Settembre 10th, 2019 Riccardo Fucile
ALLARME PER I GIOVANI CHE NON LAVORANO E NON STUDIANO, SONO IL 26%
Una duplice sfida attende la scuola italiana nei prossimi dieci anni: oltre un milione di studenti in meno e circa metà degli attuali docenti che andranno in pensione.
Lo dice il nuovo Rapporto Ocse “Education at a glance 2019” presentato oggi. Lo studio evidenzia che l’Italia ha la quota maggiore di docenti ultra 50enni (59%) e che dovrà sostituirne circa la metà entro i prossimi dieci anni.
Quota 100 ha aumentato il turn-over. Inoltre la nostra scuola ha la quota più bassa di insegnanti di età tra i 25 e i 34 anni nei Paesi dell’Ocse. Pochi giovani dunque in cattedra. Ma per tutti l’obiettivo – una richiesta che viene da lontano – è unico: il 68% degli insegnanti ha dichiarato che migliorare i salari dei docenti dovrebbe essere una priorità .
Il Rapporto prende in considerazione vari aspetti del mondo dell’istruzione, dalla scuola all’università . E l’Italia non ne esce benissimo a partire dalla spesa in istruzione, tra le più basse, e dalla quota di giovani Neet che cresce e che preoccupa. Ecco alcuni punti del Rapporto Ocse in sintesi.
Giovani neet
Non studiano, non lavorano, non risultano in formazione. Si chiamano Neet (l’acronimo sta per Not Engaged in Education, Employment or Training) e l’Italia registra la terza quota più elevata di giovani in queste condizioni tra i Paesi dell’Ocse: il 26% dei giovani di età compresa tra 18 e 24 anni è Neet, rispetto alla media Ocse del 14%. L’Italia e la Colombia sono gli unici due Paesi con tassi superiori al 10% per le due categorie (inattivi e disoccupati) tra i 18-24enni. Circa l’11% dei 15-19enni sono Neet, ma questa quota triplica per i 20-24enni, raggiungendo il 29% per le donne e il 28% per gli uomini nella classe d’età in cui inizia la transizione verso l’istruzione terziaria e il mercato del lavoro. Sebbene il livello d’istruzione sia più alto tra le donne, il tasso di giovani Neet aumenta fino al 37% per le donne di età compresa tra i 25 e i 29 anni e scende al 26% per gli uomini della stessa coorte.
La spesa in istruzione
L’Italia spende circa il 3,6% del suo Pil per l’istruzione dalla scuola primaria all’università , una quota inferiore alla media Ocse del 5% e uno dei livelli più bassi di spesa tra i Paesi dell’Ocse.
La spesa è diminuita del 9% tra il 2010 e il 2016 sia per la scuola che per l’università , più rapidamente rispetto al calo registrato nel numero di studenti, che è sceso dell’8% nelle istituzioni dell’istruzione terziaria e dell’1% nelle istituzioni dall’istruzione primaria fino all’istruzione post-secondaria non terziaria.
La quota del finanziamento privato nell’istruzione terziaria è lievemente superiore in Italia (36%) rispetto alla media dei Paesi dell’Ocse (32%). Tra le fonti pubbliche, le amministrazioni regionali e locali contribuiscono a una piccola quota del finanziamento dell’istruzione non terziaria (5% dall’amministrazione regionale e 8% dalle amministrazioni locali); le amministrazioni regionali contribuiscano al 18% del finanziamento pubblico per l’istruzione terziaria.
La spesa per studente spazia da circa 8 000 dollari statunitensi nell’istruzione primaria (94% della media Ocse) a 9 200 dollari statunitensi nell’istruzione secondaria (92% della media Ocse) e 11 600 dollari statunitensi nei corsi di studio terziari (74% della media Ocse) o circa 7 600 dollari statunitensi se si esclude la spesa per ricerca e sviluppo. Le famiglie contribuiscono al 5% del finanziamento totale dell’istruzione dalla scuola primaria alla scuola post-secondaria non terziaria e al 30% al livello d’istruzione universitaria.
Il primato sull’infanzia
Il tasso d’iscrizione scolastica dei bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni è del 94%, un valore superiore alla media Ocse. Insomma è piena scolarizzazione sin dai tre anni. L’istruzione nella scuola dell’infanzia (pre-primaria) è principalmente erogata dal settore pubblico, con il 72% dei bambini iscritti presso istituti pubblici. Nelle scuole dell’infanzia ilnumero di bambini per maestra si attesta a 12, rispetto alla media Ocse di 15.
L’Italia spende circa 7.400 dollari statunitensi per allievo nelle scuole pre-primarie, circa 1.000 dollari statunitensi in meno rispetto alla media Ocse di 8.350 dollari statunitensi. A questo livello d’istruzione la spesa complessiva è stata pari allo 0,5% del prodotto interno lordo (PIL) nel 2016, la stessa quota del 2012. La spesa privata è stata pari al 12% del totale delle risorse finanziarie a questo livello, mentre l’88% residuo è stato finanziato da fonti pubbliche.
