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QUANDO IL PROFESSORE AVEVA IL LODEN

Ottobre 19th, 2013 Riccardo Fucile

MOLTI CHE ORA CRITICANO MONTI ERANO GLI STESSI CHE LO INCENSAVANO COME IL SALVATORE DELLA PATRIA… E SE LETTA HA POTUTO SPENDERE QUALCHE EURO IL MERITO E’ DEL TESORETTO LASCIATO IN EREDITA’ DAL PROFESSORE

Adesso tutto è lecito, di Mario Monti si può dire qualunque cosa, dopo le sue dimissioni da presidente di Scelta Civica, dopo che ha ripudiato il partito che aveva provato a fondare, dopo l’esilio volontario e forse senza ritorno nel gruppo misto del Senato, il Professore sembra aver certificato il suo declino.
E Pier Ferdinando Casini, il leader dell’Udc che fin dall’inizio (con liste e gruppi autonomi alla Camera) ha boicottato l’avventura montiana in questa legislatura, si risente per “i toni rissosi” di Monti.
Sono passati appena nove mesi da quando si prostrava — “Siamo onorati di stare in seconda fila dietro Monti” — davanti all’ex premier che stava salvando l’Udc dall’annichilimento elettorale (il simbolo ha preso l’1,8 per cento).
Ora che Monti sembra proprio finito, anche i giornali si scatenano a sparare sul cadavere, certi che non potrà  vendicarsi.
Repubblica, dopo aver celebrato il loden del professore, i suoi trolley, i sobri viaggi in treno e i suoi miracoli, ieri affidava alla penna di Filippo Ceccarelli il compito di rievocare “patetici frammenti autobiografici” di uno “sventuratissimo tecnocrate”.
Lo stesso Ceccarelli che un anno fa raccontava il Professore come un “signore compassato” che aveva nella calma “la sua arma micidiale” con cui domava i vecchi politici (ricordate l’ABC, Alfano, Bersani, Casini?).
Nell’orgia di montismo di fine 2011 la Stampa era arrivata a dedicare un intero articolo al “primo taglio del governo Monti, quello dei capelli”, con preziose indicazioni su come “il Professore si fa tagliare i capelli circa una volta al mese”.
Il Corriere della Sera, che del Monti editorialista è stato megafono e del politico coscienza critica, ieri non dedicava neppure una riga di commento alla fine della sua avventura (lo spazio serviva anche a celebrare Enrico Letta da Barack Obama, scene che una volta avevano Monti come protagonista).
Si è persa da tempo ogni traccia del montismo di Giuliano Ferrara, direttore del Foglio, che vinse ogni imbarazzo per cantare un rap rivolto a Silvio Berlusconi: “Ti prego, ti prego, ti prego Cavaliere / ti voglio bene / Sei stato grande / Sei stato tanto / Sei stato troppo / Ma tienimi da conto Monti”.
La stampa berlusconiana fu entusiasta per pochi momenti, ma intensi, come quando il settimanale Chi di Alfonso Signorini dedicò a Monti pagine e pagine per “la storia di un italiano”, evocativa variazione dell’opuscolo elettorale del Cavaliere “Una storia italiana”.
Tutto dimenticato, a nessuno interessa più se Monti indossi il loden o un impermeabile, se si tagli i capelli o se la signora Elsa lo rimbrotti ancora.
La volubilità  della stampa è seconda solo a quella della politica.
Monti non ha informato il capo dello Stato Giorgio Napolitano dell’addio a Scelta Civica (e forse alla maggioranza di governo, chissà ), e dal Quirinale non è arrivato un fiato, nessun monito. Nulla.
Certo, Napolitano non ha mai perdonato al Professore di aver reclamato la presidenza del Senato come un diritto (mentre era ancora a Palazzo Chigi per gli affari correnti, tra l’altro).
Ma per lunghi mesi i due erano stati un tutt’uno, Napolitano-Monti, l’asse che aveva espulso Berlusconi dal governo e che salvava l’Italia.
Con Enrico Letta i rapporti sono sempre stati freddi: a Monti non è piaciuto come il suo successore si sia appropriato di tutti i risultati del governo tecnico.
A fine giugno Letta si è vantato di aver strappato al Consiglio europeo il permesso di spingere il deficit al 2,9 per cento (falso, l’aveva ottenuto Monti a marzo) e imposto la disoccupazione giovanile come tema dominante (falso, era già  in agenda) grazie all’uscita dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo (basata sui conti 2012 curati da Monti, mentre Letta ha sforato il tetto del 3 per cento del deficit).
Il Professore si è indispettito e ha iniziato a chiedere un “contratto di coalizione”, per avere il peso nella maggioranza che riteneva gli fosse dovuto.
Oggi lo deridono gli stessi che lo celebravano quando era potente, Letta e il suo governo lo ignorano, ma spendono le risorse frutto dei sacrifici che i tecnici imposero al Paese.
Non solo Letta lo ha ignorato, ma ha anche iniziato a spendersi i due tesoretti lasciati da Monti per le emergenze: la spesa per gli interessi sul debito, stimata in eccesso perchè con lo spread non si sa mai, e il deficit del 2014 lasciato al 2,3 per cento grazie a tagli e aggravi fiscali.
Letta, con Saccomanni, prima usa le risorse che dovrebbero derivare dal calo dello spread da 250 a 100 in tre anni, cancellando l’assicurazione lasciata da Monti, poi finanzia il taglio delle tasse per i dipendenti cui teneva tanto usando spesa in deficit, cioè senza coperture. E il deficit 2014 sale da 2,3 a 2,5.
Il professore della Bocconi ha deciso che era meglio l’opzione “exit” di quella “voice”, come dicono gli economisti, farsi da parte invece che protestare inascoltato.
Monti resta senatore a vita, può aspirare all’ennesimo mandato da presidente della Bocconi, poco altro.
Nelle apparizioni televisive di questi mesi, scivolate dalle prime serate alle fasce mattutine, degradato da ospite unico a comprimario, Monti ha esternato il suo cruccio maggiore: nessuno ricorda quando l’Italia era vicina al baratro.
Non tanto al default, quanto all’arrivo della troika, completa cessione di sovranità  a Banca centrale europea, Fondo monetario e Unione europea.
Le pressioni su Monti sono state fortissime, soprattutto a gennaio-febbraio 2012, ma lui ha scelto di non seguire Grecia, Portogallo e Irlanda e sfidare invece la Germania sullo “scudo anti-spread”, un dibattito in gran parte a colpi di propaganda, ma che nel Consiglio europeo di giugno 2012 ha favorito le condizioni per l’intervento della Bce con il programma OMT (acquisti illimitati di bond) che ha bloccato la disgregazione dell’euro.
Monti non si capacita che tutto questo non sia stato capito, o subito dimenticato, oscurato dal cagnolino Empy che gli consegnò Daria Bignardi in diretta tv, dopo una birretta col Professore

