Gennaio 9th, 2013 Riccardo Fucile
TRA I CANDIDATI ANCHE LA VEZZALI, ILARIA BORLETTI, LUIGI MARINO E MARIO SECHI… FLI CHIEDE 5 SENATORI: BOCCHINO, DELLA VEDOVA, BONGIORNO, CONSOLO E MENIA E BLOCCA ALLA CAMERA LA LISTA DEGLI EX PDL PER VALERSI DEL BONUS DEL MIGLIOR PERDENTE
L’intenzione era quella di annunciare in blocco i nomi della squadra parlamentare ma,
alla fine, anche il professor Mario Monti si è adeguato al metodo Bersani che per settimane ha proposto un candidato di rilievo al giorno.
Così anche il capo della coalizione di centro ha ufficializzato i primi nomi della società civile inseriti nelle due liste montiane che verranno presentate al Senato e alla Camera.
Eccoli, i primi candidati selezionati: il dirigente di Confindustria Alberto Bombassei, l’olimpionica di scherma Valentina Vezzali, il direttore de «Il Tempo» Mario Sechi, il presidente del Fai Ilaria Borletti Buitoni, il presidente della Confcooperative Luigi Marino
La squadra di Monti, dunque, inizia a prendere forma anche se la trattativa interna alla coalizione di centro non è ancora chiusa.
Il vertice notturno tra Monti, Fini e Casini non ha dato gli esiti sperati e quindi ancora ballano i delicati equilibri per la lista comune che montiani e centristi condividono al Senato.
Il ministro Andrea Riccardi, che ha il compito ingrato in queste ore di tenere i contatti con i candidati in quota Monti, minimizza: «I rapporti con Fli e Udc sono ottimi».
E anche Casini convoca i cronisti per negare che l’altra notte si sia vista alla Camera una trattativa dura fra i tre azionisti della lista Monti: «Non ci sono trattative, il clima è ottimo. Noi dell’Udc avremo zero senatori, al Senato faremo il gruppo unico».
E questo il leader dell’Udc lo dice per tagliare le gambe a chi va dicendo che lui vuole una pattuglia di 10-15 senatori fedelissimi con la prospettiva di crearsi un gruppo autonomo a Palazzo Madama.
Al centro tutti minimizzano i contrasti.
Ma la squadra al completo non esce allo scoperto perchè ci sono ancora posizioni da limare.
In Toscana, per il Senato verrebbe candidato come capolista il costituzionalista Stefano Ceccanti (parlamentare in carica del Pd che non ha partecipato alle primarie, escluso da Bersani dal listino) che però andrebbe a pestare i piedi al candidato di Italia Futura (l’associazione di Luca di Montezemolo).
In Emilia, poi, per Palazzo Madama ci sarebbero ai primi posti Luigi Marino (Confcooperative con grandi simpatie per l’Udc) e Mauro Libè parlamentare uscente della squadra di Casini.
E ieri sera alla Camera si poteva incontrare l’economista Giuliano Cazzola (ex Pdl) che osservava con aria sconsolata: «Non ho notizie che mi riguardano….».
In Lombardia invece – dove il professor Roberto D’Alimonte accredita 6 senatori per la coalizione di centro – ci sono in testa di lista l’economista Pietro Ichino e l’imprenditore Santo Versace.
Franco Frattini, poi, pur avendo detto che tornerà al Consiglio di Stato, avrebbe chiesto un posto in lista a Roma o in Veneto.
Resta da vedere se dalla selezione affidata da Monti al commissario Enrico Bondi riusciranno a passare Alfredo Mantovano e Beppe Pisanu (che è in parlamento da più di tre legislature).
Ci sono anche i 10 parlamentari che per seguire Monti hanno realmente abbandonato il Pdl.
Guidano il gruppo di Italia libera Isabella Bertolini e Giorgio Stracquadanio, che tengono rapporti quotidiani con il ministro Riccardi: «Lui continua a darci notizie rassicuranti», dice Stracquadanio lasciando intendere però che loro non sono affatto tranquilli.
Perchè il tempo passa e la struttura territoriale degli ex Pdl, mobilitata per la raccolta delle firme, si sta sfibrando nell’incertezza.
E poi, aggiungono gli ex pidiellini, «hanno impedito la formazione di una lista di Italia libera alla Camera perchè c’è stato il veto di Fini».
Il meccanismo del miglior perdente di ogni coalizione, infatti, premia un solo partito e quel «bonus» previsto dal Porcellum probabilmente dovrà essere utilizzato alla Camera da Fli se la lista non supererà il 2% a livello nazionale.
Oggi si apre la giornata decisiva per la lista unica di centro prevista al Senato.
Fli chiede 5 senatori sicuri (Della Vedova, Bongiorno, Bocchino, Consolo, Menia), mentre l’Udc (che porta al Senato Buttiglione, Cesa e Casini, con l’aspettativa, si dice, di quest’ultimo di contendere la presidenza di Palazzo Madama ad Anna Finocchiaro del Pd) ritiene di meritarne almeno 15.
Ma con questi calcoli quanti senatori rimarrebbero per la quota Monti che, tra l’altro, deve prendersi in carico «società civile» ed ex Pdl?
