“VIA PADOVA NON E’ IL BRONX, MA SERVE UN INTERVENTO DI RECUPERO COME QUELLO DI PORTA PALAZZO A TORINO”
UN CAPOPATTUGLIA DELLA VOLANTE: “SE IN QUESTA STRADA CAGA UN PICCIONE FA AUDIENCE”… SERVIREBBE L’ESERCITO? SI’ MA QUELLO DELLA SALVEZZA
Ogni città ha le sue cicatrici, via Padova sanguina dal 1999, quando i “nove morti in nove giorni” portarono Milano alla ribalta mondiale della cronaca nera.
Tra i morti ammazzati, c’era Ezio Bartocci, uno stimato gioielliere, in via Padova si tennero fiaccolate contro l’immigrazione africana e albanese, finchè l’allora sostituto procuratore Ilda Boccassini fece arrestare la banda.
Erano tutti bianchi, italiani, capeggiati da un giovane olandese.
Ma da allora, ciclicamente, questa strada – cicatrice, lunga quattro chilometri, attraversata dai ponti ferroviari, che finisce in un gomitolo di cavalcavia, “sanguina “, immersa com’è nelle polemiche politiche sulla sicurezza.
È successo anche ieri, quando il sindaco Giuseppe Sala, parlando dell’agguato in piazzale Loreto, costato una vittima, pare nell’infinita battaglia tra spacciatori, ha chiesto di utilizzare in via Padova una parte dei soldati “disoccupati” dopo il Giubileo.
Sono invece più che condivise nel quartiere le parole di Piero Leodi, rappresentante di uno dei tanti comitati che animano la strada, quello degli “Amici di via Idro”: “Una persona che non conosce la nostra via, e legge quello che tanti dicono, crede che sia un Bronx. Invece qui – spiega – la malattia è seria, non è però il cancro, se posso usare la brutta metafora. Sa come si chiama il male di via Padova? Si chiama abbandono, perchè qui nessun politico ha fatto niente di serio e duraturo, compresi Gabriele Albertini e Letizia Moratti”.
Passa una volante, il cronista conosce da tempo il capopattuglia, che riassume brutalmente così: “Se in questa strada caga un piccione, fa audience”.
Sottovaluta la situazione? Non pare, anzi conosce i bar di copertura dei gangster calabresi, sa anche dell’ultima retata, in via Mosso, con tre spacciatori portati via.
È che tutti i dettagli più neri di questa “via da telegiornale ” sono arci-noti e inalterati da decenni.
A cominciare da quello più datato e citato, le case di via Arquà , che con via Clitumno e via Chavez, rappresentano letteralmente una linea d’ombra: nessuno che abita in questa parte di città ci passa volentieri.
Sono vie desertificate, sulle quali si affacciano condomini che hanno bollette inevase della luce ormai superiori ai 400mila euro.
Perciò le scale sono buie anche con la luna piena e i pianerottoli restano misteriosi. Gli inquilini, quasi tutti maschi, vanno su e giù di notte con le torce, come minatori. Gli estranei non sono graditi, si ritrovano lungamente scrutati.
In queste “ca’ de ringhera”, case di ringhiera, abitavano immigrati meridionali poveri, adesso arrivano da altre guerre e altre carestie gli immigrati del mondo, ancora più poveri: quando un “padrone di casa” prende il posto dell’altro, preferisce disfarsi dei mobili, e chiunque, guardando quei truciolati sfondati e quelle stoffe bucate, può farsi un’idea della miseria di queste strade.
Letti, coperte, cuscini vanno in affitto a 15, 20 euro a notte, per decine e decine di persone, di fantasmi senza nome.
Non pochi disperati di notte sciamano verso quella che qui, scherzando sul macabro, viene chiamata “la movida di via Mosso”.
Ora, la “movida” cosiddetta è, a Milano, quella dei Navigli, dei cocktail, della “nightlife” (vita di notte, notte di vita), del glamour, dei locali di moda.
In questo angolo di via Padova, due transessuali – sia detto senza sessismo, è un dato di cronaca – smerciano piatti di carne e zuppe, li portano con un carrello del supermercato, sovraccarico di pentole, con una bombola di gas da campeggio a far da fornello.
Nei giardinetti i clienti non mancano, poco lontano c’è un “bene sottratto alle mafie”: sarebbe il caso di farci arrivare qualcuno della Procura e delle associazioni antimafia. Almeno per vedere.
I cancelli sono stati aperti, là dentro di notte “c’è chi dorme, chi si droga, chi si vende”, il prato spelacchiato è una discarica. Da mesi e mesi. Sempre uguale.
Come racconta sfiduciato Paolo Pinardi, del giornale “Ilponte”, prima su carta, ora on line: “Ormai dei convegni su via Padova ho perso il conto, ma un intervento serio per mettere a posto la zona, come è accaduto a Torino con Porta Palazzo, recupero privato sotto regia pubblica, comunale, non c’è mai stato. Sarebbe bastato, noi che abitiamo in zona lo sappiamo bene”.
Sì, viene da dire, servirebbe davvero un bell’esercito: l’esercito della salvezza, però, e non dei fucili.
Piero Colaprico
(da “La Repubblica”)
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