Stefano Feltri

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DECADENZA: CON SCELTA CIVICA SPACCATA, ORA SALVARE BERLUSCONI È POSSIBILE

Ottobre 19th, 2013 Riccardo Fucile

VERSO IL VOTO SULLA DECADENZA: 12 SENATORI NEL NUOVO GRUPPO VICINO AL PDL.. MONTI ACCUSA: “AVETE SCELTO BERLUSCONI”

Ieri è arrivato a gamba tesa anche Pier Ferdinando Casini, finito nella lista nera di Mario Monti dopo la sua decisione di dimettersi da presidente di Scelta Civica, decisione ribadita anche ieri come “irrevocabile”.
“Prima mi chiedeva posti — ha sibilato l’ex leader di Scelta Civica — ora mi accoltella”.
L’ormai ex alleato ha sferrato un attacco durissimo all’ex premier sostenendo che “le accuse nei miei confronti sono semplicemente ridicole”. Di più.
Casini si è spinto fino a definire quello di Monti un “atteggiamento rissoso sull’azione dell’esecutivo” perchè “questi continui distinguo, non sono accettabili”.
Presa di distanza anche sulle dimissioni: “Non gli chiederò di ritirarle perchè questo non mi riguarda”. Altro che sobrietà . Non poteva finire peggio.
Persino Corrado Passera, ieri, ha martellato Monti: “Scelta Civica mancava di radicalità , temevo che il progetto potesse finire così, ecco perchè dissi no”.
Il senatore a vita rimasto solo? L’immagine è quella.
Mentre ribolle il terreno del centro politico che proprio oggi vedrà  quella che sembra la nascita di un nuovo partito popolare: si parte dal Veneto “bianco” e da Villa Maschio, a Villafranca Padovana (Pd).
A parlare di “Il Partito Popolare e il futuro dei moderati” ci saranno il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, Gaetano Quagliariello, Mario Mauro e Flavio Zanonato.
La vecchia balena bianca, sembra proprio lì lì per risorgere. Tolto di mezzo un ingombrante Monti, che voleva fare di Scelta Civica il “suo personale” partito di sponda europea (questo, almeno, a sentire alcuni dei suoi detrattori), ora il primo passo sarà  la creazione di un gruppo autonomo al Senato, composto da circa 12 dei 20 senatori ex Sc e che avrà  la parola “popolare” nel nome: si tratta di Albertini, Casini, De Poli, Di Biagio, Di Maggio, D’Onghia, Marino, Mauro, Merloni, Olivero, Romano e Rossi.
Ne resterebbero dunque fuori sette, con i ‘lealisti montiani’ in minoranza.
Diverso il discorso alla Camera, dove tra i 47 deputati i montiani sono al momento la maggioranza. Ma in parallelo a quanto sta avvenendo, al Senato potrebbe anche a Montecitorio staccarsi da Sc e creare una componente autonoma.
Il tutto, comunque, accadrà  lunedì, a partire da Palazzo Madama dove — a questo punto — il pallottoliere sulla salvezza di Berlusconi potrebbe rimettersi in moto, complice il voto segreto.
Il Pdl, per quanto devastato dall’imminente scissione, si terrà  unito nel nome della salvaguardia del “Padre Nobile”, la Lega non mancherà  all’appello, mentre i 5 Stelle e il gruppo misto dovrebbero in teoria essere compatti per il no.
Poi, però, ci sarà  il Gal, che potrebbe scegliere di votare contro la decadenza.
E il Pd che nel segreto dell’urna — è noto — potrebbe anche non tenere; nel partito, le spinte verso le elezioni a marzo sono forti e un voto per Silvio renderebbe la situazione ancor più fragile nella maggioranza che sostiene Letta.
Dunque, i voti dei prossimi “popolari” serviranno. E molto.
L’aveva capito, d’altra parte, anche Monti che nel pranzo che Mario Mauro ha consumato mercoledì scorso al circolo ufficiali di Roma, con Angelino Alfano e Berlusconi, non si è parlato di manovra economica.
Ma di un’altra manovra, quella della fondazione di un partito centrista, cui Mauro vorrebbe dare la leadership al segretario del Pdl, ma anche una sorta di garanzia che un gruppo di senatori, gli ex Sc, potrebbero, nel segreto dell’urna, fargli sponda nel giorno più importante.
Il clima lo chiarisce Casini che, a proposito della decadenza, dice: “Non ho ancora deciso. Non è vero che ho contrattato con Berlusconi, non ho parlato con lui e non gli parlerò. Sarà¡ un voto che appartiene alla mia coscienza e basta. Al momento giusto lo dirò”.
Il partito centrista che verrà , composto per lo più da alfaniani di complemento, da ex democristiani di sempre e forse persino da qualche centrista del Pd costretto ai margini in caso di vittoria di Matteo Renzi (come Beppe Fioroni), si avvia a diventare una sorta di succursale del berlusconismo in salsa Dc che in prima battuta si muoverà , però, su un unico binario definito: salvare il Cavaliere al Senato.
Poi verrà  il resto.
La diaspora degli ex Sc, comunque, non sarà  completa.
Alcuni resteranno fedeli a senatore a vita. A partire da Ilaria Borletti Buitoni; la sottosegretaria ieri se l’è presa con Mauro, che “ha usato Scelta Civica per un altro progetto che non è Scelta Civica”.
L’ultima resa dei conti martedì, durante il comitato di presidenza di Sc. Dove quelle che si conteranno saranno soprattutto le sedie vuote.

Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)

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MAURO, IL MINISTRO “TRADITORE” E IL SOSPETTO DEL VOTO CONTRO LA DECADENZA

Ottobre 18th, 2013 Riccardo Fucile

L’ASSE TRA EX DC E ALFANIANI: 14 SENATORI PER SALVARE BERLUSCONI AL SENATO

L’ira gelida del gesuita è montata tra le mura ovattate di Palazzo Giustiniani, senza che nulla trapelasse all’esterno.
Alle quattro del pomeriggio Mario Monti – una volta letto il documento «frondista» degli undici senatori – ha maturato l’idea di dimettersi seduta stante dalla presidenza di Scelta Civica.
Da quel momento, nel suo studio di palazzo Giustiniani, il Professore ha iniziato una faticosa stesura del comunicato col quale avrebbe reso pubblica la sua decisione.
Una corsa contro il tempo, anche perchè alle 19,30 Monti aveva già  fissato un incontro chiarificatore, a tu per tu, con Mario Mauro, il «suo» ministro della Difesa, che negli ultimi giorni lo aveva ripetutamente «tradito».
Alla fine il Professore ce l’ha fatta, è riuscito a licenziare il comunicato poco prima di andare all’incontro con Mauro.
Un incontro – e in questo dettaglio c’è tutto Monti – che era stato fissato a palazzo Baracchini, sede del ministero della Difesa: «Vengo io da te», aveva preannunciato il Professore a Mauro e il ministro aveva interpretato il gesto come un segno di elegante deferenza.
Ma ad incontro in corso, le agenzie battevano il testo del comunicato col quale Monti si dimetteva dalla presidenza del partito da lui voluto e fondato.
Era da almeno un mese che il professor Monti scrutava con sospetto le mosse del «ciellino» Mario Mauro, che nei mesi precedenti si era conquistato la fiducia dell’ex premier sia per le evidenti doti politiche e di competenza dimostrate al Parlamento europeo, ma anche in virtù di un rapporto personale improntato alla reciproca fiducia.
Certo, già  in estate, il Professore aveva capito che dentro il suo partito l’area cattolico-moderata raccolta attorno a Pier Ferdinando Casini puntava a mettersi in proprio.
A fine luglio, al Tempo di Adriano a Roma, si era svolto un convegno a porte chiuse di questa area e proprio il ministro Mauro si era segnalato con un gesto significativo: impegnato in Corea, aveva mandato un video.
Nell’ultimo mese l’area Mauro-Casini è uscita allo scoperto. Soprattutto dopo lo strappo di Angelino Alfano e dell’ala «ministeriale» dal resto del Pdl.
Non avendo messo in pratica una scissione, da due settimane si è aperto un cantiere, si sono intensificati i rapporti tra gli «alfaniani» e Casini-Mauro.
Per fare una Dc bonsai, concorrenziale con Forza Italia?
O per diventare la plancia di comando di una futura sezione italiana del Ppe, con Berlusconi padre nobile?
Nell’incertezza Mauro è uscito allo scoperto. Il 16 ottobre il ministro si è visto a pranzo con Silvio Berlusconi (sempre al ministero della Difesa, dove Monti forse con intenzione è andato ieri sera) e tra i tanti boatos smentiti, uno non lo è stato: si sarebbe parlato anche della ipotesi che, nel prossimo, decisivo voto a palazzo Madama sulla decadenza del senatore Berlusconi, il gruppo Mauro-Casini (che conta su 14 unità ) possa votare nel segreto per salvare il Cavaliere. Un progetto che potrebbe diventare la prima mission del nuovo gruppo parlamentare destinato a nascere la prossima settimana dalla confluenza di Mauro-Casini con gli ex Pdl che non entreranno in Forza Italia, a cominciare da Carlo Giovanardi e Roberto Formigoni.
Quanto a Scelta Civica, se le dimissioni di Monti fossero senza ritorno, per la successione, i favoriti sono tre: Benedetto Della Vedova, Linda Lanzillotta, Alberto Bombassei.