Dino Martirano
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 1st, 2013 Riccardo Fucile
GIA’ AVVIATA LA “SCREMATURA” DEI CURRICULUM…CON CRITERI IDENTICI A QUELLI DEL PD
Era scontato che Enrico Bondi non avrebbe avuto vita facile nell’incarico di
«selezionatore» dei candidati da imbarcare sulla zattera di Mario Monti.
Meno scontato, mentre già stando passando al setaccio i curriculum che si ammucchiano speditamente sul suo tavolo, che il primo siluro verso di lui partisse da Pier Luigi Bersani.
Non fosse altro per una circostanza alquanto singolare: i paletti che l’ex commissario del governo tecnico per la spending review dovrà utilizzare per ammettere gli aspiranti onorevoli alle liste apparentate con Monti sono pressochè gli stessi del Partito democratico. In qualche caso sono addirittura copiati.
Parliamo, per esempio, di quella regola tanto discussa, che all’interno del Pd è stata motivata con le esigenze di rinnovamento.
Ovvero, l’esclusione dalle liste elettorali per chi è già stato alla Camera o al Senato quindici anni, corrispondenti a tre mandati completi.
Una regola dolorosa per molti professionisti della politica, che sia nel caso del Pd come in quello delle liste montiane contempla però una scappatoia: quella delle deroghe per particolari personalità .
Al rispetto del limite dei tre mandati completi, va da sè, si dovrà aggiungere una fedina penale immacolata e l’assenza di scheletri nell’armadio e di conflitti d’interessi, come per esempio la titolarità di concessioni pubbliche.
E sarà pure richiesto l’impegno alla assoluta pubblicità patrimoniale, attualmente solo facoltativa: i parlamentari hanno oggi l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi ma non di renderla nota via internet.
Se però la stilettata del segretario democratico può essere senza dubbio rubricata sotto la voce «azioni di disturbo» che in una campagna elettorale strana come quella appena iniziata saranno di sicuro all’ordine del giorno, i problemi più grossi per Bondi si annunciano proprio all’interno della coalizione messa in campo per sostenere Monti.
Un segnale?
Non può essere trascurato il messaggio che il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini gli ha recapitato ieri: «i nostri candidati li scelgo io».
Affermazione perfino ovvia, se non facesse trasparire l’esistenza di un problema niente affatto trascurabile, che riguarda soprattutto partiti come il suo, il più vecchio e «radicato» delle formazioni che appoggiano il premier.
Posto che Casini non avrà difficoltà a far valere la deroga per se stesso, nonostante sia seduto in Parlamento ininterrottamente dal 1983 (quando la Roma di Paulo Roberto Falcao vinceva lo scudetto, l’esercito americano invadeva Grenada e il tennista Bjorn Borg annunciava il ritiro dalle competizioni), le spine nel suo partito sono ben più numerose.
Riguardano, per esempio, le possibili candidature di alcuni consiglieri regionali targati Udc considerate nel giro montiano a dir poco inopportune.
Ma c’è anche la questione che potrebbe investire lo stesso segretario del partito, Lorenzo Cesa, protagonista di una disavventura giudiziaria ai tempi di Tangentopoli, con condanna in primo grado poi annullata in appello, finita successivamente in prescrizione.
Una condizione del tutto compatibile con le regole stabilite dal recentissimo decreto sulle incandidabilità che vieta la partecipazione alle elezioni soltanto a chi ha ricevuto una condanna definitiva superiore a due anni per reati come corruzione e concussione: e non è il caso di Cesa. Ma che nello schieramento montiano ha comunque fatto storcere il naso a molti: pronti a farne un caso, al pari di quello di Rocco Buttiglione, parlamentare per quattro legislature.
E che ci sarà da discutere, Casini l’ha fatto capire chiaramente: «Cesa e Buttiglione sono segretario e presidente del mio partito, bisognerà chiedere a loro se candidano me»
Secondo il copione già sperimentato nel Partito democratico, pure qui le deroghe saranno dunque un bel problema.
Idem le forzature che dovessero riguardare anche figure eccellenti.
Perchè se le candidature delle liste che alla Camera si presentano separate verranno scelte dai vertici dei rispettivi partiti o movimenti politici, come ha tenuto a sottolineare Casini, Bondi dovrà comunque valutarle, e rappresenta comunque uno spauracchio ben difficilmente sormontabile.
Ed è probabilmente questo il suo compito principale.
Chi rischierà di non poter mettere sul proprio simbolo il nome di Monti se l’ex rettore della Bocconi dovesse rifiutare la firma di apparentamento a causa di qualche candidatura indigeribile?
Anche se in politica, com’è noto, ci sono digestivi che fanno miracoli.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
L’EPISODIO EMERGE AL PROCESSO IBLIS: ROSARIO DI DIO, BOSS DI RAMACCA, AVREBBE PARTECIPATO ALLA CONVENTION DEL PARTITO DI CASINI A CHIANCIANO
Un boss di Cosa nostra ha partecipato al congresso nazionale dell’Udc, a
Chianciano Terme. Lo ha raccontato in un processo di mafia in corso a Catania il testimone Francesco Auteri, cognato dell’ex consigliere provinciale Udc condannato per mafia Antonino Sangiorgi.
Il padrino “ospite” della convention del partito di Pier Ferdinando Casini sarebbe Rosario Di Dio, boss di Ramacca.
