e non è più un deficit, sentendosi sostenuta dai politici che ribadiscono e rilanciano allarmi stentorei a ogni avvenimento criminale.
Sì, Milano sarà “ringiovanita “, grazie ai giovani universitari, all’uno su quattro di loro che resta qui, e ai nuovi lavori nati con il web. Ma – non scordiamolo – ci sono 90mila e 947 uomini e 115mila 78 donne (censimento del 2011) che hanno settant’anni o più: praticamente un abitante su sei è anziano e non lavora.
Non solo: tutti i reati calano, è vero, ma i furti “reggono “, anche se sono calati del 3%.
Chi non ha la porta blindata (e sono tanti), chi vive nelle zone ad alta densità di case occupate (almeno 200mila concittadini), si sente oggettivamente “a rischio”.
Anche le violenze sessuali, per quanto diminuite, per quanto avvengano nella stragrande maggioranza dei casi – e va sottolineato anche questo – tra conoscenti, o dentro le mura delle case (di famiglie-prigione) – oscillano sempre tra le 300 e le 250 denunce l’anno. Numeri e storie tali da impensierire chiunque al minimo ritardo.
Esiste dunque una fascia di persone per le quali le truffe e le frodi informatiche, in costante aumento, in media una ventina al giorno, sono faccende esotiche.
Viceversa, una rissa in un bar rumoroso fa temere il peggio. E, a proposito di locali, resta sospesa “la” domanda cruciale: ma come può “tremare” davvero una metropoli che ieri sera, come ogni sabato, vede tra le 200 e le 300mila persone a zonzo lungo i quartieri della nightlife e degli aperitivi?
Sembra esistere una “malattia della paura percepita”: difficile pensare che dove lavorano, tra forze di polizia e vigili, quasi 15mila unità , come antidoto bastino 650 soldati e, come d’incanto, sul far della periferica sera, torni nei cuori il sereno.
Piero Colaprico
(da “La Repubblica”)
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Novembre 15th, 2016 Riccardo Fucile
UN CAPOPATTUGLIA DELLA VOLANTE: “SE IN QUESTA STRADA CAGA UN PICCIONE FA AUDIENCE”… SERVIREBBE L’ESERCITO? SI’ MA QUELLO DELLA SALVEZZA
Ogni città ha le sue cicatrici, via Padova sanguina dal 1999, quando i “nove morti in nove giorni”
portarono Milano alla ribalta mondiale della cronaca nera.
Tra i morti ammazzati, c’era Ezio Bartocci, uno stimato gioielliere, in via Padova si tennero fiaccolate contro l’immigrazione africana e albanese, finchè l’allora sostituto procuratore Ilda Boccassini fece arrestare la banda.
Erano tutti bianchi, italiani, capeggiati da un giovane olandese.
Ma da allora, ciclicamente, questa strada – cicatrice, lunga quattro chilometri, attraversata dai ponti ferroviari, che finisce in un gomitolo di cavalcavia, “sanguina “, immersa com’è nelle polemiche politiche sulla sicurezza.
È successo anche ieri, quando il sindaco Giuseppe Sala, parlando dell’agguato in piazzale Loreto, costato una vittima, pare nell’infinita battaglia tra spacciatori, ha chiesto di utilizzare in via Padova una parte dei soldati “disoccupati” dopo il Giubileo.
Sono invece più che condivise nel quartiere le parole di Piero Leodi, rappresentante di uno dei tanti comitati che animano la strada, quello degli “Amici di via Idro”: “Una persona che non conosce la nostra via, e legge quello che tanti dicono, crede che sia un Bronx. Invece qui – spiega – la malattia è seria, non è però il cancro, se posso usare la brutta metafora. Sa come si chiama il male di via Padova? Si chiama abbandono, perchè qui nessun politico ha fatto niente di serio e duraturo, compresi Gabriele Albertini e Letizia Moratti”.
Passa una volante, il cronista conosce da tempo il capopattuglia, che riassume brutalmente così: “Se in questa strada caga un piccione, fa audience”.
Sottovaluta la situazione? Non pare, anzi conosce i bar di copertura dei gangster calabresi, sa anche dell’ultima retata, in via Mosso, con tre spacciatori portati via.
È che tutti i dettagli più neri di questa “via da telegiornale ” sono arci-noti e inalterati da decenni.
A cominciare da quello più datato e citato, le case di via Arquà , che con via Clitumno e via Chavez, rappresentano letteralmente una linea d’ombra: nessuno che abita in questa parte di città ci passa volentieri.
Sono vie desertificate, sulle quali si affacciano condomini che hanno bollette inevase della luce ormai superiori ai 400mila euro.