“Più incentivi per laurearsi”
Siamo fanalino di coda per numero di laureati. Il grido d’allarme risuona da tempo: il 19% dei 25-64enni hanno un’istruzione terziaria conferma l’Ocse contro una media del 37%. Unico dato positivo è che la quota di laureati è in aumento per le generazioni più giovani. La quota di giovani adulti (di età compresa tra i 25 e i 34 anni) che hanno un titolo di studio di istruzione terziaria – si legge nel Rapporto – è più elevata e ha raggiunto il 28% nel 2018 (34% per le giovani donne), nonostante il tasso di occupazione dei 25-34enni con un titolo di studio terziario sia del 67%, rispetto all’81% dei 25-64enni.
Le lauree di secondo livello sono relativamente apprezzate: si stima che il 22% degli italiani dovrebbe iscriversi a un corso di studio di secondo livello prima di aver compiuto 30 anni, rispetto al 14% in media tra Paesi dell’Ocse. In Italia, chi arriva a una laurea di primo livello (tasso di conseguimento: 31%) ha maggiori probabilità di iscriversi a un corso di laurea di secondo livello rispetto ad altri Paesi dell’Ocse. Il tasso di diploma al secondo livello in Italia ha raggiunto il 22% nel 2017 (media: 18%).
(da agenzie)
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Luglio 21st, 2019 Riccardo Fucile
IN 16 ANNI SI SONO DIMEZZATI GLI STUDENTI… GOVERNO SOTTO ACCUSA: HA ABBANDONATO ANCHE L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO
In sedici anni si sono dimezzati gli iscritti agli istituti professionali, e il Paese — tanto meno il
ministero dell’Istruzione – non ha ancora messo a fuoco che questo è un problema primario.
Lo scorso 27 giugno il Miur ha reso pubblici i dati sulle iscrizioni scolastiche per l’anno 2019-2020: hanno certificato, i dati, come le famiglie negli ultimi cinque anni si siano aggrappate alla tradizione dei licei: su 542.654 richieste di iscrizione alla prima superiore, infatti, il 54,6 per cento si è affidato a un classico, uno scientifico, un linguistico (i licei sono in crescita di iscritti dal 2014-2015).
Le scuole tecniche (economiche, tecnologiche, turistiche) sono in lieve ripresa: le affronterà il 31 per cento del totale che si affaccia alla secondaria superiore.
La scelta degli undici indirizzi di istruzione professionale e dei percorsi di formazione professionale (IeFp), invece, è in vistoso calo.
Gli iscritti alla prossima stagione, qui, sono al 14,4 per cento del totale contro il 15,2 dell’anno precedente. Gli istituti professionali quinquennali sono in leggera risalita (0,1 per cento), ma crollano le adesioni alle scuole regionali di tre o quattro anni.
La caduta dell’appeal delle Professionali dura da sedici anni, seguendo i dati offerti nelle successive stagioni dall’Ufficio statistica del Miur.
Nell’Anno scolastico 2003-2004 — con la scuola divisa semplicemente in cinque categorie — il 27,4 per cento dei quattordicenni entrava in istituto per imparare un lavoro: erano le scuole più richieste (tenendo conto che, allora, solo il classico e lo scientifico erano classificati licei).
Dal 2003 è iniziata una discesa continua e rapida con due accenni di risalita nel 2009 e nel 2012 che non hanno invertito la tendenza negativa: i Professionali non sono istituti cercati in un Paese che tutt’oggi poggia la sua tenuta economica sulla piccola e media impresa e quando nel resto d’Europa — in Germania, soprattutto — le scuole del fare hanno altri numeri, altra attenzione, altri risultati.
Se si entra nel dettaglio degli undici indirizzi professionali, si vede che perde (0,2 per cento) anche quello più frequentato: “Enogastronomia”. Il “Food” è questione di moda e che crea occupazione, a livello universitario crescono i corsi in Scienze alimentari, ma nella scuola anche questo segmento non tira. “Servizi per la sanità e l’assistenza sociale” è il terzo per iscritti. Tengono “Servizi commerciali” e “Manutenzione e assistenza tecnica”.
Una ricerca della Fondazione Agnelli del febbraio 2018 ha spiegato una questione che, probabilmente, le famiglie italiane hanno introiettato da tempo: i Professionali italiani (nella ricerca anche i Tecnici, in verità ) danno minori garanzie di occupazione. Nello specifico, solo il 42,7 per cento dei diplomati tecnico-professionali trova un lavoro nei due anni successivi alla Maturità . E di questi, solo uno su cinque lo trova a tempo indeterminato.