“Partimmo io, Rosario Di Dio e mio cognato” ha affermato il testimone, che racconta anche di un’appendice conviviale della giornata: “Quella sera andammo a cena: eravamo circa 12 persone, tutti ospiti dell’allora vicepresidente della Provincia di Catania, Nello Catalano”.
La testimonianza, ripresa da Livesicilia Catania, è stata resa nell’aula bunker di Bicocca nel processo Iblis, la maxi-inchiesta che ha portato anche al procedimento penale contro l’ex presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo e suo fratello Angelo, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio aggravato.
L’inchiesta riguarda anche l’interesse mafioso nella costruzione del centro commerciale “la Tenutella” di Misterbianco.
In rito abbreviato sono già stati condannati diversi esponenti dello storico clan catanese dei Santapaola.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 21st, 2012 Riccardo Fucile
L’UDC D’ALIA DICEVA “GRANDE OPERA”… POI: “UN FLOP”
«Viva il ponte!». «Abbasso il ponte!»
Quando il senatore Gianpiero D’Alia, capogruppo dell’Udc al Senato, cambiò di colpo idea sul ponte sullo Stretto diventando più talebano degli ambientalisti, i messinesi ci restarono secchi: questa poi!
Sorpresa: aveva comprato a prezzo stracciato una villa sul mare dove dovrebbe sorgere uno dei giganteschi piloni del gigantesco viadotto.
Un idealista.
Si dirà , come ricordava ridendo Cossiga, che anche San Paolo lasciando la schiera dei persecutori di cristiani per diventare un padre della Chiesa, fu un voltagabbana.
E voltarono la gabbana, nobilissimamente, anche Maria Maddalena e fra Cristoforo e Bartolomeo de las Casas che dopo essere stato uno schiavista diventò l’appassionato paladino dei diritti degli indios.
Per non dire di tanti altri.
La folgorazione «sulla via di Damasco» è arrivata per Gianpiero D’Alia il giorno in cui mise gli occhi con la moglie Antonella su una villa sul mare a Torre Faro, a un quarto d’ora di macchina dal cuore di Messina.
Siamo verso Cariddi, in faccia alla costa calabrese di Scilla. Luogo bellissimo, di magici ricordi letterari.
Ricordate lo scoglio descritto nell’Odissea di Omero? «… e sotto Cariddi gloriosamente l’acqua livida assorbe / Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe».
E l’Eneide di Virgilio? «Il fianco destro di Scilla, il sinistro Cariddi implacabile tiene, e nel profondo baratro tre volte risucchia l’acqua…»
Fino a quel momento, l’uomo forte di Pier Ferdinando Casini in Sicilia dopo il tragico tramonto di Totò Cuffaro e l’addio di Raffaele Lombardo, era schieratissimo: «Il Ponte sullo Stretto, mentre costituisce l’elemento di saldatura del corridoio infrastrutturale che collega il nord Europa alla Sicilia, si pone altresì come catalizzatore dello sviluppo di una città -regione lineare di circa 100 chilometri di estensione che ha, ai suoi estremi, due importanti realtà del Mediterraneo: il porto di Gioia Tauro e l’aeroporto di Catania», tuonava nel 2003.
«Si ritiene che la stessa attività di costruzione del ponte costituirà per Messina una importante occasione che la città , ricca di risorse umane ben preparate, non si lascerà sfuggire».
«A sottolineare l’importanza di quest’opera» ricordava nell’ottobre 2006 polemico col governo di centrosinistra, «ci sono le parole dello stesso presidente Prodi: nel 1985 sostenne che il ponte avrebbe recuperato una cultura delle grandi opere pubbliche svanita negli ultimi anni, e che la Sicilia era fortemente ostacolata da questa barriera naturale».
Come osava, ora, mettersi di traverso? «Questa scelta condanna i territori interessati a una situazione di disagio, di disarticolazione di carattere economico, sociale e ambientale».
Insomma: «Demolisce senza costruire».
Non li sopportava, i traditori del progetto.
Al punto che quando Lombardo presentò alle «comunali» del 2008 Fabio D’Amore, polemizzò sarcastico: «Prendiamo atto che a Messina il Mpa ha chiuso l’accordo con un candidato a sindaco che ha messo al primo punto del suo programma il “no” al Ponte sullo Stretto.
Peraltro il suo vicesindaco sarebbe un prestigioso professionista messinese, l’avvocato Carmelo Briguglio, legale delle associazioni ambientaliste che hanno proposto ricorsi anche alla Corte costituzionale contro questa grande opera».
Puah, questi ambientalisti…
Nel 2009, oplà , la svolta.
Il senatore e la moglie avviano l’acquisto della villa a Torre Faro.
Bella casa, posto splendido, tre piani, 476 metri quadri catastali, giardino abbastanza grande per ospitare una piscina.
Ma soprattutto ottimo prezzo: 220 mila euro. Un affarone.
Dovuto al fatto che proprio in quel luogo stanno per cominciare di lì a qualche mese i carotaggi preliminari per costruire uno dei due piloni che devono reggere il ponte sul versante messinese.
Due bestioni enormi con una spropositata base rettangolare di 12 metri per 20 e alti 399.
Quando venga fatto il preliminare tra la venditrice, Flavia Rosa, e la moglie di Gianpiero D’Alia, Antonella Bertuccini, non si sa.
