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BUSSETTI, IL MINISTRO CHE NON ESISTE: CHI COMANDA DAVVERO NELLA SCUOLA ITALIA

MENTRE IL “PRESTANOME” SI OCCUPA DI PRESEPI, CROCIFISSI E COMPITI PER LE VACANZE, AL MINISTERO COMANDANO IL SUPERBUROCRATE CHINE’ E L’ULTRA’ LEGHISTA VALDITARA (EX AN PENTITO)… LA MARCHETTA AI BARONI: VOGLIONO TOGLIERE OGNI VINCOLO A INCARICHI E CONSULENZE PRIVATE PER I PROF

Missione compiuta. Anche quest’anno la sacra famiglia può stare tranquilla. Garantisce Marco Bussetti.
Nel nome, parole sue, dei «nostri valori e delle nostre tradizioni», il ministro dell’Istruzione non ha esitato a spendersi personalmente in difesa del presepe, invitando le scuole di ogni ordine e grado a «non nasconderlo». Un classico.
Già  nel lontano 2004, dalla stessa poltrona di Bussetti, la berlusconiana Letizia Moratti pubblicò addirittura una lettera aperta sul tema, schierandosi, manco a dirlo, dalla parte di Gesù bambino. E le cronache di quattro anni fa raccontano di un Matteo Salvini impegnato a recapitare statue dei pastorelli ad altezza quasi naturale in un istituto di Bergamo dove il preside aveva lasciato libertà  di scelta agli insegnanti. Adesso che Salvini comanda a Roma e un suo uomo si è insediato al ministero dell’Istruzione, l’annoso dibattito sugli addobbi natalizi, non proprio una questione centrale per il futuro del Paese, riassume alla perfezione la strategia del governo a trazione leghista.
Simboli e parole d’ordine servono a mobilitare gli elettori: il migrante, le Ong, l’euro.
Anche il presepe, nel suo piccolo, funziona a meraviglia quando si parla di istruzione e di valori da trasmettere ai giovani.
Intanto però, ben nascosto dal polverone della propaganda, c’è chi manovra per cambiare i connotati della scuola italiana.
Non è il peso piuma Bussetti, neofita assoluto della politica, già  professore di ginnastica e dirigente del provveditorato di Milano, catapultato nei palazzi romani per intercessione del suo amico Giancarlo Giorgetti, ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
E neppure Lorenzo Fioramonti, il viceministro con targa Cinque Stelle che fin qui è riuscito a ottenere, quattro mesi dopo l’insediamento, la sola delega all’Università  e non quella per la Ricerca, che forse arriverà  prossimamente, ma forse anche no.
A tracciare la rotta, quindi, non sono il ministro nè il suo vice. I due, peraltro, vivono praticamente da separati in casa, con il secondo costretto ad apprendere dai giornali, anzi da Twitter, notizie come il siluramento del capo dell’Agenzia spaziale italiana, Roberto Battiston, deciso da Bussetti
La trama del potere, quello vero, porta altrove.
Leggi, regolamenti e progetti passano tutti dalla stanza di Giuseppe Chinè, 50 anni, capitano di lungo corso della burocrazia governativa, avvocato e consigliere di Stato, già  collaboratore di Antonio Di Pietro alle Infrastrutture, poi con Giulio Tremonti al ministero dell’Economia, dove è rimasto anche con Mario Monti e infine dal 2013 alla Salute al fianco di Beatrice Lorenzin.
A giugno, Chinè è atterrato all’Istruzione come capo di gabinetto di Bussetti e da settimane, secondo quanto rivelano fonti del dicastero, sta curando in prima persona un progetto della massima importanza: mettere ordine nella selva di norme che riguardano l’università  italiana per arrivare a un nuovo testo unico che contenga anche importanti novità  in materia di ordinamento degli atenei e status giuridico dei professori.
Sugli stessi temi è impegnato anche il leghista Giuseppe Valditara, che nel nuovo organigramma del dicastero è andato a occupare la posizione di capo dipartimento per la formazione superiore e la ricerca.