Due riforme in sei anni (Gelmini con Berlusconi nel 2011, Toccafondi con Gentiloni nel 2017) non riescono a incidere sui destini della scuola professionale italiana. La dispersione – ovvero gli studenti che non arrivano alla Maturità – resta alta e troppe classi sono diventate luoghi di aggressività studentesca nei confronti di docenti lasciati in solitudine.
“La scuola è il luogo in cui i ragazzi scoprono la propria strada, il proprio talento e si orientano per il futuro”, dice Gabriele Toccafondi, oggi deputato centrista, sottosegretario all’Istruzione con Renzi e Gentiloni, “gli istituti professionali vanno sostenuti e rilanciati per il bene del Paese. Questo governo, che pure tra la piccola impresa del Nord ha molto elettorato, non lo sta facendo. La crisi delle scuole professionali è l’altra faccia dell’abbandono dell’Alternanza scuola lavoro”.
Alla Camera il ministero ha rivelato che nell’anno scolastico appena chiuso solo il 53 per cento degli studenti ha svolto l’Alternanza (nel 2017-2018 era stato l’89 per cento). Le strutture ospitanti sono passate da 208 mila a 190 mila.
Che le professionali servano lo dimostra l’iniziativa dell’azienda di Treviso Came, leader nel settore dell’automazione (cancelli, citofonia): ha selezionato 22 studenti tra 740 in tutta Italia per avviarli a uno stage teorico e pratico lungo due settimane.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2019 Riccardo Fucile
DOPO LA PASSERELLA DI SALVINI E BUSSETTI, LA DOCENTE RIBADISCE CHE OCCORRE LA SUA RIABILITAZIONE
“Non vorrei che passasse un messaggio sbagliato — dice la professoressa Dell’Aria – cioè che si è
trattato di un atto di clemenza o grazia nei miei confronti, perchè se è stato riconosciuto ai più alti livelli che sono esente da colpe la mia unica richiesta è che ufficialmente sia dichiarata la mia estraneità e che la sanzione inflittami è ingiusta”.
La professoressa palermitana Rosa Maria Dell’Aira non vuole grazia o clemenza, ma una totale riabilitazione.
Il giorno dopo l’incontro in prefettura col ministro degli Interni Matteo Salvini e quello dell’Istruzione Marco Bussetti, l’insegnante torna così sulla vicenda della sua sospensione, che ancora non è stata revocata.
Come si ricorderà , tutto ebbe origine da una ricerca degli studenti sulle leggi razziali alla luce dell’attuale momento politico
Ieri pomeriggio, dopo un’ora di colloquio, che aveva soddisfatto tutti e, che, secondo la docente, si è svolto “nella massima tranquillità e serenità ”, sia Salvini che il ministro Bussetti, avevano parlato di una soluzione tecnica per risolvere definitivamente il caso, senza spiegare chi e in che modo ritirerà il provvedimento, ma specificando che non potrà farlo direttamente il ministro dell’Istruzione.
“Desidero sottolineare – aggiunge la docente, che rientrerà a scuola lunedì allo scadere della sospensione – che l’incontro si è svolto in un clima assolutamente sereno, alla presenza anche del prefetto di Palermo, oltre che dei ministri e dei loro staff, e dati alla mano è stato detto e convenuto che la sanzione non aveva ragione di essere comminata e visto che il ministro non può intervenire direttamente si sarebbe trovata una soluzione che annullasse completamente tutti gli effetti della sanzione, cioè quelli relativi alla mia dignità professionale e quelli economici
(da Globalist)
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Maggio 6th, 2019 Riccardo Fucile
LE PRIORITA’ DELLA LEGA SONO QUESTE CAZZATE, MENTRE IL LIVELLO DI ISTRUZIONE E’ BASSISSIMO E GLI EDIFICI CROLLANO
Non si capisce perchè Salvini abbia deciso che bisogna parlare di grembiuli a scuola, dato che lui è il Ministro dell’Interno e non dell’Istruzione.
Ma ormai, il suo governo di camerieri ha abituato il Capitano che non c’è argomento in cui non ha diritto di mettere bocca, con poteri e competenze che non gli spetterebbero neppure se fosse, come in effetti è, il Presidente del Consiglio.
Il che apre a inquietanti riflessioni sul potere che acquisirebbe se davvero diventasse premier. Ma tornando alla polemica del giorno, questa volta Salvini ha espresso la sua volontà di far tornare i grembiuli a scuola
Per farlo, Salvini ha usato una vecchia formula retorica di gran moda nel secondo dopoguerra: il grembiule, uguale per tutti, metteva i bambini tutti sullo stesso piano, senza dare alle famiglie la possibilità di sfoggiare abiti firmati e costosi e quindi far sentire a disagio i bambini che non possono permetterseli
Oltre al fatto che si tratta di un falso mito, dato che la disparità sociale non passa dai grembiuli ma, per esempio, anche alla sola possibilità di frequentare la scuola, Salvini sceglie di parlare di scuola e lo fa da una prospettiva quanto mai inutile: le nostre scuole, specialmente al sud, cadono letteralmente a pezzi.
