Febbraio 7th, 2020 Riccardo Fucile
“NON POSSIAMO COMBATTERE DA SOLE”… LE OFFESE SONO ARRIVATE DA UN OPERATORE COMUNALE
La foto di un paio di pantaloni, una maglietta rossa, un cappotto e una sciarpa e la scritta troia. È
questo il post che in poche ore è diventato virale.
È la storia di Valentina che nella serata di lunedì, mentre si trovava in attesa a una fermata dell’autobus nel centro di Genova, è stata offesa da un operatore Amiu, l’azienda municipalizzata per i servizi all’ambiente.
Nel suo lungo post su Facebook la donna ha raccontato di essere stata pesantemente insultata da un uomo alla guida di un mezzo della nettezza urbana: «Un operatore su una camionetta dell’Amiu della spazzatura mi ha gridato “t***a”», scrive la donna su Fb.
L’immagine dei vestiti a richiamare che «non sono un cappotto o un burqa a poterci proteggere dalla molestie maschili, perchè non è come siamo vestite la causa dell’abuso, ma la loro convinzione di avere il potere decisionale sulle donne».
La donna ha aspettato un attimo prima di girarsi e rispondere alle urla: «Gli ho chiesto che cosa volessero dire, allora hanno continuato insistendo sul fatto che uno di loro “mi si fosse scopata”, e poi risate».
«Se c’è bisogno di un coprifuoco — continua — che non sia quello che ci autoimponiamo per timore di essere aggredite, perchè non sono le vittime a dover essere limitate ma i carnefici. Che siano loro a temere le strade occupate dalle donne. Perchè io sono stanca di dover essere insultata e aggredita per essere donna».
Per ora non si conoscono ulteriori sviluppi della vicenda ma Amiu, che «condanna ogni forma di violenza», ha risposto alla mail della donna insultata assicurando di avere avviato verifiche per risalire all’identità del presunto autore dell’insulto a sfondo sessista. E ricorda di essere tra le prime realtà aziendali ad aver sottoscritto l’accordo quadro sull’eguaglianza, pari opportunità e assenza di discriminazioni e rispetto della dignità delle persone.
(da Open)
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Febbraio 7th, 2020 Riccardo Fucile
IL DELIRIO DI POLITICI CHE SI VANTANO DI AVER BLOCCATO CONTRIBUTI A UNA ASSOCIAZIONE CHE AIUTA LE DONNE VITTIME DI VIOLENZA
Giorgia Meloni si è pubblicamente vantata ieri di aver bloccato un contributo statale destinato alla Casa delle Donne, associazione che protegge tra l’altro le vittime di stalking, quindi pure lei, perchè “di sinistra” e addirittura ubicata nel collegio in cui si candida il Ministro Gualtieri.
Secondo la Meloni, dunque, Gualtieri avrebbe pensato di aiutare le vittime di violenza al solo scopo di ottenerne i voti.
Una teoria in sè aberrante ma anche numericamente poco sostenibile: se le donne vittime di violenza riescono addirittura a ribaltare il voto, vuol dire che sono tantissime. Dunque sarà meglio fare qualcosa.
Ma se si fa qualcosa, diminuiscono, e Gualtieri perde le elezioni. Non regge.
La Casa delle Donne ha già subito le (dis)attenzione della sindaca Virginia Raggi, sempre lesta a comunicare quando cambia un sanpietrino, quasi sempre lo stesso, ma incapace di trovarle una sistemazione dopo averla sfrattata.
Un’altra donna contro le donne. Ringrazio comunque Raggi e soprattutto Meloni perchè grazie a loro ho sentito il bisogno di risarcire la Casa delle Donne con una piccola donazione.
Ove vogliate farlo anche voi, il sito è lacasasiamotutte.it.
(da la Repubblica”)
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Febbraio 6th, 2020 Riccardo Fucile
“E’ MOLTO IMPORTANTE PARLARE DI CERTI TEMI IN UN EVENTO CHE RAGGIUNGE COSI’ TANTA GENTE”
«Sono contento, Contentissimo». Così Vasco Rossi da Los Angeles ha commentato il monologo
di Rula Jebreal a Sanremo contro la violenza sulle donne e quei versi “rubati” alla Sally del cantante emiliano.