Fabio Martini
(da “La Stampa”)

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COSÌ SUPER MARIO HA DISSIPATO IL SUO MITO

Ottobre 18th, 2013 Riccardo Fucile

DA SALVATORE DELLA PATRIA A VITTIMA DELLE BEGHE CONDOMINIALI DI “SCELTA CIVICA”

Mario Monti o della dissipazione. Crudele è il destino dei salvatori della patria, chiamati a domare con successo lo spread e finiti vittime delle beghe para-condominiali di Scelta Civica
Passati dal garantire l’Italia con la cancelliera Merkel e ridotti a dolorosi zimbelli di un Cesa o di un Olivero.
«Super Mario» avevano preso a chiamarlo anche a Strasburgo, e allora lui con ferma modestia: «No, no, solo Mario». Ventisette applausi alla presentazione del suo governo; e adesso un gelo imbarazzante ogni volta che il professore interviene al Senato, nemmeno il consenso pieno dei suoi, «un dilettante della politica» lo definiscono dopo avergli sfilato il partito, «la forza che ho ispirato e fondato», da sotto i piedi, come un tappeto, e addirittura ricevono felicitazioni per questo, ammirati bigliettini a sfondo cannibalico: «Complimenti, Pier, per come ti sei cucinato Monti».
Sventuratissimo tecnocrate, e si cercherebbe qualcosa, una parola, un gesto, un qualche segno che possa illustrare questa caduta come un autentico dramma, ma invano.
La vera tragedia del potere, in questi tempi di chiacchiere e visioni a distanza, è che tutto si abbassa e s’immiserisce, e nella triste vicenda di Scelta Civica, tra velleità  e fallimenti, caos e voltafaccia, si resta come ipnotizzati dal modo in cui le cronache hanno descritto gli stati d’animo di Monti dalle elezioni a oggi: deluso, eppure smanioso, poi risentito, quindi provato, poi ancora allibito e infine disgustato.
Patetici frammenti autobiografici accompagnano gli ultimi mesi: «Mi basta varcare i confini per essere riconosciuto», donde la tentazione di restarsene all’estero, senza più dover combinare pensieri e parole per tenere a bada gli appetiti dell’Udc, le bramosie dei superstiti di Fli o le frustrazioni del segmento montezemoliano.
Come pure angosciosi soprassalti trasmettono di tanto in tanto lampi di verità : «Ho lavorato una vita intera a costruirmi una reputazione e adesso ho avviato la mia sistematica demolizione».
E comunque: quale incredibile e dissennato spreco di credibilità ! Troppo facile adesso ricordare gli errori, il primo dei quali la «salita in campo», cioè mettersi in proprio, ma mischiandosi e perciò diventando in un paio di mesi come tutti gli altri, senza vocazione, e tuttavia accettandone i biechi codici, i nipotini, i cagnolini, la foto con Paulo Coelho, gli sportivi in lista, la recita «sugnu sicilianu» e la pizza napoletana con su scritto “Monti”.
E questo già  bastava a dimostrare come il gusto del potere, prima ancora dell’ambizione, trasfigura non solo le persone, ma anche le migliori e costose intenzioni.
Napolitano gli aveva detto: meglio di no. Lo stratega americano, a nome Axelrod, gli era costato 350 mila bombi; la società  dei sondaggi, che dio la benedica, appena 48 mila.
E però, anche dopo la sconfitta, del tutto indifferente al motto diabolicum perseverare, il professore si era messo in testa di fare il presidente del Senato.
Gliela dovevano, «o me o nessun altro» fremeva con malcelato disappunto mostrando gli sms con cui il Quirinale, di nuovo, gli esternava il «divieto impostomi».
Non si pretenderà  qui di seguire passo passo la genealogia e gli sviluppi dello scontro tra Monti e i suoi stessi parlamentari, oltretutto con la partecipazione straordinaria di uno specialista come Pierfurby Casini, ma certo la serietà  e la sobrietà  di un tempo erano già  andate a farsi benedire. Ad aprile l’ex tecnocrate offeso toglieva il nome dal simbolo e dallo statuto; a maggio si impegnava di nuovo; a luglio minacciava nuovamente le dimissioni («Posso andarmene anche domattina»); ad agosto un ragazzetto incontrato per caso gli chiedeva: «Ma lei è triste e non avere più un lavoro?».
Arrivati a una certa età , sono domande cui è ancora più triste rispondere, altro che Bildenberg. Nel frattempo il ministro Mauro, come un sommergibilista, navigava in profondità  estendeva la propria vogliosa agitazione al Ppe prefigurando grandiosi scenari centristi; e ironia della sorte, i berlusconiani erano tornati al governo e addirittura lo irridevano, come Brunetta, che dopo l’ennesima messa a punto l’aveva chiamato, anche evocando certe debolezze filogermaniche: «Il Grosse Rosikonen».
C’è forse una lezione, in questa parabola.
La solita; che il potere è una bestiaccia che consuma anche le migliori personalità .
Mario Monti, non super-Mario, apparteneva senz’altro a questa categoria. Ma l’uso scriteriato di risorse è un guaio vero, e non riconoscerlo in tempo porta ad altri peggiori guai.

Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica“)

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MONTI LASCIA “SCELTA CIVICA” PERCHE’ IL MINISTRO MAURO VUOLE ALLEARSI CON BERLUSCONI

Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile

ALL’INSAPUTA DI MONTI, MAURO HA’ GIA FATTO L’ACCORDO CON IL PDL ALLE REGIONALI DELLA BASILICATA, D’INTESA CON CASINI

“Così non si può andare avanti, vanno verso una cosa che non c’entra nulla con i motivi per cui ci siamo candidati. Oggi lascio il partito”.
Mario Monti, parlando con i suoi più stretti collaboratori era sereno.
Ma anche determinato a non lasciare nelle proprie scarpe nemmeno un sassolino. Così ha preso carta e penna e ha scritto una lunghissima nota nella quale mette in chiaro (quasi) tutta la storia che sta rapidamente portando alla dissoluzione di Scelta civica. “Rassegno le dimissioni da presidente – ha scritto l’ex premier – La presidenza verrà  assicurata dal vicepresidente vicario Alberto Bombassei, fino all’attivazione delle procedure previste dallo Statuto per la nomina del nuovo presidente. Domani lascerò il gruppo Sc del Senato e chiederò l’iscrizione al gruppo misto”.
La decisione, spiega il senatore a vita, è stata presa dopo che “sulla base degli elementi resi noti dal Governo sul disegno di legge Stabilità  approvato martedì sera, ho avuto ieri scambi di opinioni all’interno di Scelta civica”.
È la manovra economica del governo il casus belli: “Nella serata di ieri ho rilasciato una dichiarazione come presidente di Sc- racconta Monti – vi si esprimeva una prima valutazione, secondo la quale il ddl Stabilità  appare soddisfacente quanto al rispetto dei vincoli europei, timido per quanto riguarda la riduzione delle tasse, insoddisfacente per quanto riguarda l’orientamento alla crescita. Oggi, dal canto loro, undici senatori appartenenti al Gruppo di Scelta Civica – i senatori Albertini, Casini, De Poli, Di Biagio, Di Maggio, D’Onghia, Luigi Marino, Merloni, Olivero, Lucio Romano, Maurizio Rossi – hanno rilasciato una loro dichiarazione congiunta” .
“È difficile non convenire con il pochissimo che viene detto in ordine alla valutazione del ddl (“è un primo passo nella giusta direzione”). Ma vi è un quid specifico, di rilievo politico, che permea la dichiarazione, unisce le posizioni tenute di recente dagli undici firmatari e le connette ad un altro senatore di SC, che non è tra i firmatari in quanto fa parte del Governo, il ministro della Difesa senatore Mauro”.
“Non posso non intendere la dichiarazione degli ‘undici più uno’ senatori – sentenzia – come una mozione di sfiducia nei miei confronti”.
Tutto sotto la luce del sole, dunque.
La frattura con Mauro, tuttavia, è più profonda, e non si limita alla sola legge di stabilità . La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la chiusura dell’accordo elettorale in Basilicata, fatta, a quanto riferiscono fonti montiane, ad insaputa del senatore a vita.
Sarà  infatti il civico Tito Di Maggio, ex Udc e uomo di Pier Ferdinando Casini, a guidare alle regionali una coalizione che comprende il Pdl, la Destra e Fiamma Tricolore.
Un apparentamento su cui l’ex premier non avrebbe mai dato il via libera e consumatosi alle sue spalle.
Il primo passo concreto di una strategia che mira a superare Scelta civica, strizzando l’occhio alla destra dello schieramento politico.
Già  ieri l’inner circle di Monti aveva guardato con grande sospetto il pranzo del ministro della Difesa insieme a Silvio Berlusconi e Angelino Alfano.
“Mauro è andato a chiedere la benedizione del Cavaliere a liste ‘popolari’ da apparentare al Pdl già  a partire dalle prossime europee”, spiega una fonte vicina all’ex premier.
In cambio, l’esponente ciellino avrebbe assicurato al leader azzurro di farsi ambasciatore al Colle in merito al dossier decadenza. Così, quando il professore ha criticato la finanziaria del governo di Enrico Letta, le truppe di Mauro hanno iniziato a muoversi per mettere in sicurezza, anche sul fronte centrista, la manovra.
“Mario ha mobilitato i suoi, li ha fatti dichiarare in batteria contro Monti”, spiega un senatore di Sc.
L’ex premier scrive di suo pugno parte della storia.
“In questi giorni il senatore Mauro, con dichiarazioni ed iniziative, è venuto preconizzando, da un lato, una linea di appoggio incondizionato al governo, posizione legittima, ma che non è la linea di Sc, linea definita dai suoi organi direttivi e confermata nella proposta del ‘contratto di coalizione’; dall’altro, il superamento di SC in un soggetto politico dai contorni indefiniti ma, a quanto è dato capire, aperto anche a forze caratterizzate da valori, visioni e prassi di governo inconciliabili con i valori, la visione e lo stile di governo per i quali Scelta Civica è nata. Per i quali ho accettato di impegnarmi, di impegnare il mio nome e, con esso, di favorire l’ingresso o il ritorno in Parlamento di candidate e candidati che si sono formalmente impegnati a battersi per realizzare quella che essi stessi hanno chiamato ‘Agenda Monti'”.
Pronta la contromossa della pattuglia che fa riferimento al ministro della Difesa, che si muove all’unisono con Casini.
Che ha indirizzato una missiva al capogruppo a Palazzo Madama, Gianluca Susta, per chiedere la convocazione del gruppo.
La legge di stabilità  predisposta dal governo è un primo passo nella giusta direzione”, scrivono. Firmano in dodici, uno in più di quelli che avevano difeso il testo dalle punzecchiature del senatore a vita. L’autografo in più è di quelli di peso: Mario Mauro.
Peccato che Monti, quando alcuni mesi fa minacciò l’addio, rimase ad una condizione: “La linea politica la detto io”.
Difficile, comunque che la missiva giunga a destinazione: anche Susta, seguendo il leader, si è dimesso.