In alcune regioni del Meridione, i ragazzi costretti ad andare a scuola in prefabbricati gelidi di inverno e incandescenti in estate sono numerosissimi.
Mancanza di attrezzature e una classe insegnante che percepisce uno degli stipendi più bassi in Europa influiscono ovviamente negativamente sull’istruzione dei ragazzi: secondo i dati Invalsi diffusi dall’Istat, il 40% degli studenti italiani che esce dalle scuole medie è ascrivibile alla categoria degli analfabeti funzionali, ossia sono in grado di leggere e scrivere ma non di comprendere testi complessi o di formulare pensieri originali.
E viene fin troppo facile commentare che è esattamente il tipo di elettorato che Salvini vuole costruire per il suo futuro politico.
Il ministro dovrebbe occuparsi della sicurezza dei cittadini, dovrebbe pensare ai solai che crollano sulla testa dei nostri figli, altro che dei grembiuli. Invece cerca argomenti di distrazione.
(da agenzie)
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Febbraio 4th, 2019 Riccardo Fucile
“CHIEDEVAMO UN CONFRONTO CON DI MAIO, CI HA MANDATO LA POLIZIA IN ASSETTO ANTISOMMOSSA”…E DI MAIO ALLA FINE SCAPPA DA UN’USCITA SECONDARIA
Secondo l’Unione degli Studenti la presenza del ministro del Lavoro al Liceo Imbriani di
Pomigliano d’Arco è funzionale a sfruttare gli alunni solo per la propaganda mentre «dentro e fuori la scuola è impedito ogni tipo di dissenso e libertà di espressione agli studenti che parlano di tagli, scuole fatiscenti e mancanza di diritto allo studio, si risponde con scudi, manganelli e sanzioni».
L’accusa al governo è quella di non interessarsi realmente ai problemi della scuola italiana, come ad esempio quello dell’edilizia scolastica, ma di usare gli studenti solo come pretesto per farsi pubblicità .
Esattamente come i famigerati governi precedenti anche quello giallo-verde «vuole nascondere una grande verità : non c’è nessuna intenzione di migliorare la scuola pubblica».
Sono state postate foto della contestazione al ministro del lavoro, con gli agenti schierati in assetto anti-sommossa ad impedire l’accesso all’istituto dove stava parlando il vicepremier.
Fortunatamente non si è arrivati allo scontro ma gli studenti non hanno rinunciato a mettersi in ginocchio con le mani dietro la nuca di fronte agli agenti rievocando la scena nel famoso video delle proteste francesi che tanto è piaciuto ai sostenitori dei gilet jaunes.
Chissà che ne pensa Di Maio, anche a lui i gilet gialli piacciono parecchio, finchè non contestano lui.
Il coordinatore di UDS di Pomigliano d’Arco Luca Iuliano è iscritto al quinto anno dell’Imbriani è tra coloro che denunciano la strumentalizzazione del corpo studentesco da parte dell’entourage del vicepremier.
«Siamo stati ricevuti dall’entourage del ministro — ha raccontato Iuliano all’agenzia Dire — anche se li conoscevamo già tutti. Sono politici di Pomigliano d’Arco e prima per loro eravamo gli studenti buoni, perchè protestavamo insieme contro il Jobs Act, la Buona Scuola e il referendum costituzionale. Ora, invece, sono scappati via mentre parlavamo. Ci hanno liquidati perchè non sanno cosa dirci”
Iuliano è giunto alla conclusione che «i 5 Stelle sono uguali a tutti gli altri . Di Maio ha detto di essere venuto qui in qualità di ex studente. Non è vero, è un ministro. È venuto a parlare di reddito di cittadinanza e a firmare un accordo per l’alternanza scuola-lavoro quando in campagna elettorale dicevano di essere contrari all’alternanza… Di Maio non ha visto in che condizioni è ridotto il suo liceo? Questa scuola è la più nuova di Pomigliano ed è in condizioni pessime».
Di Maio — che ha detto agli studenti “Chiamatemi Luigi, non onorevole” — ha lasciato il Liceo da un’uscita secondaria.
Evidentemente la contestazione è bella solo quando sei all’opposizione, quando sei al governo ti fa fare brutta figura.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
IL PARADOSSO: AUMENTATI I CONTRIBUTI ALLA UE DOPO AVER PROMESSO L’USCITA DALL’EURO
Si spende tanto per le pensioni, tantissimo per il reddito di cittadinanza. E quindi si deve
risparmiare su qualcosa.
La Manovra del Popolo ha deciso di risparmiare sugli incentivi alle imprese e sulla scuola.
Si risparmierà sul rimborso delle imposte (-3,9 miliardi), si spenderà meno per il soccorso civile (3,3 miliardi) e per l’immigrazione.