«”Sally cammina per la strada senza nemmeno guardare per terra/ Sally è una donna che non ha più voglia di fare la guerra/ Sally ha patito troppo/ Sally ha già visto che cosa/ ti può crollare addosso/ Sally è già stata punita/ per ogni sua distrazione o debolezza/ per ogni candida carezza/ data per non sentire l’amarezza”: quante volte noi donne siamo state Sally? Mentre vi parlo c’è una donna che cammina in mezzo alla strada schiacciata dal senso di colpa. Senza avere nessuna colpa. Voi non avete nessuna colpa».
Rula ha preso in prestito i versi di Sally per parlare della storia del suicidio della madre, dopo che per anni era stata violentata.
In un’intervista a La Repubblica Vasco Rossi rivela di non aver visto in diretta il monologo: «Me l’hanno girato. Sono Contentissimo». La giornalista ha citato Vasco come esempio per dire che anche per gli uomini è possibile trovare le parole giuste: «Credo che tutto parta dall’educazione — afferma il cantautore — la famiglia è importante, la scuola è importante. L’educazione è la forma di prevenzione fondamentale».
Di violenza sulle donne se ne parla, ma per il cantantautore alcune parole arrivano solo alla pancia, quando invece, soprattutto in politica, dovrebbe entrare in gioco il cervello: «Credo quindi che sia molto importante che si sia parlato di certi temi su Rai1 in un evento che raggiunge così tanta gente come Sanremo».
Vasco Rossi le donne le ha sempre amate: «Come potrei non amarle? — aggiunge -. Credo che ci sia una parte femminile importante dentro di me perchè sono cresciuto in mezzo alle donne: mia mamma Novella, la tata, la zia. Mio papà , che faceva il camionista, era sempre su e giù per l’Italia e poi è morto presto, nel 1979. Così mi hanno allevato loro. Sono sicuro che questo ha contribuito ad accrescere la mia sensibilità ».
E ancora dopo Sally, c’è Albachiara, uno dei suoi brani più famosi e amati e quel taboo spezzato sulla masturbazione femminile: «Io sono un provocatore. In quella canzone ho voluto raccontare un fatto normale che però destava scandalo anche negli ambienti più avanzati del femminismo di allora: era difficile persino lì trovare una donna che ammettesse quella che era la cosa più normale».
«Citare Sally le fa vivere una vita nuova», dice il cantante in merito al discorso di Rula. «La canzone, che all’inizio sembra negativa, ha invece una sua grande positività : la protagonista è più forte di qualsiasi cosa. E alla fine, nonostante tutto, la donna vince».
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 5th, 2020 Riccardo Fucile
LE PAROLE DELLA VERGOGNA SONO BRUCIATE PER SEMPRE
“Lei aveva la biancheria intima quella sera? Si ricorda di aver cercato su internet il nome di un
anticoncezionale quella mattina? “. Il libro bianco e il libro nero. La musica leggera e le parole asciutte del dolore. Le canzoni sulle donne e le loro deposizioni nei processi. E i vestiti di Sanremo. E le chiavi di casa, ovviamente. La colpa e la vergogna. La semplicità che uccide la retorica. Dodici minuti appena.
Tutti oggi scrivono che il monologo di Rula Jebreal a Sanremo è stato “uno choc”, ma nessuno spiega perchè. Fantastico.
Tutti oggi applaudono, ma nessuno sembra ricordare che, solo pochi giorni fa, Rula Jebreal non avrebbe dovuto parlare su quel palco: “ingrata”, “anti italiana”, “filo-palestinese”, “antisemita”, “troppa politica” .
Lode a Fabrizio Salini che l’ha rimessa lì, dopo che una campagna di stampa aveva provato a delegittimarla. Applausi a chi l’ha difesa. Ma il senso del ridicolo suscitato da quelle piccole diffamazioni resta nell’aria, come un retrogusto sapido nell’ora del trionfo.
Alla fine è quasi bello che l’Italia sia il paese smemorato che abbiamo di fronte, che all’ingiuria si sia sostituito l’applauso, che adesso i trogloditi del ridicolo partito No-Rula tacciano. Dimenticare aiuta.