(da “Huffingtonpost“)

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LA “COSCIENZA” DEI CENTRISTI: UNA SCELTA CIVICA PER BERLUSCONI

Settembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

ALFANO CHIEDE A MONTI DI NON ABBATTERE IL NEMICO. LUI: “APPELLO ACCOLTO”

Undicesimo comandamento: “Contemperare il rispetto delle regole con la rinuncia alla guerra civile”.
Applicato ai giorni nostri, quelli del voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi, sembrerebbe un atteggiamento complicato da mettere in pratica.
Invece, basta fare come Scelta Civica: mandare avanti — è l’unico eletto in Giunta — uno come Benedetto Della Vedova ed affidarsi poi al voto segreto dell’aula per dare sfogo alle posizioni più “rasserenanti”.
Ora che il centrodestra trema, hanno di fronte un’occasione unica per rifarsi del tragico risultato elettorale di sei mesi fa.
Per il Pdl “fanno i conti senza l’oste” (B.). Loro replicano: “Nessuno dice che deve morire”. O meglio, nessuno deve accorgersi che l’hanno ucciso loro.
Così, è tra i 20 senatori centristi che l’ex premier, dopo il voto della Giunta (pare scontato che sarà  a suo sfavore) potrebbe pescare almeno un po’ dei 47 voti che gli servono per salvarsi dalla decadenza: nonostante le richieste di Pd e M5S, in Aula il voto non sarà  palese.
Renato Schifani ha tuonato contro i “blitz”, ma il presidente Grasso aveva già  fatto salvo il Regolamento del Senato: “Quando si vota per una persona, il voto è segreto”. Dunque è tra le fila di Udc, Montezemolo e Sant’Egidio che il plotone di esecuzione può abbassare le armi.
Tutto è stato chiaro la settimana scorsa, quando Benedetto Della Vedova ha suggerito al relatore Andrea Augello la carta vincente per uscire dal vicolo cieco: Pd e M5S avevano ottenuto che il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità  richiesto dall’esponente Pdl diventasse il voto sulla relazione stessa.
Significava bruciare i tempi in maniera fulminante. Della Vedova tirò fuori “l’articolo 10, comma 1 del Regolamento” e trasformò le pregiudiziali in questioni preliminari. Il voto tornava ad essere uno spauracchio dei giorni venturi, la tagliola sul governo si rialzava almeno un po’.
“Era la cosa giusta da fare — spiega ora Della Vedova — Che senso aveva scannarsi sulle pregiudiziali?”.
Giusto, che senso aveva? È quello che dai piani alti di Scelta Civica si domandavano tutti. Raccontano fonti interne alla coalizione centrista che “le posizioni più dure” illustrate all’inizio dal senatore eletto in Giunta fossero molto meno condivise del “contributo rasserenante” fornito poi con i “preliminari”.
Perchè la posizione per cui “non ci sono alternative alla decadenza” (quella espressa più volte da Della Vedova, per intenderci) è decisamente minoritaria tra la settantina di parlamentari di Scelta Civica.
Preferiscono parlare di “libertà  di coscienza”, dicono che “se tanti giuristi hanno dubbi, non ci sarebbe nulla di male a chiedere un parere alla Consulta”.
Posizioni note al senatore che voterà  in Giunta: “Ne abbiamo discusso più volte — dice — ma è tutto chiarissimo. Lo ha ribadito anche oggi Monti: la Severino è una legge della modernità ”.
Già , Monti. Pure lui, nelle scorse settimane, ha evocato la grazia per Silvio.
Ieri era a Caorle, alla festa di Scelta Civica: il ministro Angelino Alfano in videocollegamento ha chiesto di non considerare Berlusconi “un avversario da abbattere”. Monti ha risposto: “È come se avessimo accolto l’appello”.
Pier Ferdinando Casini, invece, si trovava a Chianciano, alla festa Udc. Lì, erano ospiti Enrico Letta, il Pd Nicola Latorre e il Pdl Renato Schifani.
Hanno battibeccato, gli ultimi due. E la platea ha applaudito il secondo.
Scelta Civica ha sempre detto che in una maggioranza con Sel e 5 Stelle non ha intenzione di sedersi. Di poltrone, al governo ne hanno già  una discreta serie.
C’è anche quella di Mario Mauro, ministro e senatore. Ieri anche lui ha mandato messaggi: “Credo che il grado di consapevolezza nei singoli parlamentari saprà  corrispondere a questo senso di responsabilità ”.