Probabilmente qualche settimana prima del rogito, firmato il 14 dicembre 2009 nello studio del notaio Salvatore Santoro e accompagnato dal versamento di due assegni circolari, il primo da 20 mila euro e il secondo da 200 mila, emessi dall’agenzia del Banco di Napoli di Montecitorio, cioè della Camera dei deputati.
Fatto sta che a cavallo di quelle settimane in cui la sua signora acquista la villa a Cariddi il politico messinese ribalta completamente la sua opinione.
E partendo dai temi posti dalla tragica alluvione di quei giorni attacca a sparare a palle incatenate: «Parlare del ponte oggi è pura follia. In un momento come questo non è serio parlare di questa grande opera, che peraltro non ha perfezionato il suo iter progettuale, non è finanziata integralmente e che soprattutto dovrebbe sorgere in un contesto ambientale degradato come quello siciliano e calabrese. Sarebbe come affondare un coltello in un panetto di burro».
«Le dichiarazioni di Brunetta sul ponte di Messina rasentano il surreale», rincara un paio di settimane dopo furente con le promesse del ministro sulla infrastruttura.
«Non ci sono soldi, non c’è un vero progetto, non sarà apposta nessuna pietra». Insomma: «Siamo di fronte all’ennesimo annuncio d’un governo allo sbando. Il Ponte è come il taglio dell’Irap, è un flop mascherato da bugia».
Ai primi di gennaio del 2010 è sempre più indignato: «Continuare a parlare di Ponte sullo Stretto e di opere compensative è solo una follia di fronte a una città che cade a pezzi giorno dopo giorno devastata dalle mareggiate e sottoposta a frane continue alla prima pioggia. Anche il sindaco e il comune di Messina non possono sacrificare la sicurezza del nostro territorio, ignorando il fenomeno del dissesto idrogeologico, in nome di un’opera inutile come il Ponte di Messina, che non vedrà mai la luce».
E via così, invettiva dopo invettiva: «Viste le risposte del tutto insoddisfacenti del governo chiederemo con gli altri capigruppo di opposizione, un’inchiesta parlamentare sui lavori del Ponte».
«Alle prime piogge ci ritroviamo sempre e comunque in stato d’emergenza. Mentre le persone devono lasciare le loro case, il governo fa orecchio da mercante e pensa solo al Ponte sullo Stretto».
«Chissà per quanto tempo ancora saremo costretti a dover sopportare bugie e falsità sulla realizzazione del ponte!».
«La passerella messinese fatta dal governo oggi è offensiva per i messinesi e per tutti i meridionali. Dopo la finta apertura dei cantieri il 23 dicembre scorso in Calabria, assistiamo oggi all’ennesima stucchevole parata…».
Tuoni, fulmini e saette: «Il Ponte sullo Stretto è un’illusione pericolosa per il Sud e per la Sicilia. Immobilizza risorse senza che l’opera si possa fare e alimenta un circuito torbido di affari come quelli delle polizze fidejussorie fasulle…».
«La costruzione del ponte è diventata solo la gallina dalle uova d’oro per alcuni gruppi imprenditoriali del nord Italia i quali, in tempi di crisi, sono ansiosi di guadagnarsi le penali che scatteranno in caso di mancata realizzazione della mega opera».
«La società Ponte sullo Stretto va sciolta». «A questo punto sarebbe opportuna un’inchiesta parlamentare sul ponte, per aiutare il governo a decidere definitivamente su una questione che è ormai chiusa. È chiaro che l’infrastruttura non si costruirà , come è altrettanto chiaro che non serve affatto al territorio e tantomeno allo sviluppo dell’area integrata tra Messina e Reggio Calabria…».
Tutte cose sensate e condivise dagli ambientalisti e da buona parte dell’opinione pubblica italiana, siciliana, messinese.
Se non venissero, appunto, dal pulpito di una villa a Cariddi.
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)
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Ottobre 14th, 2012 Riccardo Fucile
UOMINI DELLA POTENTE COSCA TRIPODI HANNO PARTECIPATO ALLA CAMPAGNA ELETTORALE DEL CONSIGLIERE UDC RAFFAELE D’AMBROSIO
‘Ndrangheta e politica. Non c’è solo la regione Lombardia, negli interessi politici dei clan di Vibo Valentia, perchè un posto di primo piano ce l’ha anche la regione Lazio.
E sin dalle elezioni regionali del 2010.
A sostenere la campagna elettorale di Raffaele d’Ambrosio, poi eletto nell’Udc, e nominato vice presidente del Consiglio regionale, c’era il massone Paolo Coraci, indagato dalla procura di Catanzaro per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ma c’è di più.
Al Fatto Quotidiano risulta che alle cene, organizzate nella campagna elettorale di d’Ambrosio, ha partecipato anche Francesco Comerci — messinese come Coraci — anch’egli indagato, sempre dalla Dda di Catanzaro, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Borrelli.
Comerci è accusato di associazione mafiosa: secondo gli inquirenti è parte attiva nel clan Tripodi, un’articolazione della cosca Mancuso, per il quale svolge il ruolo di prestanome nell’impresa Edil Sud.