La spesa vera e propria per le pensioni aumenta di 3,8 miliardi da 84,9 a 88,7 miliardi. Mentre il percorso di quella per l’istruzione lo spiega oggi Mario Sensini sul Corriere della Sera
Altro capitolo molto pesante nel bilancio pubblico è quello assorbito dall’istruzione scolastica. Che si riduce, a legislazione vigente, di 4 miliardi nel triennio, cioè di circa il 10%.
Si passa da 48,3 a 44,4 miliardi nel giro di tre anni, con una riduzione delle risorse sia per l’istruzione primaria (da 29,4 a 27,1 miliardi di euro) che per quella secondaria (da 15,3 a 14,1 miliardi).
A determinare la flessione contribuisce in modo decisivo la riduzione dei fondi per gli insegnanti di sostegno, un miliardo nel ciclo primario, 300 milioni in quello secondario. In compenso si spenderà qualcosa in più per l’Istruzione universitaria (da 8,3 a 8,5 miliardi tra il ’19 e il `21).
Il Corriere segnala pure che sale anche il costo della partecipazione italiana al bilancio dell’Unione europea, nonostante il governo lo ritenga già ora troppo alto.
I contributi all’Unione Europea aumentano di oltre 3 miliardi nel periodo, da 20,8 a 23,9 miliardi. Niente male per chi in campagna elettorale aveva promesso l’uscita dall’euro, no?
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 22nd, 2018 Riccardo Fucile
DESTINIAMO SOLO IL 3,9% DEL PIL CONTRO LA MEDIA UE DEL 4,7%
L’Italia spende in educazione il 3,9% del pil, un dato inferiore alla media Ue (4,7%) e dei maggiori
paesi europei.
La spesa (dalle scuole per l’infanzia alle università ) nei primi anni della crisi, ovvero tra il 2009 e il 2012, è scesa da 72 miliardi annui a 65,4.
Ma già prima il nostro paese si collocava nella seconda metà della classifica europea per percentuale di spesa in istruzione rispetto al pil e dal 2011 stabilmente negli ultimi posti.
Nel 2016 (ultimo anno Eurostat disponibile) risultava quintultima tra i 28 paesi dell’Unione europea con 65,6 miliardi di spesa. Se si considera poi la spesa rispetto al numero di studenti (calcolata da Ocse), negli ultimi anni l’Italia ha registrato un incremento, che resta inferiore rispetto a quello di altri grandi paesi europei, come Francia e Germania.
Lo sottolinea l’ultimo dossier dell’Osservatorio sulla povertà realizzato da Con i Bambini e Fondazione Openpolis, “L’Italia spende meno della media europea in educazione”.
Rispetto ai 28 paesi dell’Unione europea la percentuale di produzione economica spesa in istruzione è passata dal 4,9% del 2008 al 4,7% del 2016, un dato tendenzialmente stabile, commentano gli osservatori.
Rispetto al 2008 Francia e Germania hanno spesoo di più in istruzione, mentre l’Italia meno. La Francia per mantenere il 5,4% del pil destinato all’istruzione ha aumentato la spesa da 107 miliardi nel 2008 a circa 120 nel 2016.
Anche la Germania, in base ai dati Eurostat, nello stesso periodo è passata da circa 100 miliardi in educazione (3,9% del pil) a oltre 132 (4,2% del pil). Negli altri maggiori paesi europei la quota di pil si è ridotta.
Per l’Italia questo è vero in particolare tra 2009 e 2011, anni in cui è passata dal 4,6% del pil al 4,1% (in termini assoluti da oltre 70 miliardi a circa 65) e negli anni successivi si è stabilizzato su questa cifra (pari a circa il 4% del pil). Nel Regno Unito la quota di spesa in istruzione è passata da oltre il 6% negli anni tra 2008 e 2010 al 4,7% del 2016.
“La quantità di spesa da sola non è una garanzia, nè tantomeno un indicatore, della qualità del sistema educativo. – sottolineano gli oasservatori – Ma questi dati messi in fila raccontano di un paese che spende meno degli altri maggiori partner europei nell’istruzione. Una scelta che rischia di essere miope. Nell’immediato, per le opportunità offerte ai più giovani. Sul lungo termine, per gli stessi presupposti di crescita del paese”.
(da Globalist)
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Dicembre 13th, 2018 Riccardo Fucile
MENTRE IL “PRESTANOME” SI OCCUPA DI PRESEPI, CROCIFISSI E COMPITI PER LE VACANZE, AL MINISTERO COMANDANO IL SUPERBUROCRATE CHINE’ E L’ULTRA’ LEGHISTA VALDITARA (EX AN PENTITO)… LA MARCHETTA AI BARONI: VOGLIONO TOGLIERE OGNI VINCOLO A INCARICHI E CONSULENZE PRIVATE PER I PROF
Missione compiuta. Anche quest’anno la sacra famiglia può stare tranquilla. Garantisce Marco
Bussetti.