E alla fine è bello che Rula abbia vinto la su sfida contro il pregiudizio — quello contro di lei e quello contro le vittime della violenza — mettendo tutta se stessa in quei dodici minuti: il racconto della madre che si dà fuoco perchè ha subito violenza, gli anni dell’orfanotrofio, le parole contundenti che arrivano dai tanti processi subiti da chi è stata ferita in questi anni, sui giornali, in tv e nelle aule dei tribunali.
E poi, ovviamente, i dati. Nudi, crudi, dolorosi da ricordare: “In Italia — ci ricorda Rula — in questo magnifico Paese che mi ha accolta, i numeri sono spietati. Lo scorso anno in media 88 donne al giorno hanno subito violenza e abusi. Una, ogni 15 minuti. Ogni tre giorni è stata uccisa una donna. E nell’85 per cento dei casi, il carnefice — ha spiegato la giornalista — non ha bisogno di bussare alla porta per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa. Ci sono le sue impronte sullo zerbino, l’ombra delle sue labbra sul bicchiere in cucina”.
È utile ricordare anche oggi le parole della vigilia, perchè sono state un enorme castello di carte che stava per coprire la realtà di questo monologo: Rula non è stata “anti-italiana”, ma filo italiana, ovvero dalla parte dell’Italia migliore.
Non è stata “palestinese”, ma donna, senza aggettivi o bandiere, ovvero dalla parte di tutte. Non è stata “antisemita”, ma fiera nemica del femminicidio, dell’omofobia e di tutte le violenze, questo sì.
“Lo shock” c’è stato, dunque, ma non nel senso “sanremese” del termine. Non è stato cercare scandalo, ma dare un nome alla realtà . E lo shock non è stato quello che si è prodotto in teatro, per chi era in platea, o a casa, per noi che abbiamo ascoltato o letto le parole di Rula.
Lo shock sarà l’onda di ridicolo che attraverserà un’aula di tribunale, a partire da domani. Quando qualche avvocato improvvido chiederà : “Lei come era vestita?”. “Aveva biancheria intima quella sera?”. “Trova sexy gli uomini in divisa?”.
E sarà sommerso: dal ridicolo e dalla vergogna. Soprattutto perchè, se è tra quelli che non ha sentito il monologo di ieri, ancora non sa che le parole della vergogna — anche grazie a Rula — sono bruciate per sempre.
Luca Telese
(da TPI)
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Febbraio 5th, 2020 Riccardo Fucile
YVETTE SAMNICK, 35 ANNI, CAMERUNENSE, UN FIGLIO, TRE LAUREE: “NON DIMENTICO LA DOMANDA DI QUEL GIUDICE”
“Parole fortissime dalle quali non emerge solo la violenza sessuale, ma anche quella domestica.
Nei tribunali si ascoltano tante storie di donne abusate tra le mura di casa e tante donne vengono giudicate prima di essere ascoltate fino alla fine”.
Yvette Samnick non nasconde la commozione che le ha provocato il monologo – “duro e meraviglioso”, scandisce – di Rula Jebreal durante la prima serata del Festival di Sanremo. Le violenze di cui ha parlato la giornalista palestinese, alternando il racconto della storia di sua madre a brani delle canzoni d’amore più belle della musica italiana, Yvette le conosce fin troppo bene, ne porta ancora i segni addosso.
Trentacinque anni, camerunense, ha un figlio, tre lauree e oggi lavora come mediatrice culturale nel centro antiviolenza “Roberta Lanzino” di Cosenza.
Alle spalle anni di abusi e razzismo che ha raccontato nel libro “Perchè ti amo”, dal settembre scorso in libreria per Luigi Pellegrini editore. Una storia che inizia nel suo Paese d’origine, dove il padre – un politico importante, con cinque mogli – picchiava costantemente sua madre – “una volta l’ha fatta abortire per le botte” – e prosegue in Italia, in Calabria, dove Yvette si trasferisce per studiare all’Università e conosce un uomo, il padre di suo figlio, che “diceva di amarmi e intanto mi picchiava, mi chiamava negra di merda”.