Paolo Zanca

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UDC FURIOSA CON MONTI: “ARROGANTE, NOI ESISTIAMO”

Settembre 1st, 2013 Riccardo Fucile

IL PROFESSORE AVEVA DETTO: “SE QUALCUNO TRA I CENTRISTI SI SENTE A DISAGIO PUO’ ANCHE ANDARSENE DA SCELTA CIVICA”… LE REAZIONE: “DILETTANTE, IMPARI L’UMILTA'”

Il feeling politico è finito da mesi, ma ora il rapporto tra l’Udc e Monti degenera.
E sconfina nell’insulto. Il professore viene definito “arrogante, “guastatore” e “dilettante della politica” da esponenti dell’Udc furiosi con l’ex oggi scagliano contro Mario Monti, “colpevole” di aver detto ieri che se tra i centristi c’è gente che si sente a “disagio” di stare nei gruppi di Scelta Civica può anche andarsene.
Queste le parole del senatore a vita che hanno infiammato gli animi: “Se qualcuno dice che l’Udc non esiste più, io questo non lo so. Vorrei dare da qui un messaggio chiaro, a chi si sente a disagio in gruppi unitari che si chiamano Scelta civica alla Camera o al Senato, a essere liberato dall’impegno che pure ha preso di far parte per tutta la legislatura di quel gruppo. Se poi qualcuno non più sufficientemente interessato all’esperienza dell’Udc volesse pensare di formalizzare la propria presenza in Scelta civica è un’ipotesi che si può prendere in considerazione”.
Evidentemente i tono del professore non sono piaciuti a molti che, dopo una notte di riflessione, sono partiti all’attacco.
Comincia Lorenzo Cesa: “Ho letto le dichiarazioni del presidente Monti e mi trovo d’accordo con lui: questo è il momento della chiarezza. E, per essere chiari, finchè sarò segretario dell’Udc questo partito continuerà  a esserci”.
Gli animi si scaldano. “Leggo con sconcerto le parole di Monti. Così come non ho dubbi sul fatto che il professore sia stato una eccellenza nel campo universitario in eguale maniera non ne ho sul fatto che come politico sia un dilettante assoluto”, attacca Antonio Pedrazzoli.
Poi è la volta di Maurizio Ronconi: “Il presidente Monti sembra molto più impegnato a fare il guastatore dell’alleanza con l’UDC che a definire un orizzonte di impegno per i moderati.
Per l’europarlamentare Gino Trematerra, “quando parla dell’Udc, Monti dovrebbe imparare il termine umiltà “.
Per il deputato Angelo Cera, “le parole di Monti sono un cazzotto sui denti per chi è in cerca di una verginità  perduta e di future poltrone”.
Decisamente, tra Monti e l’Udc, un amore finito male.

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MONTI CRITICA IL GOVERNO SULL’IMU: “ABOLIRLA SIGNIFICA CEDERE AL PDL”

Agosto 28th, 2013 Riccardo Fucile

IL PROFESSORE SI RISVEGLIA DAL LETARGO, IERI A FAVORE DI SILVIO, OGGI CONTRARIO

Mario Monti, leader di Scelta Civica, attacca il governo sull’Imu, definendo l’intenzione di abolirla un «cedimento di Enrico Letta e del Ministro Saccomanni, di cui ho in grandissima stima, e del Pd alle pressioni del Pdl».
«L’Europa – spiega dai microfoni di Omnibus su La7 – chiedeva da tempo che l’Italia introducesse una tassazione per la prima casa, non per un sadico gusto di far pagare di più ai cittadini ma per poter ridurre semmai la tassazione sul lavoro, stimolando la produttività . Il Governo ha scelto una strada diversa, quella di arrendersi alla forte pressione del Pdl».
Per Monti «si avrà , se ho capito bene, un successo politico del Pdl, un’apparente soddisfazione per i proprietari di case e tutti i cittadini finiranno a pagare tutto questo con piccoli aumenti a piccole tasse e l’aumento dei tassi d’interesse».
E ha poi concluso affermando: «Il Governo è guidato da un partito, con il Pd pronto ad accondiscendere alle pressioni, anche se non le condivide, del Pdl e con Scelta Civica che non ha i numeri per impedire questa evoluzione. Tutto questo dà  la sensazione, all’interno e all’esterno del Paese, che anche se c’è un Governo, si accettano pressioni che non hanno molto senso dal punto di vista economico e civile», conclude Monti.