La lista degli invitati, al ristorante Squisito di Roma, prevedeva la presenza di Marika Tripodi, figlia del boss Nicola, anch’ella indagata per associazione mafiosa dalla procura di Catanzaro.
Al Fatto Quotidiano, però, risulta un ulteriore dettaglio: a elezione avvenuta, gli appuntamenti tra Coraci e d’Ambrosio, non sono terminati.
Anzi: i due si sono incontrati nuovamente. Il punto è che Coraci è il personaggio chiave dell’inchiesta condotta dal pm Pierpaolo Bruni che, nei giorni scorsi, ha perquisito nove persone tra Sicilia, Calabria, Lazio e Lombardia.
Un’inchiesta complessa, quella di Bruni, che sta disegnando una mappatura di potere occulto, ramificata tra il Lazio e la Lombardia, che unisce la ‘ndrangheta di Vibo Valentia alla massoneria.
Coraci è infatti il gran maestro di una loggia romana ispirata, secondo l’accusa, da un altro massone di vecchia data: Angelo Fiaccabrino che, negli anni Novanta, fu prima accusato, e poi assolto, per i suoi rapporti con Cosa Nostra.
Bruni è convinto che Coraci — congiuntamente a Nicola Tripodi e Francesco Comerci — abbia usato la Edil Sud “per il conseguimento delle finalità illecite della cosca di riferimento, attraverso operazioni societarie e finanziarie”.
Il massone siciliano, però, s’interessa anche di politica.
Ispirandosi a don Luigi Sturzo fonda un’associazione: “Liberi e Forti”.
Ed è proprio con questa associazione che decide di sostenere Raffaele d’Ambrosio nelle elezioni del 2010.
Non è detto che d’Ambrosio sapesse della stretta vicinanza tra Coraci e il clan Tripodi. Anzi: può ben essere che d’Ambrosio, in quella campagna elettorale, lo ignorasse.
L’inchiesta di Bruni — nella quale d’Ambrosio non è indagato — si sta concentrando sugli affari della Edil Sud (e altre società radicate in Lombardia), sul mix di ‘ndrangheta e massoneria (la loggia di Coraci ispirata da Fiaccabrino) e i loro rapporti con le istituzioni.
Di certo, però, c’è che uomini legati al clan Tripodi hanno partecipato alla campagna elettorale di d’Ambrosio.
E Coraci, in questa storia, va inquadrato in tutti i suoi ruoli.
Accusato di concorso in associazione mafiosa, con il clan vibonese, è anche il gran maestro di una loggia massonica, nonchè il fondatore dell’associazione Liberi e Forti che sostiene pubblicamente il candidato Udc.
C’è un ultimo ruolo, non secondario, nelle mille vite parallele di Coraci, ben rappresentate dal suo appartamento in via Umbria: doppio ingresso, da un lato l’accesso alla loggia, dall’altro, quello della Sicomoro consulting: il gran maestro è anche un imprenditore nel ramo della consulenza finanziaria.
Con il pallino delle energie rinnovabili.
È quest’uomo che attovaglia decine di ospiti alle cene elettorali di d’Ambrosio. Che ne cura in diverse occasioni la campagna per le regionali del 2010.
Un uomo che — stando alle accuse del pm Bruni — era la cerniera tra la ‘ndrangheta del clan Tripodi di Vibo Valentia e la massoneria. Una persona capace di tentare questo strano affare: acquistare per 16 milioni di euro, dalla Fintecna, un appartamento in via Giulia a Roma.
Piccolo dettaglio: secondo l’accusa, Coraci, non vuole figurare in prima persona, quindi chiede alla Edil Sud — riconducibile al clan Tripodi — di intestarsi l’appartamento.
In cambio, il massone vicino all’Udc, offre alla Edil Sud i lavori di manutenzione. L’affare non va in porto. Ma è chiaro il suo rapporto con il boss della ‘ndrangheta.
Un rapporto che cura anche nella primavera del 2010, quando si preoccupa della campagna elettorale di d’Ambrosio e gli porta a cena Francesco Comerci, ritenuto da Bruni parte integrante del clan.
È una data importante: quella sera, la ‘ndrangheta di Vibo Valentia, siede a tavola con la politica che conta. Quella romana.
Grazie a Coraci il clan era arrivato fin lì.
E non è poco.
Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 8th, 2012 Riccardo Fucile
RICCARDI : “RACCOGLIETE L’EREDITA’ MORALE DEL GOVERNO”…. MERCEGAGLIA: “SONO CON VOI PER UN NUOVO, GRANDE PROGETTO”
Doppia mossa di Casini.
Innanzitutto, fa saltare il suo nome dal simbolo elettorale del partito, nell’epoca della politica iper personalizzata.
In secondo luogo, mette nel simbolo la parola «Italia», sottraendo questa chance a Berlusconi, che l’ha troppo a lungo riaccarezzata (dopo aver cancellato Forza Italia per il Pdl). Casini, per non esagerare, lascia nel simbolo «Unione di centro» e lascia pure il vecchio scudo crociato.
Perchè, come spiegano i suoi collaboratori, cambiare va bene, ma in un momento di incertezza non si può buttar via tutto.
Almeno finchè non si capisce quale sarà la legge elettorale e cosa succede nelle altre famiglie politiche.
Casini ha convocato le «primarie delle idee», meno impegnative e rischiose di quelle per decidere chi guiderà un partito.