Violenza assistita prima e violenza domestica poi, e anche quando decide di denunciare il suo convivente, la vita di Yvette è l’inferno evocato da Rula Jebreal nel suo, commosso e commovente, intervento sul palco dell’Ariston.
Sin dall’inizio, ascoltandolo, le immagini si sono autoconvocate, sono tornati alla mente ricordi che bruciano come il sale sfregato sulle ferite. Jebreal leggeva “alcune delle domande poste in un’aula di tribunale a due ragazze che in Italia, non molto tempo fa, hanno denunciato una violenza sessuale” e Yvette ripensava a quel giudice che “mi chiese come mai una donna intelligente, laureata come me, si fosse trovata in questa situazione”.
O a quando “durante l’udienza per l’affidamento di mio figlio mi sono sentita ripetere che, in fondo, con il mio ex convivente io avevo avuto solo una lite. Ricordo che dopo mi sentii malissimo. Ma come, pensavo, tutti i miei traumi, tutto il dolore che ho dovuto sopportare e che ancora porto dentro di me sminuiti così, associati a una banale lite?”.
Jebreal elenca i numeri della violenza di genere nel nostro Paese – “ogni 3 giorni viene uccisa una donna, 6 donne sono state uccise la scorsa settimana. E nell’85% dei casi, il carnefice non ha bisogno di bussare alla porta per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa” – e Yvette ripensa agli ultimi tempi della convivenza con “quell’uomo violento, che mi giurava amore e intanto mi costringeva a fare sesso mentre piangevo”.
E quell’accusa, ripetuta di continuo davanti a ogni scoppio d’ira, “la colpa è tua, la colpa è tua”. Jebreal racconta la tragedia della madre e Yvette pensa alla sua, di madre, che oggi fa l’assistente sociale, ma durante la giovinezza e la sua vita di moglie ha dovuto sopportare schiaffi, calci, pugni e ricoveri per le botte che le dava il marito.
Con lei, Yvette, che collabora con la UNHCR e la rete D.i.Re nel progetto “Leaving violence, living safe”, per la tutela di donne migranti richiedenti asilo e rifugiate sopravvissute alla violenza, ha fondato in Camerun l’associazione ACLVF, che si occupa di donne maltrattate, abusate e violentate.
Con il ricavato dalla vendita del suo libro vuole costruire dei centri antiviolenza per aiutare le donne del suo Paese d’origine, “dove c’è una società patriarcale e maschilista e la violenza di genere non è reato”, spiega.
Della lotta ai maltrattamenti e agli abusi contro le donne lei, che le sfumature della violenza le ha conosciute tutte e non ci sta a passare per “eterna vittima” – piuttosto si considera “una vincitrice, una donna che ha voluto essere libera per davvero e non come mi volevano gli altri” – ha fatto il suo impegno.
“Sollecitare una presa di coscienza diffusa su questo fenomeno è fondamentale”, ragiona Yvette. Per questo, momenti come il monologo di Rula Jebreal a Sanremo sono “molto importanti. Manifestazioni popolari e molto seguite, come certamente è il Festival di Sanremo, devono essere utilizzati per sensibilizzare su questi temi quante più persone possibile. Noi donne abbiamo bisogno di voce, per gridare “basta”. Siamo stanche di combattere per i nostri diritti che ci spettano, non certo per concessione altrui. Non voglio più avere il dito puntato contro perchè sono una donna e voglio sentirmi, come sono, libera di esprimermi al meglio”, va avanti Yvette.
E chiude – un po’ dichiarazione di intenti un po’ richiesta di aiuto – “Vorrei avere le stesse possibilità di un uomo perchè ho le stesse capacità ”
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 5th, 2020 Riccardo Fucile
QUELLI CHE “LE VIOLENZE NON SONO COSI’ TANTE” E “ANCHE GLI UOMINI SUBISCONO VIOLENZE”… NULLA DI NUOVO: UNA DONNA INTELLIGENTE E INDIPENDENTE FA PAURA ALLE MEZZE SEGHE SOVRANISTE
Qualche settimana fa Giorgia Meloni si lamentava per la presenza di Rula Jebreal di Sanremo
spiegando che il problema era la mancanza di contraddittorio.