Nel nome, parole sue, dei «nostri valori e delle nostre tradizioni», il ministro dell’Istruzione non ha esitato a spendersi personalmente in difesa del presepe, invitando le scuole di ogni ordine e grado a «non nasconderlo». Un classico.
Già nel lontano 2004, dalla stessa poltrona di Bussetti, la berlusconiana Letizia Moratti pubblicò addirittura una lettera aperta sul tema, schierandosi, manco a dirlo, dalla parte di Gesù bambino. E le cronache di quattro anni fa raccontano di un Matteo Salvini impegnato a recapitare statue dei pastorelli ad altezza quasi naturale in un istituto di Bergamo dove il preside aveva lasciato libertà di scelta agli insegnanti. Adesso che Salvini comanda a Roma e un suo uomo si è insediato al ministero dell’Istruzione, l’annoso dibattito sugli addobbi natalizi, non proprio una questione centrale per il futuro del Paese, riassume alla perfezione la strategia del governo a trazione leghista.
Simboli e parole d’ordine servono a mobilitare gli elettori: il migrante, le Ong, l’euro.
Anche il presepe, nel suo piccolo, funziona a meraviglia quando si parla di istruzione e di valori da trasmettere ai giovani.
Intanto però, ben nascosto dal polverone della propaganda, c’è chi manovra per cambiare i connotati della scuola italiana.
Non è il peso piuma Bussetti, neofita assoluto della politica, già professore di ginnastica e dirigente del provveditorato di Milano, catapultato nei palazzi romani per intercessione del suo amico Giancarlo Giorgetti, ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
E neppure Lorenzo Fioramonti, il viceministro con targa Cinque Stelle che fin qui è riuscito a ottenere, quattro mesi dopo l’insediamento, la sola delega all’Università e non quella per la Ricerca, che forse arriverà prossimamente, ma forse anche no.
A tracciare la rotta, quindi, non sono il ministro nè il suo vice. I due, peraltro, vivono praticamente da separati in casa, con il secondo costretto ad apprendere dai giornali, anzi da Twitter, notizie come il siluramento del capo dell’Agenzia spaziale italiana, Roberto Battiston, deciso da Bussetti
La trama del potere, quello vero, porta altrove.
Leggi, regolamenti e progetti passano tutti dalla stanza di Giuseppe Chinè, 50 anni, capitano di lungo corso della burocrazia governativa, avvocato e consigliere di Stato, già collaboratore di Antonio Di Pietro alle Infrastrutture, poi con Giulio Tremonti al ministero dell’Economia, dove è rimasto anche con Mario Monti e infine dal 2013 alla Salute al fianco di Beatrice Lorenzin.
A giugno, Chinè è atterrato all’Istruzione come capo di gabinetto di Bussetti e da settimane, secondo quanto rivelano fonti del dicastero, sta curando in prima persona un progetto della massima importanza: mettere ordine nella selva di norme che riguardano l’università italiana per arrivare a un nuovo testo unico che contenga anche importanti novità in materia di ordinamento degli atenei e status giuridico dei professori.
Sugli stessi temi è impegnato anche il leghista Giuseppe Valditara, che nel nuovo organigramma del dicastero è andato a occupare la posizione di capo dipartimento per la formazione superiore e la ricerca.
Docente di diritto romano, classe 1961, da sempre schierato a destra, Valditara nel 2010, quando era senatore berlusconiano, diede un contributo importante alla riforma universitaria varata dall’allora ministro Mariastella Gelmini.
Otto anni dopo, il professore (in aspettativa) con cattedra a Torino è sbarcato al ministero dell’Istruzione con l’ambizione di completare il lavoro avviato ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi.
Vengono dai suoi uffici una serie di proposte destinate, con l’approvazione del ministro, a diventare presto emendamenti alla legge di bilancio in discussione in Parlamento. Massima autonomia alle università e massima autonomia anche ai professori, a costo di metter mano al loro status giuridico fissato per legge.
Questo in estrema sintesi il programma di lavoro di Valditara, che non a caso, in uno degli emendamenti che ha già sottoposto agli uffici di Bussetti vuol garantire ulteriore flessibilità ai docenti nell’organizzazione del proprio lavoro.
In altre parole, se questa proposta diventerà legge, i professori potrebbero contrattare con il rettore, o con il preside di facoltà , tempi e modalità del loro impegno, con la possibilità , per esempio, di dedicarsi per un certo periodo alla sola ricerca.
Questo nuovo regime professionale aprirebbe la porta alla contrattazione individuale dello stipendio da parte dei professori e avrebbe come conseguenza la liberalizzazione pressochè completa delle attività extra accademiche dei docenti, che potrebbero per esempio accettare consulenze e incarichi vari per conto di enti pubblici e aziende private.
Le norme oggi in vigore già prevedono la possibilità per i professori di lavorare fuori dall’università . Ci sono però limitazioni che verrebbero in gran parte a cadere se passasse l’emendamento studiato da Valditara.