E rimette la barra del suo timone al centro, dopo aver dato l’impressione, in un paio di passaggi, di puntare a un’alleanza, post elettorale beninteso, con il centrosinistra. Presentando il nuovo simbolo, il segretario Udc, Cesa, ha lanciato un appello a «quanti credono sia necessario presentare una lista per l’Italia».
E ha poi gridato: «Non siamo una costola della sinistra. Che c’entra Vendola con noi?».
GLI ACCORDI
Insomma, Bersani andrebbe anche bene nella chiave di un accordo fra socialisti e popolari all’europea, ma Vendola no.
Addirittura, si riapre una porta sulla destra: se Berlusconi fosse d’accordo a dare continuità alla politica di Monti, sarebbe benvenuto.
Anche se la speranza di fondo è l’erosione dell’elettorato del Pdl in favore del Centro.
E se poi nel Pd dovesse vincere Renzi, in quel caso–dicono i dirigenti Udc – «ci sarebbe il big bang». Casini si è già pentito di aver detto: «Fa ridere immaginare che al vertice con la Merkel l’Italia mandi Renzi e non Monti…».
Ecco, l’«agenda Monti» non si chiude con la convocazione delle elezioni.
Udc-Italia fa suo il programma del governo in carica e la platea di Chianciano applaude in piedi anche i nomi di Napolitano e Draghi.
E qui hanno accettato di venire molti ministri del governo Monti. Ieri Andrea Riccardi, ministro per la Cooperazione ha detto: «Spero che una realtà come la vostra sappia in pieno recepire l’eredità morale di questo governo ».
Riccardi, leader della Comunità di Sant’Egidio, dice anche che il governo «lascia un linguaggio politico diverso», dopo anni di contrapposizioni violente.
E poi: «Non si può lavorare adesso sotto l’incubo della campagna elettorale. Prima del voto bisogna creare una rete: l’antipolitica nasce da un mondo spaventato, che chiede una politica buona».
Hanno parlato inoltre il ministro Ornaghi e il viceministro Martone, Passera (e il sottosegretario De Vincenti), Catania, Patroni Griffi, Clini.
Poi, ci sono gli esponenti cattolici del gruppo di Todi, da Bonanni, segretario Cisl, a Pezzotta, Olivero (Acli), Guidi (Confagricoltura), Marini (Coldiretti), Natale Forlani.
Ma Casini ha ottenuto anche la presenza di Emma Marcegaglia, ex presidente Confindustria, di Nicola Rossi, in rappresentanza di Montezemolo, di Gianni Petrucci, presidente Coni. Completano il quadro pezzi di Prima Repubblica: come De Mita, Pomicino, Pisanu, Sanza, Gargani, D’Onofrio, La Malfa.
Ieri sera ha parlato anche Fini, ciò che resta del defunto Terzo polo.
Carne al fuoco molta, il risultato si vedrà .
Andrea Garibaldi
(da “Il Corriere della Sera”)
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Settembre 6th, 2012 Riccardo Fucile
A BREVE UNA VERIFICA TRA PD E IL SINDACO DORIA… L’IDV HA VOTATO CONTRO DIVERSI PROVVEDIMENTI DELLA GIUNTA E ALLORA E’ PRONTO IL SOCCORSO DEGLI UOMINI DI CASINI (ELETTI NELLA LISTA MUSSO)
Il Pd ha deciso di toccare il tempo al sindaco Marco Doria e alla maggioranza in
consiglio comunale, soprattutto l’Idv.
Anzi, una delle ipotesi in casa Pd è di far uscire dalla maggioranza i tre consiglieri dipietristi e far entrare i due dell’Udc.
Tutto nasce alla fine di agosto quando il segretario provinciale del Pd Giovanni Lunardon e il capogruppo Simone Farello mandano una missiva a Doria chiedendo una verifica della maggioranza.
L’incontro tra Doria, segretari e capigruppo è fissato per dopodomani.
Poi seguirà un altro incontro, definito “riunione seminariale”, con sindaco, assessori, consiglieri comunali e segretari dei partiti della coalizione, in vista del voto sulle linee programmatiche in consiglio comunale il 25 settembre.
Farello dice che ”come Pd abbiamo chiesto degli incontri per consolidare la maggioranza. Certo guardando i fatti, tra giugno e luglio l’Idv ha votato contro bilancio, è stata in dissenso sull’Imu e sulla delibera sul trasporto pubblico Amt. Del resto non è un mistero che parliamo con l’Udc che è in maggioranza in Regione Liguria, ma non c’è nessuna trattativa ufficiale, per cui la maggioranza è quella votata dagli elettori e c’è l’Italia dei valori. Nessuno di noi pensa a una permuta con l’Udc. Ma se qualche forza politica vuole aderire al programma della maggioranza, valuteremo”.
Certo il Pd deve fare i conti con una composizione di governo diversa dalle giunte Vincenzi e Pericu.
Doria, pur indebolito dalla mancata vittoria al primo turno per la fronda di una parte del Pd, è riuscito dopo il ballottaggio a formare una giunta con una certa libertà : su undici assessori ne ha piazzati tre targati Pd più due vicini al partito, un Sel e uno vicino a Sel, uno della sua giunta civica Per Marco Doria e tre tecnici.