Perciò le scale sono buie anche con la luna piena e i pianerottoli restano misteriosi. Gli inquilini, quasi tutti maschi, vanno su e giù di notte con le torce, come minatori. Gli estranei non sono graditi, si ritrovano lungamente scrutati.
In queste “ca’ de ringhera”, case di ringhiera, abitavano immigrati meridionali poveri, adesso arrivano da altre guerre e altre carestie gli immigrati del mondo, ancora più poveri: quando un “padrone di casa” prende il posto dell’altro, preferisce disfarsi dei mobili, e chiunque, guardando quei truciolati sfondati e quelle stoffe bucate, può farsi un’idea della miseria di queste strade.
Letti, coperte, cuscini vanno in affitto a 15, 20 euro a notte, per decine e decine di persone, di fantasmi senza nome.
Non pochi disperati di notte sciamano verso quella che qui, scherzando sul macabro, viene chiamata “la movida di via Mosso”.
Ora, la “movida” cosiddetta è, a Milano, quella dei Navigli, dei cocktail, della “nightlife” (vita di notte, notte di vita), del glamour, dei locali di moda.
In questo angolo di via Padova, due transessuali – sia detto senza sessismo, è un dato di cronaca – smerciano piatti di carne e zuppe, li portano con un carrello del supermercato, sovraccarico di pentole, con una bombola di gas da campeggio a far da fornello.
Nei giardinetti i clienti non mancano, poco lontano c’è un “bene sottratto alle mafie”: sarebbe il caso di farci arrivare qualcuno della Procura e delle associazioni antimafia. Almeno per vedere.
I cancelli sono stati aperti, là dentro di notte “c’è chi dorme, chi si droga, chi si vende”, il prato spelacchiato è una discarica. Da mesi e mesi. Sempre uguale.
Come racconta sfiduciato Paolo Pinardi, del giornale “Ilponte”, prima su carta, ora on line: “Ormai dei convegni su via Padova ho perso il conto, ma un intervento serio per mettere a posto la zona, come è accaduto a Torino con Porta Palazzo, recupero privato sotto regia pubblica, comunale, non c’è mai stato. Sarebbe bastato, noi che abitiamo in zona lo sappiamo bene”.
Sì, viene da dire, servirebbe davvero un bell’esercito: l’esercito della salvezza, però, e non dei fucili.
Piero Colaprico
(da “La Repubblica”)
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Giugno 16th, 2016 Riccardo Fucile
CABLARE CON LA FIBRA OTTICA LA CITTA’ FU UN AFFARE PER L’AZIENDA, NON CERTO PER IL COMUNE…E POI PARISI DIVENNE AMMINISTRATORE DELEGATO DI FASTWEB
L’attuale presidente del consiglio comunale di Milano Basilio Rizzo lo chiamò “quel pasticciaccio brutto di via della Signora”, dalla via della sede di Fastweb.
Perchè a cavallo degli anni duemila, sotto la giunta Albertini, la compagnia telefonica fece affari col comune quando direttore generale era l’oggi candidato sindaco del centrodestra Stefano Parisi.
Al centro degli accordi il progetto per cablare la città con la fibra ottica, con la creazione di due società con un azionariato misto tra pubblico e privato: Metroweb (67% della società elettrica Aem, oggi A2a, e 33% di e.Biscom) per la posa dei cavi e, appunto, Fastweb (60% e.Biscom, 40% Aem) per la gestione dei servizi.
Fu un affare soprattutto per i privati, mentre alle casse del comune rimasero guadagni trascurabili.
Parisi lasciò Palazzo Marino nel luglio del 2000 per diventare direttore generale di Confindustria.
Tornò di nuovo a Milano nell’ottobre del 2004 per ricoprire il ruolo di amministratore delegato di Fastweb.
Fu una scelta opportuna andare a lavorare nell’azienda che aveva fatto affari col comune?
“Questo è successo esattamente 12 anni fa, come mai ve ne ricordate a tre giorni dalle elezioni?”, si limita a dire Parisi concentrandosi piuttosto su un accento sbagliato da chi pone la domanda nel pronunciare il nome di Giuliano Zuccoli, allora presidente di Aem, che in rappresentanza della società del comune divenne presidente di Fastweb, dove nel 2001 entrò anche l’assessore della giunta Albertini, Sergio Scalpelli, oggi sostenitore del candidato di centrosinistra Giuseppe Sala.
Al capo di gabinetto di Albertini, Aldo Scarselli, fu affidato invece il ruolo di presidente nell’altra società , Metroweb.
Circostanze su cui Parisi, a margine di un incontro nella sede della Cisl, non vuole soffermarsi: “Adesso devo andare via. Venga da me dopo e le spiego bene”.
E prima di salire in auto: “Ho fatto bene ad andare in Fastweb, mi hanno chiamato. Abbiamo fatto un miracolo italiano”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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