Ieri Rula Jebreal è salita sul palco dell’Ariston, ha fatto il suo monologo e non si è sentita la mancanza di contraddittorio.
Non si è sentita perchè quando una donna parla di femminicidio, di stupri e violenze, quando racconta della madre che si è tolta la vita perchè era stata stuprata e violentata più volte da un uomo che conosceva bene non c’è bisogno di contraddittorio.
E infatti Giorgia Meloni non ha ancora parlato di Sanremo.
Ne hanno parlato invece tanti che magari nei giorni scorsi avevano annunciato che non avrebbero guardato il Festival proprio a causa della presenza della giornalista italo-israeliana di origine palestinese.
Chissà quanti di loro hanno davvero ascoltato (o letto) l’intervento di Rula Jebreal, che grazie anche alla totale mancanza di coraggio della Rai e della direzione artistica del Festival è andato in onda ben dopo la mezzanotte.
Un peccato perchè se fosse stato in apertura della prima puntata di Sanremo molti — nel Paese in cui in meno di una settimana sei donne sono state uccise dai loro compagni, conviventi, fidanzati — avrebbero potuto capire qualcosa sull’argomento.
E quello della Jebreal non è stato un “predicozzo” ma un racconto, della sua vita, della sua infanzia, delle violenze subite dalle amiche, dalle loro madri, dalle donne, per mano degli uomini. Uomini che conoscevano bene.
Ma per i sovranisti invece il problema è che «lei si prende i soldi per questo ma alle donne violentate non cambia nulla. Scandaloso!». La Jebreal ha annunciato che devolverà «metà del compenso per il festival di Sanremo a Nadia Murad», l’attivista irachena yazida che è stata rapita e stuprata dall’Isis. Alle donne violentate non cambia nulla, ma quel discorso non parlava solo a loro, parlava alle donne e agli uomini per dire «lasciateci essere quello che siamo e quello che vogliamo essere, madri di dieci figli o madri di nessuno, casalinghe, in carrriera».
C’e’ chi ha subito voluto tirare fuori i dati delle “altre” molestie. Quelle subite dagli uomini per mano delle donne. Perchè potete stare certi che dove c’è una donna che denuncia le violenze, le molestie, i casi di stalking e gli omicidi ci sarà sempre un uomo pronto a dire cose come “la violenza è una sola e non ha sesso” oppure a citare i reati commessi dalle donne per dimostrare che siamo tutti colpevoli (o tutti innocenti).
Ma per i sovranisti si è trattato di un “monologo da festa dell’Unità ”. E con parecchi difetti. Uno a caso? Non è stato letto in perfetto italiano e a leggerlo era una forestiera, non un’italiana. Peccato che Rula Jebreal abbia la cittadinanza italiana.
Ma i dati Istat parlano chiaro: «si stima che siano 8 milioni 816mila (43,6%) le donne fra i 14 e i 65 anni che nel corso della vita hanno subito qualche forma di molestia sessuale e si stima che siano 3 milioni 118mila le donne (15,4%) che le hanno subite negli ultimi tre anni».
Ieri Rula Jebreal ha detto: «negli ultimi tre anni 3 milioni 150mila donne sono state vittime di violenze sessuali sul posto di lavoro, negli ultimi due anni 88 donne al giorno hanno subito abusi e violenze, una ogni 15 minuti, ogni tre giorni viene uccisa una donna, sei donne sono state ammazzate solo la scorsa settimana. E nell’80 per cento dei casi il carnefice non ha bisogno di bussare, ha le chiavi di casa».
Un’affermazione che non è sfuggita a Franco Bechis — il direttore del Tempo che oggi in prima pagina titola “che scoperta la Jebreal, è più brava come valletta”
Anche Mario Adinolfi ci tiene a ribadire che «l’Italia è il Paese con il minor numero di donne uccise al mondo». Mal comune mezzo gaudio? E ci vuole un bel pelo sullo stomaco a dirlo dopo che in due giorni sono state uccise cinque donne.
Il rapporto Eures 2019 dice che la violenza di genere è stata ancora in crescita nel 2018 con 142 le donne uccise (+0,7%), 119 delle quali in famiglia (+6,3%) e che non c’è mai stata una percentuale così alta di vittime femminili (40,3%).