Anche in consiglio comunale non c’è più una maggioranza bolscevica come un tempo: ci sono sì dodici Pd e due Sel, la lista Doria ne ha eletti cinque, la Federazione della sinistra uno, per di più il Movimento 5stelle ha cinque consiglieri che sono molto vicini a posizioni ambientaliste che accomunano anche parte della sinistra, quindi certe scelte potrebbero non passare.
ltimo schiaffo: il capogruppo grillino Paolo Putti ha declinato l’invito per un dibattito alla festa democratica al Porto Antico.
Ma il gran mal di pancia sono i tre Idv che votano spesso e volentieri contro la maggioranza alla quale appartengono.
Così il Pd ha fatto due conti e vuole vederci chiaro.
La sinistra in maggioranza è già in fibrillazione: ”La richiesta di settori del Pd al sindaco di Genova Marco Doria di sostituire l’Idv con l’Udc nella maggioranza di Tursi destabilizza l’accordo politico, che aveva consentito la sconfitta della destra (compresa il partito di Casini) e del candidato grillino — commenta Antonio Bruno della Federazione della sinistra — E’ chiaro che, in questo caso, non resta che passare formalmente all’opposizione, lasciando ai consiglieri della lista Doria (un mix di movimenti e comitati territoriali) e a Sel il compito di far cadere la giunta e andare alle elezioni, oppure chinare la testa e rimanere a fare la ruota di scorta alla nuova maggioranza centrista. In questi giorni si sta giocando una partita importante”.
In ballo ci sono scelte fondamentali, prima di tutto le grandi opere come la Gronda e il Terzo Valico. La Gronda è una variante autostradale tra Arenzano e la Valpolcevera approvata dalla precedente giunta Vincenzi.
Doria ha già detto in campagna elettorale che non è favorevole.
Sulla sua linea si è espressa anche una recente mozione antigronda firmata dai grillini, due Sel, il FdS e tre consiglieri della lista Doria.
La Gronda prevede scavi per 11 milioni di metri cubi, 25 tunnel e 33 chilometri costano oltre 3 miliardi di euro, per di più secondo alcuni calcoli la variante sarebbe sotto-utilizzata perchè l’80 per cento del traffico sull’A10 è diretto in città .
L’altra grande opera è il Terzo Valico.
Gli ambientalisti e i 5 stelle in consiglio comunale non la vogliono.
I cantieri sono già aperti sia a Sampierdarena che in Valle Scrivia grazie a una seconda tranche di un miliardo e duecento milioni di euro stanziati dal Cipe alla fine dello scorso anno, ma il costo complessivo supera i 5 miliardi di euro.
Così tra Ronco, Arquata e Busalla, è nato un comitato No-Tav ligure che ha organizzato per venerdì e sabato una festa a Serravalle con dibattiti insieme a quelli della Val di Susa.
Sul tavolo di Doria ci sono altre problematiche: l’azienda dei trasporti Amt è in crisi, ha eroso 5 milioni di euro del Comune in tre mesi e deve trovare 21 milioni di euro prima di Natale altrimenti fallisce.
Infatti la mozione su Amt votata in consiglio comunale a luglio e osteggiata dall’Idv, contempla anche l’ipotesi della privatizzazione.
Poi c’è la nascita della Città metropolitana dopo l’abolizione della Provincia. Insomma come ha detto Lunardon: ”Non si può nascondere la testa sotto la sabbia, i problemi vanno affrontati subito”.
Alessandra Fava
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 6th, 2012 Riccardo Fucile
PROPORZIONALE E ALLEANZE DI GOVERNO
Con l’annunciato ritorno alla proporzionale, ridiventerà lecito ciò che non lo era dopo il 1994:
correre da soli alle elezioni e fare le alleanze di governo in Parlamento dopo il voto.
Era il sistema della Prima Repubblica.
Grazie a esso l’Italia riuscì a collezionare ben 45 governi in 44 anni (dal 1948 al 1992): un record negativo eccezionale.
Allora però ce lo potevamo permettere: la democrazia italiana viveva di puntelli esterni. C’erano la guerra fredda, la Nato, la minaccia comunista, la conventio ad excludendum.
C’è da dubitare che una democrazia così mal funzionante possa reggere a lungo nel burrascoso mondo in cui viviamo.
Ma la politica è interessata solo al breve termine. E nel breve termine una legge elettorale proporzionale serve a tanti.
Serve ai probabili sconfitti (il centrodestra) perchè, a differenza delle leggi maggioritarie, consente di limitare le perdite, di rimanere in gioco.
E serve a chi si è posizionato «al centro» (Pier Ferdinando Casini).
Perchè gli assicura una rendita di posizione, lo rende indispensabile in qualunque combinazione parlamentare.
Può svolgere il ruolo del king maker quale che sia lo schieramento, di sinistra o di destra, con cui, dopo le elezioni, si troverà a trattare la formazione del governo.
Facciamo un esercizio di fantasia, immaginiamo lo scenario del dopo elezioni (la storia poi, si sa, va per suo conto, ma disegnare scenari è un modo per dotarsi di una bussola artigianale).
È probabile che l’alleanza Bersani-Vendola prevalga sul centrodestra nelle prossime elezioni.