In passato la violazione delle regole sulle consulenze esterne (articolo 6 comma 10 della legge Gelmini) ha portato a interventi della Corte dei conti con indagini della magistratura.
Ha fatto scalpore, nel maggio scorso, un’operazione della Guardia di finanza che ha messo sotto inchiesta 411 docenti delle facoltà di ingegneria, architettura, economia e altre ancora di numerosi atenei italiani.
Al centro delle accuse era proprio il doppio lavoro dei cattedratici.
«Non capisco perchè, nel rispetto degli obblighi didattici, a un ingegnere che insegna in un politecnico non possa essere consentito di lavorare anche per un’azienda», dice Valditara. «Al limite una quota del compenso per la consulenza esterna potrebbe andare all’università », aggiunge il capo dipartimento del ministero.
In teoria, una riforma di questo tipo dovrebbe incontrare forti resistenze tra i Cinque Stelle, che in materia universitaria hanno posizioni molto distanti da quelle espresse nei progetti di emendamento ora all’attenzione di Bussetti.
«Il ministro ha fin qui dimostrato grande apertura su queste proposte», sostiene Valditara, che si è già mosso anche in Parlamento. Il compito di sensibilizzare gli alleati di governo è stato affidato al senatore Mario Pittoni, responsabile scuola della Lega, nonchè presidente della commissione cultura di palazzo Madama. Vedremo se il pressing leghista riuscirà a vincere le resistenze.
Il senatore Mario Pittoni ha scritto per il Carroccio la riforma che dovrebbe archiviare la Buona scuola. Ma nel curriculum, scritto a penna, non ha mai chiarito quale fosse il suo titolo di studio. E ora spiega: “Quello che c’è da sapere non si impara sui polverosi libri”
Intanto, tra riforme vere e presunte, la confusione sulla direzione di marcia è massima. A novembre Salvini, davanti a una platea di militanti, aveva promesso l’abolizione del valore legale della laurea, un vecchio pallino del Carroccio.
A poche ore di distanza è toccato a Bussetti garantire che non se ne parla, almeno per il momento. A ottobre invece è stato rapidamente corretto un comunicato notturno del Consiglio dei ministri, che annunciava la fine del test d’ingresso per Medicina.
Non è all’ordine del giorno, assicurò il ministro, al massimo aumenteranno i posti in facoltà . Poi ci sono state le polemiche sulla Storia nei programmi scolastici, sull’aumento di soli 14 euro al mese agli insegnanti, perfino sull’inatteso ritorno del grembiule, che Bussetti vedrebbe bene almeno fino alle Medie
Dichiarazioni a parte, che spesso lasciano il tempo che trovano, anche le nuove norme sfornate dal ministero hanno finito in qualche caso per aumentare la sensazione di caos.
L’esempio principe è forse lo stravolgimento dell’esame di maturità . Ai ragazzi di quinta superiore che da due anni si stavano preparando secondo il modello attuale, e ai loro poveri prof, la scossa è arrivata a ottobre con una norma infilata nel già affollatissimo decreto milleproroghe. Non proprio la cornice migliore per introdurre una svolta di tale importanza.
Si cambia, quindi. E allora niente più test Invalsi, fino a quest’anno obbligatori per essere ammessi all’esame. Ma, soprattutto, niente più terza prova, mentre il secondo scritto verrà articolato diversamente. Al liceo classico, per esempio, potremmo avere, insieme, un test di greco e uno di latino. Le circolari ministeriali che illustrano contenuti e modalità di valutazione della nuova maturità sono infine arrivate, ma professori e studenti, a grande maggioranza, restano perplessi di fronte a una riforma introdotta in gran fretta.
È solo l’inizio. Il governo ha in cantiere una raffica di novità , che messe insieme disegnano il percorso di una vera riforma del sistema scuola.
Il fatto è che questi interventi, invece di essere inseriti in un testo organico, sono andati a gonfiare il gran fiume degli emendamenti alla legge di bilancio per il 2019, che andrà approvata entro la fine dell’anno.
Alcuni cambiamenti decisivi, come i nuovi percorsi di ingresso e di selezione per i docenti delle scuole medie e superiori, per esempio, passeranno soltanto dal capitolo intitolato “Misure di razionalizzazione della spesa pubblica” nel bilancio di Stato. Non sembra proprio il modo migliore di favorire il dibattito su temi di grande importanza, hanno fatto notare diversi parlamentari dell’opposizione durante l’audizione del ministro Bussetti alla commissione Cultura della Camera.
Alla voce tagli, possono essere iscritti gran parte dei provvedimenti del governo.
È il caso della riduzione a un solo anno, con conseguenti risparmi per milioni di euro, del tirocinio pratico e formativo degli insegnanti finora articolato su tre anni.