Ma non si è parlato solo di femminicidi ma di violenze e di molestie, e sul posto di lavoro le donne italiane sono tra quelle che ne subiscono di più in Europa (dopo Germania e Spagna).
Rula Jebreal non odia gli uomini, non ce l’ha con gli uomini. Durante il suo monologo ha scelto di citare canzoni sulle donne, canzoni scritte da uomini.
Ma c’è chi sceglie di criticarla perchè ha sposato “un ricco ebreo” o “uno do Goldman Sachs” e perchè fa “costantemente distinzioni di razza ed etnia e da un palco senza possibilità di repliche”.
Eppure all’Ariston non ha fatto distinzioni di razza. E se la replica è a livello di “hai sposato un ricco ebreo” forse non è la replica di cui abbiamo bisogno.
Perchè alla Jebreal viene rinfacciato da settimane, da quando è stata annunciata la sua partecipazione a Sanremo, di aver fatto carriera e di essere ricca. Perchè ad un uomo si perdona di accompagnarsi a donne più giovani o di essere ricco. Ad una donna, cresciuta in un orfanotrofio invece non lo si perdona.
Ed è un peccato notare che molte delle critiche più feroci vengano da utenti di sesso femminile che invece che scagliarsi contro il sistema della società maschilista preferiscono raccontare di quella giornalista che “fa parte del sistema” anche se ne denuncia le violenze e i soprusi.
Una cosa però va detta: oggi nessuno parla del vestito di Rula Jebreal ma solo di quello che ha detto ieri. Peccato che in pochi ne abbiano colto il senso.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 5th, 2020 Riccardo Fucile
SEI DONNE UCCISE IN UNA SETTIMANA… A DESTRA SOLA LA VOCE DELLA CARFAGNA
“Reati contro le donne hanno un preoccupante numero oscuro e il fenomeno è molto più diffuso rispetto a quanto ci dice la statistica”.
Lo ha detto il capo della Polizia Franco Gabrielli parlando a Brescia dopo il delitto di Francesca Fantoni, la 39enne uccisa a Bedizzole. L’ultimo femminicidio in ordine di tempo.
“Siamo davanti ad un problema culturale. Fino a quando nella società le donne vengono considerate come una proprietà questi fenomeni continueranno ad esserci”, ha spiegato Gabrielli.
“Bisogna fare rete con i centri antiviolenza. Bisogna accompagnare — ha aggiunto il capo della polizia — le vittime perchè non si esaurisce tutto con la denuncia, ma spesso i problemi per le donne iniziano in quella fase. Quando una donna viene uccisa è una sconfitta per tutti”.
Sei in una settimana, cinque in due giorni, una ogni 10 ore. Sono impressionanti i dati riguardanti gli ultimi casi di femminicidio in Italia.
Un vero e proprio massacro, come sottolinea il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi nella sua relazione all’anno giudiziario, tanto da parlare di “emergenza nazionale”.
Allargando lo spettro le statistiche sono ancora più preoccupanti e dicono di una donna uccisa ogni tre giorni. Storie sempre uguali: denunce per violenze, poi denunce ritirate, solitudine, difficoltà ad uscire dalla condizione di soggiogamento. E la morte incontrata in casa, o vicino casa”.
Storie vere, come quella di Rosalia Mifsud e Monica Diliberto, madre e figlia, uccise in provincia di Caltanissetta. Rosalia aveva una relazione con Michele Noto, più giovane di 20 anni, e la figlia non voleva. L’uomo ha prima sparato alle due donne e poi si è suicidato.
Fatima Zeeshan, che avrebbe partorito a breve, è stata aggredita a calci e pugni e poi forse soffocata. Il suo compagno è stato fermato e non riesce a dare una spiegazione per l’accaduto.
E ancora le storie di Speranza Ponti, o quella di Rosalia Garofalo massacrata di botte per tre giorni finchè non è morta. La vittima aveva presentato almeno due denunce per maltrattamenti, poi ritirate.
Sei donne uccise in appena una settimana. “Finchè non saranno realtà la parità di salario e di occupazione, le donne non saranno economicamente indipendenti e non avranno i mezzi per sottrarre se stesse e i figli alla violenza maschile”, sostiene Mara Carfagna, vicepresidente della Camera.