Non avrà però, verosimilmente, i numeri per governare.
Dovrà fare i conti con Casini. Quanto potrà reggere il governo che si formerà ?
Nello «schema di gioco» di Bersani, a Casini spetterà la difesa della continuità con il governo Monti, a Vendola (ma anche a una parte del Partito democratico) spetterà rivendicarne la discontinuità .
Con Bersani al centro che media fra le due componenti.
Ma potrà mai reggere quello schema di gioco?
Sicuramente no, se dovremo fare ricorso allo scudo anti- spread e accettare le rigide condizioni che ciò comporta: l’ala sinistra, vincolata a un programma di rigore e di tagli alla spesa che non è il suo, non potrebbe reggere a lungo il gioco.
Ma anche senza scudo, e connesso commissariamento, lo schema di Bersani incontrerebbe grossi problemi.
Non sarebbe facile per il governo, data la sua composizione, guadagnarsi la fiducia dei mercati.
Le probabilità di fallimento nel giro di un anno sarebbero piuttosto alte. Figurarsi poi se all’assedio dei mercati dovesse sommarsi, poniamo, una improvvisa pressione politico-diplomatica dovuta al precipitare di una crisi militare (fra Israele e Iran) in Medio Oriente.
Esaurito l’esperimento, Casini cercherebbe di smarcarsi, di cambiare cavallo, di aprire una trattativa con la destra (grazie anche al ridimensionamento politico di Berlusconi dovuto alla sconfitta elettorale).
Potrebbe farlo, però, solo se esistessero in Parlamento i numeri necessari per rovesciare le alleanze.
Ma se quei numeri non ci fossero? La benedizione rappresentata dal posizionamento al centro si trasformerebbe in una maledizione. Perchè i centristi non potrebbero allora schivare le macerie del fallito esperimento di governo.
La verità è che a Casini conviene solo una grande coalizione.
La distribuzione delle forze in Parlamento che risulterà quando, a urne chiuse, si saranno contati i voti e proclamati i risultati, ci dirà se i centristi avranno ragioni per brindare o per essere spaventati.
Angelo Panebianco
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 12th, 2012 Riccardo Fucile
GAS ESILARANTE DI MONTELEONE: “NON POTEVAMO RISCHIARE LA NOSTRA’ IDENTITA’ POLITICO- CULTURALE”… MA QUALE? QUELLA DI ACCHIAPPAPOLTRONE O DI CITATI NELLE INTERCETTAZIONI DI ESPONENTI DELLA ‘NDRANGHETA?
“Musso perde i pezzi, gli Udc vanno da soli” titola stamane il maggiore quotidiano ligure. 
Il Secolo XIX raccoglie l’amarezza del sen. Enrico Musso: “L’Udc ha usato la nostra lista civica come un bus, da cui è scesa dopo aver ottimizzato il consenso e aver piazzato i propri uomini in Comune e nei municipi”.
L’Udc che a Genova è da anni intorno al 3%: se si fosse presentato da solo avrebbe ottenuto al massimo un consigliere comunale, mimetizzandosi nella lista civica di Musso alla fine, concentrando le preferenze, ne ha ottenuti due (si dice in attesa del terzo, rimasto per ora con Musso).
Un gioco tanto evidente che solo degli sprovveduti avrebbero potuto avallare, come da noi denunciato in tempi non sospetti. Se l’Udc voleva appoggiare Musso poteva essere fatto accomodare tra i partiti fiancheggiatori e il suo 3% sarebbe stato cosi ben evidente. Se invece non gli fosse andata bene questa soluzione poteva andare con Doria, tanto per loro cambia poco, visto che in Regione stanno al governo con la giunta di sinistra.
Nei castelli inglesi ci sono gli acchiappafantasmi, in Liguria gli acchiappapoltrone, è risaputo. C’è chi usa la croce e chi lo scudocrociato.
Ma a far incavolare Musso è stata anche la forma della scissione: nessuno gli ha comunicato nulla, lo ha saputo in consiglio comunale dal presidente che avvisava della costituzione del gruppo Udc.
Fa morire dal ridere poi la “nobile” motivazione dei transfughi: “Non potevamo rischiare di perdere la nostra identità politico-culturale e di confonderci all’interno di un gruppo molto personalistico, dominato da Musso e da sua sorella. La nostra anima cattolica si è ribellata dopo l’adesione di Musso alla costituente liberale”.
Chissà come mai questo dramma dello spirito non sia stato percepito prima delle elezioni, quando l’Udc locale ha preteso dodici candidati in lista.
Per non dire che la loro decisione è stata presa domenica sera mentre la costituente liberale è nata lunedi, quindi il nesso non regge. Senza contare che, chi come noi ricorda Musso da ragazzo, sa benissimo che è stato liberale da sempre, chissà che sorpresa…
Più grave che il segretario regionale dell’Udc Monteleone parli di “avallo nazionale” alla sua scelta opportunistica. E’ una chiamata in correità per Casini che non ne uscirebbe certo meglio di lui.
Piccola nota per Futuro e Libertà locale: un partito coerente non avrebbe mai accettato di confondere i propri candidati con quelli proposti da chi è citato in intercettazioni di capi della ‘ndrangheta come candidato da far votare.
Meglio soli che male accompagnati.
Con buona pace dei valori dello spirito.
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