Docente di diritto romano, classe 1961, da sempre schierato a destra, Valditara nel 2010, quando era senatore berlusconiano, diede un contributo importante alla riforma universitaria varata dall’allora ministro Mariastella Gelmini.
Otto anni dopo, il professore (in aspettativa) con cattedra a Torino è sbarcato al ministero dell’Istruzione con l’ambizione di completare il lavoro avviato ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi.
Vengono dai suoi uffici una serie di proposte destinate, con l’approvazione del ministro, a diventare presto emendamenti alla legge di bilancio in discussione in Parlamento. Massima autonomia alle università  e massima autonomia anche ai professori, a costo di metter mano al loro status giuridico fissato per legge.
Questo in estrema sintesi il programma di lavoro di Valditara, che non a caso, in uno degli emendamenti che ha già  sottoposto agli uffici di Bussetti vuol garantire ulteriore flessibilità  ai docenti nell’organizzazione del proprio lavoro.
In altre parole, se questa proposta diventerà  legge, i professori potrebbero contrattare con il rettore, o con il preside di facoltà , tempi e modalità  del loro impegno, con la possibilità , per esempio, di dedicarsi per un certo periodo alla sola ricerca.
Questo nuovo regime professionale aprirebbe la porta alla contrattazione individuale dello stipendio da parte dei professori e avrebbe come conseguenza la liberalizzazione pressochè completa delle attività  extra accademiche dei docenti, che potrebbero per esempio accettare consulenze e incarichi vari per conto di enti pubblici e aziende private.
Le norme oggi in vigore già  prevedono la possibilità  per i professori di lavorare fuori dall’università . Ci sono però limitazioni che verrebbero in gran parte a cadere se passasse l’emendamento studiato da Valditara.
In passato la violazione delle regole sulle consulenze esterne (articolo 6 comma 10 della legge Gelmini) ha portato a interventi della Corte dei conti con indagini della magistratura.
Ha fatto scalpore, nel maggio scorso, un’operazione della Guardia di finanza che ha messo sotto inchiesta 411 docenti delle facoltà  di ingegneria, architettura, economia e altre ancora di numerosi atenei italiani.
Al centro delle accuse era proprio il doppio lavoro dei cattedratici.
«Non capisco perchè, nel rispetto degli obblighi didattici, a un ingegnere che insegna in un politecnico non possa essere consentito di lavorare anche per un’azienda», dice Valditara. «Al limite una quota del compenso per la consulenza esterna potrebbe andare all’università », aggiunge il capo dipartimento del ministero.
In teoria, una riforma di questo tipo dovrebbe incontrare forti resistenze tra i Cinque Stelle, che in materia universitaria hanno posizioni molto distanti da quelle espresse nei progetti di emendamento ora all’attenzione di Bussetti.
«Il ministro ha fin qui dimostrato grande apertura su queste proposte», sostiene Valditara, che si è già  mosso anche in Parlamento. Il compito di sensibilizzare gli alleati di governo è stato affidato al senatore Mario Pittoni, responsabile scuola della Lega, nonchè presidente della commissione cultura di palazzo Madama. Vedremo se il pressing leghista riuscirà  a vincere le resistenze.
Il senatore Mario Pittoni ha scritto per il Carroccio la riforma che dovrebbe archiviare la Buona scuola. Ma nel curriculum, scritto a penna, non ha mai chiarito quale fosse il suo titolo di studio. E ora spiega: “Quello che c’è da sapere non si impara sui polverosi libri”
Intanto, tra riforme vere e presunte, la confusione sulla direzione di marcia è massima. A novembre Salvini, davanti a una platea di militanti, aveva promesso l’abolizione del valore legale della laurea, un vecchio pallino del Carroccio.
A poche ore di distanza è toccato a Bussetti garantire che non se ne parla, almeno per il momento. A ottobre invece è stato rapidamente corretto un comunicato notturno del Consiglio dei ministri, che annunciava la fine del test d’ingresso per Medicina.