(da agenzie)
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Febbraio 5th, 2020 Riccardo Fucile
LA GIORNALISTA HA INTRECCIATO IL RACCONTO DI EPISODI DI VIOLENZA ALTERNANDOLI A CELEBRI BRANO DELLA MUSICA ITALIANA
Dopo le polemiche e le contestazioni sulla sua presenza, la giornalista Rula Jebreal è salita sul
palco di Sanremo 2020 per il suo atteso monologo contro la violenza sulle donne. Sul palco due leggii: uno bianco, l’altro nero.
Da quello nero, la giornalista italo-palestinese ha letto le domande più crudeli poste alle vittime di violenza durante le loro denunce, snocciolando altresì i numeri degli abusi sessuali in Italia.
Dal leggio bianco, Jebreal ha invece letto alcune citazioni di brani della musica italiana, tutti scritti da uomini, che dimostrano che «è possibile trovare le parole giuste per raccontare l’affetto, il rispetto e la cura».
Il testo del monologo contro la violenza sulle donne di Rula Jebreal a Sanremo
«Lei aveva la biancheria intima quella sera?»
«Si ricorda di aver cercato su internet il nome di un anticoncezionale quella mattina?»
«Lei trova sexy gli uomini che indossano i jeans?»
«Se le donne non vogliono essere sfruttare devono smetterla di vestirsi da poco di buono».
Queste sono solo alcune delle domande poste in un’aula di tribunale a due ragazze che in Italia, non molto tempo fa, hanno denunciato una violenza sessuale. Domande insinuanti, melliflue, che sottintendono una verità amara, crudele: noi donne non siamo mai innocenti. Non lo siamo perchè abbiamo denunciato troppo tardi, perchè abbiamo denunciato troppo presto, perchè siamo tropo belle o troppo brutto perchè eravamo troppo disinibite e ce la siamo voluta.
“Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo.
Perchè sei un essere speciale
Ed io, avrò cura di te.”
Sono cresciuta in un orfanotrofio, insieme a centinaia di bambine. La sera, una per volta, noi bambine raccontavamo una storia, le nostre storie. Erano una specie di favole tristi. Non favole di mamme che conciliano il sonno, ma favole di figlie sfortunate, che il sonno lo toglievano.
Ci raccontavamo delle nostre madri: torturate, uccise, violentate. Ogni sera, prima di dormire, ci liberavamo tutte insieme di quelle parole di dolore.
Io amo le parole. Ho imparato, venendo da luoghi di guerra, a credere nelle parole e non ai fucili, per cercare di rendere il mondo un posto migliore. Anche e soprattutto per le donne. Ma poi ci sono i numeri.
E in Italia, in questo magnifico Paese che mi ha accolto, i numeri sono spietati: ogni 3 giorni viene uccisa una donna, 6 donne sono state uccise la scorsa settimana. E nell’85% dei casi, il carnefice non ha bisogno di bussare alla porta per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa. Ci sono le sue impronte sullo zerbino, l’ombra delle sue labbra sul bicchiere in cucina.
“Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno
Giuro che lo farò
E oltre l’azzurro della tenda nell’azzurro io volerò
Quando la donna cannone
D’oro e d’argento diventerà
Senza passare dalla stazione
L’ultimo treno prenderà ”.
Mia madre Zakia, che tutti chiamavano Nadia, ha preso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni. Si è suicidata, dandosi fuoco. Ma il dolore era una fiamma lenta che aveva cominciato a salire e ad annerirle i vestiti quando era solo un’adolescente. Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato la sua tortura.
Perchè mia madre Nadia fu stuprata e brutalizzata due volte: a 13 anni da un uomo e poi dal sistema che l’ha costretta al silenzio, che non le ha consentito di denunciare. Le ferite sanguinano di più quando non si è creduti. L’uomo che l’ha violentata per anni, il cui ricordo incancellabile era con lei, mentre le fiamme mangiavano il suo corpo, aveva le chiavi di casa
“Sally ha patito troppo
Sally ha già visto che cosa
Ti può crollare addosso
Sally è già stata punita
Per ogni sua distrazione o debolezza
Per ogni candida carezza
Data per non sentire l’amarezza”
Quante volte siamo state Sally? Mentre Franca Rame veniva violentata il 9 marzo del 1973, cercò salvezza nella musica. “Devo stare calma. Devo stare calma. Mi attacco ai rumori della città , alle parole delle canzoni, devo stare calma”, recitava nel suo potente monologo “Lo stupro”, in cui ripercorreva quel fatto drammatico.