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MONTI TRADISCE IL SUO ELETTORATO: NON TROVA SCANDALOSA LA GRAZIA AL CAVALIERE

Agosto 27th, 2013 Riccardo Fucile

IL PD TIENE DURO SUL RICORSO ALLA CONSULTA, PUR CON QUALCHE DEFEZIONE

Il pressing delle colombe del Pdl è insistente. E la linea chiara: prendere tempo affidando alla Corte costituzionale il ricorso sulla legge Severino.
Con l’obiettivo di rimandare la decadenza del senatore Silvio Berlusconi.
Lo scenario non dispiace ai supporter più accaniti delle larghe intese, ma non convince il Pd.
«Non è la nostra linea, l’ha chiarito anche Epifani a Repubblica », assicura il viceministro Stefano Fassina.
Difficile, d’altra parte, giustificare un rinvio di mesi senza pagare un prezzo troppo alto sull’altare della stabilità  di governo. Perchè un conto è concedere qualche giorno per rispettare il diritto di difesa, altro rinviare così il momento della verità .
Mario Monti, intanto, sul Foglio apre all’ipotesi di grazia per l’ex premier: «I casi eccezionali vanno affrontati con provvedimenti d’eccezione, ad esempio la grazia, che non troverei affatto scandalosa proprio per il ruolo che Berlusconi ha avuto »
Qualche crepa nell’edificio democratico, comunque, si intravede.
Il primo a uscire allo scoperto, proponendo un break per dare spazio alla Consulta, è stato sabato scorso Umberto Ranieri. Indicato, in passato, come vicino alle posizioni del Quirinale. Ieri, poi, in un’intervista al Corriere della Sera è toccato a Luciano Violante – chiamato dal Colle nel comitato dei saggi – non escludere la strada del ricorso. Gelida, però, la reazione dei vertici dem
Fassina non le manda a dire: «Violante è autorevole esperto e giurista, ma certo non rappresenta la posizione del Pd».
Secondo il viceministro la trincea è pronta a reggere al fuoco dei berlusconiani: «Non mi risulta che ci siano differenze rispetto alla linea di Epifani, c’è un’assoluta convergenza». Nessun cedimento al Cavaliere, insomma, in nome della stabilità .
Certo, l’ala governativa di Pd e Pdl ragiona da settimane sui vantaggi immediati di un ricorso alla Consulta.
E dal quartier generale azzurro Maria Stella Gelmini invita i falchi Pd alla “conversione”.
Nessuno, però, si spinge ancora fino a difendere la tesi dello scambio. Al massimo, l’appello è a valutare ogni strada percorribile. Come fa un lettiano doc, il senatore Francesco Russo: «Non ho le competenze giuridiche – premette – ma è certo che il Pd non farà  nulla contra legem. Non sarà  accondiscendente verso Berlusconi, ma non negherà  tutti gli spazi di difesa».
Molto, sostiene, dipenderà  da cosa «diranno i giuristi».
E poi, ricorda, esiste anche il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo promossa dai berlusconiani. In ogni caso, «nessuno vuole far apparire che si porti avanti una forzatura»
In Giunta per le immunità , però, tira un’aria ben diversa.
Sentite il capogruppo Felice Casson: «Non c’è possibilità  di un ricorso alla Consulta. Questo perchè nel sistema costituzionale se una legge non va bene è il Parlamento a rifarla, non delega a un altro organo. E poi la giunta è un organo para-giurisdizionale, di nomina politica. Non un organo giurisdizionale».
Non c’è spazio per ulteriori dilazioni, assicura l’esponente dem.
La strada per ulteriori distinguo è insomma sbarrata: «Dal segretario nazionale al segretario dell’ultimo circolo del Pd c’è compattezza. Anche se il Pdl cercherà  di tutto – dalla decadenza all’Imu – per far saltare il governo». E anche Stefania Pezzopane non immagina altro che un giudizio rapido sul Cavaliere: «Per noi è impensabile che la giunta faccia ricorso. E a inizio legislatura questa impossibilità  è stata sostenuta con particolare attivismo dai membri del Pdl… «.
E si fanno sentire anche i giuristi.
Interviene ad esempio Cesare Mirabelli., ex presidente della Corte costituzionale «Non mi pare – afferma – che ricorra il presupposto di un ricorso alla Consulta. Dovrebbe in ogni caso essere l’Aula del Senato a sollevare la questione, e non la Giunta. Ma sarebbe singolare che a sollevare la questione sia lo stesso organo che ha approvato la legge e che potrebbe deliberarne la modifica».

Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)

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