Non è all’ordine del giorno, assicurò il ministro, al massimo aumenteranno i posti in facoltà . Poi ci sono state le polemiche sulla Storia nei programmi scolastici, sull’aumento di soli 14 euro al mese agli insegnanti, perfino sull’inatteso ritorno del grembiule, che Bussetti vedrebbe bene almeno fino alle Medie
Dichiarazioni a parte, che spesso lasciano il tempo che trovano, anche le nuove norme sfornate dal ministero hanno finito in qualche caso per aumentare la sensazione di caos.
L’esempio principe è forse lo stravolgimento dell’esame di maturità . Ai ragazzi di quinta superiore che da due anni si stavano preparando secondo il modello attuale, e ai loro poveri prof, la scossa è arrivata a ottobre con una norma infilata nel già  affollatissimo decreto milleproroghe. Non proprio la cornice migliore per introdurre una svolta di tale importanza.
Si cambia, quindi. E allora niente più test Invalsi, fino a quest’anno obbligatori per essere ammessi all’esame. Ma, soprattutto, niente più terza prova, mentre il secondo scritto verrà  articolato diversamente. Al liceo classico, per esempio, potremmo avere, insieme, un test di greco e uno di latino. Le circolari ministeriali che illustrano contenuti e modalità  di valutazione della nuova maturità  sono infine arrivate, ma professori e studenti, a grande maggioranza, restano perplessi di fronte a una riforma introdotta in gran fretta.
È solo l’inizio. Il governo ha in cantiere una raffica di novità , che messe insieme disegnano il percorso di una vera riforma del sistema scuola.
Il fatto è che questi interventi, invece di essere inseriti in un testo organico, sono andati a gonfiare il gran fiume degli emendamenti alla legge di bilancio per il 2019, che andrà  approvata entro la fine dell’anno.
Alcuni cambiamenti decisivi, come i nuovi percorsi di ingresso e di selezione per i docenti delle scuole medie e superiori, per esempio, passeranno soltanto dal capitolo intitolato “Misure di razionalizzazione della spesa pubblica” nel bilancio di Stato. Non sembra proprio il modo migliore di favorire il dibattito su temi di grande importanza, hanno fatto notare diversi parlamentari dell’opposizione durante l’audizione del ministro Bussetti alla commissione Cultura della Camera.
Alla voce tagli, possono essere iscritti gran parte dei provvedimenti del governo.
È il caso della riduzione a un solo anno, con conseguenti risparmi per milioni di euro, del tirocinio pratico e formativo degli insegnanti finora articolato su tre anni.
Ancora una volta, si sforbicia, anzichè investire sull’istruzione. Si riduce della metà  anche l’alternanza scuola-lavoro. Era un’attività  contestata da un’ ampia fetta di professori e studenti, come viene ricordato nel contratto di governo tra Lega e Cinque Stelle.
Adesso però, con meno ore a disposizione, diventerà  ancora più difficile migliorare la collaborazione con le aziende. E spuntano norme sulla scuola perfino nel cosiddetto decreto Genova, che stanzia 4,5 milioni di euro per la progettazione dei “poli per l’infanzia”, il nuovo sistema integrato di asili e materne a cui andranno oltre 300 milioni di euro di risorse. Sull’edilizia scolastica, altro capitolo di grande rilievo, Bussetti ha invece imboccato un sentiero a dir poco tortuoso.
È stata infatti cancellata la struttura tecnica al servizio di amministratori locali e presidi, che faceva capo alla presidenza del Consiglio. Una nuova “Centrale per la progettazione delle opere pubbliche” ne erediterà  risorse e progetti, ma ancora non si sa quando diventerà  davvero operativa. È il governo del cambiamento: si butta il vecchio. Il nuovo arriverà . Forse.

(da “L’Espresso”)

This entry was posted on giovedì, Dicembre 13th, 2018 at 22:01 and is filed under scuola. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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