Le parole delle canzoni possono essere messaggi d’amore e di salvezza. Io sono diventata la donna che sono perchè lo dovevo a mia madre, lo devo a mia figlia che è seduta in mezzo a voi. Lo dobbiamo tutte, tutti, a una madre, una figlia, una sorella, al nostro paese, anche agli uomini, all’idea stessa di civiltà e uguaglianza. All’idea più grande di tutte: quella di libertà .
Parlo agli uomini, adesso. Lasciateci libere di essere ciò che vogliamo essere: madri di dieci figli e madri di nessuno, casalinghe e carrieriste, madonne e puttane, lasciateci fare quello che vogliamo del nostro corpo e ribellatevi insieme a noi, quando qualcuno ci dice cosa dobbiamo farne. Siate nostri complici. E quando qualcuno ci chiede “Lei cosa ha fatto per meritare ciò che è accaduto?”
“C’è un tempo bellissimo, tutto sudato
Una stagione ribelle
L’istante in cui scocca l’unica freccia
Che arriva alla volta celeste
E trafigge le stelle
È un giorno che tutta la gente
Si tende la mano
È il medesimo istante per tutti
Che sarà benedetto, io credo”
(da Open)
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Febbraio 5th, 2020 Riccardo Fucile
COMMOZIONE ALL’ARISTON, STANDING OVATION PER LA GIORNALISTA PALESTINESE
Era uno dei momenti più attesi del Festival di Sanremo 2020. Ma sopratutto uno di quei momenti su cui si era fatta più polemica.
Stiamo parlando del Monologo di Rula Jebreal. Un monologo che non ha avuto nulla di divisivo, ma che anzi ha messo a fuoco uno dei temi che sembra maggiormente toccare il nostro paese: la violenza sulle donne. Il monologo di Rula Jebreal a Sanremo 2020 ha convinto, è stato applaudito dal pubblico dell’Ariston e apprezzato anche sui social.
«Noi donne siamo sempre colpevoli – dice Rula Jebreal leggendo sul palco – o perchè siamo troppo disinibite. O perchè siamo troppo belle, o troppo brutte». Poi legge una strofa de La Cura di Battiato. Il monologo di Rula è molto intenso. Racconta la sua infanzia, l’essere cresciuta in luoghi di guerra, di essere diventata orfana.
Rula Jebreal parla di numeri. Ce li sbatte in faccia; perchè riguardano l’Italia, il nostro paese.. Negli ultimi tre anni in media 88 donne al giorno hanno subito abusi o violenze in Italia. Ogni tre giorni ne viene uccisa una. Nell’ottanta per cento dei casi il “carnerneficie ha le chiavi di casa”.
Poi legge una strofa de La donna Cannone De Gregori. Infine torna a raccontare il dramma della mamma, stuprata più volte, prima che decidesse di uccidersi, dandosi fuoco. La commozione le rompe la voce. Ad uccidere la mamma è stata proprio il papà .
Rula parla nel silenzio assoluto del teatro Ariston, rapito dalla sue parole. Ricorda lo stupro di Franca Rame. Rula piange, non trattiene le lacrime nella parte finale del suo monologo. Io sono diventata la donna che sono grazie a mia madremia figlia, e che è seduta in mezzo a voi»
Infine si rivolge agli uomini: «Lasciateci essere quello che vogliamo. Donne in carriere o mamme, è uguale». Poi aggiunge: domani parliamo del mio vestito, di come sono vestita stasera. Fatemi le domande che volete. Ma che non si chieda mai più ad una donna come era vestita dopo aver subito uno stupro».
L’applauso commosso dell’Ariston saluta la fine del monologo di Rula Jebreal. Sono tutti in piedi. E’ la grande vittoria di Amadeus.
(da agenzie)
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