Ancora una volta, si sforbicia, anzichè investire sull’istruzione. Si riduce della metà anche l’alternanza scuola-lavoro. Era un’attività contestata da un’ ampia fetta di professori e studenti, come viene ricordato nel contratto di governo tra Lega e Cinque Stelle.
Adesso però, con meno ore a disposizione, diventerà ancora più difficile migliorare la collaborazione con le aziende. E spuntano norme sulla scuola perfino nel cosiddetto decreto Genova, che stanzia 4,5 milioni di euro per la progettazione dei “poli per l’infanzia”, il nuovo sistema integrato di asili e materne a cui andranno oltre 300 milioni di euro di risorse. Sull’edilizia scolastica, altro capitolo di grande rilievo, Bussetti ha invece imboccato un sentiero a dir poco tortuoso.
È stata infatti cancellata la struttura tecnica al servizio di amministratori locali e presidi, che faceva capo alla presidenza del Consiglio. Una nuova “Centrale per la progettazione delle opere pubbliche” ne erediterà risorse e progetti, ma ancora non si sa quando diventerà davvero operativa. È il governo del cambiamento: si butta il vecchio. Il nuovo arriverà . Forse.
(da “L’Espresso”)
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Dicembre 11th, 2018 Riccardo Fucile
CON TUTTI I PROBLEMI DELLA SCUOLA, IL MINISTRO BUSSETTI PENSA A RACCOGLIERE VOTI TRA I GENITORI CON “MENO COMPITI PER LE VACANZE”, COSI’ STANNO TUTTI A CONTEMPLARE IL PRESEPE
Quanti compiti posso assegnare, caro Babbo Natale, ai miei studenti per le prossime vacanze
natalizie?
Se suggerirò un romanzo da leggere e una versione di latino a Peppino, mentre alla classe di Rosa darò da ripassare il teorema di Pitagora perchè con il touch screen che ha ricevuto per il compleanno ricorda difficilmente le regole della geometria, non riceverò io i regali sperati?
Simile al cavolfiore bollito, il mio cervello stanco cerca di individuare il problema dei compiti e quanto questi possano offuscare le luci dell’alberto addobbato in sala.
Avrei piuttosto avuto bisogno sul finire del 2018, caro Babbo Natale, di una diagnosi, di una diagnosi qualsiasi sul disagio e i problemi che l’istruzione oggi attraversa dalla scuola all’università , fosse pure servita a lenire il mio sconforto.
Questo è rappresentato dallo scarso investimento del governo nell’istruzione, in ogni ordine a grado, dalla scuola all’università ; il magmatico e sempre disatteso sistema di reclutamento dei docenti e la loro irrisoria paga, rispetto alle funzioni loro richieste. Preparati, colti, buoni ascoltatori, facilitatori, meglio se con nozioni di psicologia dello sviluppo e del diritto di famiglia, mantengo ancora l’apparenza di una normale vita quotidiana nella scuola.
I genitori che conosco non descrivono come doloroso il trascorre del tempo a studiare con i propri figli, ottimo esercizio empatico e cognitivo per stimolare rapporti e ravvivare ruoli e memorie a rischio.
Incontrando oggi il Garante per l’infanzia, il Ministro dell’Istruzione scopre e teme la fatica dell’apprendere. I compiti assegnati agli studenti per la pausa natalizia sono l’ultimo problema.
Le vacanze sono occasione per trascorrere del tempo con la famiglia – per chi una ne ha – e giorni di serenità – per chi può permetterseli.
Il Natale fatto di tradizione, con l’albero, il Bambino Gesù nel Presepe, lo stare in famiglia non sarà certo profanato dallo stolto pedagogo, incurante degli affetti domestici.
Lo studio e le sue regole sono questioni da approfondire con i pedagogisti, mentre la circolare ricevuta oggi dai docenti è una bonaria campagna di consensi.
Per uno studente iscritto alla scuola lo svolgimento di compiti e lo studio sono dimensioni che gli sono affidate per costruire saperi, sviluppare proprie competenze acquisendone di nuove.
Gli insegnanti che danno dei compiti, anche durante le Vacanze di Natale, sanno calibrare l’impegno richiesto.
Alla scuola non mancano questi bravi maestri. Alla scuola manca un ritmo e una continuità che le diano ordine. Per questo va fuori tempo. L’impressione che la vita acceleri ed essa le passi accanto, anche il Santo Natale.
Non è più possibile un’esperienza di durata, gli stessi docenti diventano transitori a causa dell’ingranaggio delle cattedre e delle ore di insegnamento.
La necessità di istruire è un invito a incarnare una coscienza critica, la cui perizia non consiste nel sapere manipolare l’immaginario del dovere ma rivelare la radicale falsità di queste strategie.
La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (1989) all’art. 3 recita: «Gli Stati parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, e a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi appropriati».
Sono questi provvedimenti appropriati il segnale che attendo da Babbo Natale.
(da “Huffingtonpost”)
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