CI SONO LE PROVE DEI RESPINGIMENTI ILLEGALI DI MASSA OPERATI DALL’ITALIA: UN POOL DI AVVOCATI INTERNAZIONALI DENUNCIA L’ITALIA AL COMITATO PER I DIRITTI UMANI DELL’ONU
PROVE CIRCOSTANZIATE INCASTRANO IL GOVERNO LEGA-M5S IN 14 CASI
“Qui MRCC Roma. A nome della Guardia costiera libica per la salvezza delle vite in mare vi preghiamo di procedere alla massima velocità per dare assistenza ad una barca in difficoltà con circa 70 persone a bordo. Vi preghiamo di contattare urgentemente la Guardia costiera libica attraverso questo centro di ricerca e soccorso ai seguenti numeri di telefono”. Ai quali rispondono sempre gli italiani
Un dispaccio del centro di ricerca e soccorso di Roma delle 19.39 del 7 novembre del 2018 dimostra che a coordinare l’operazione di salvataggio di un gruppo di migranti poi riportati in Libia dal mercantile Nivin battente bandiera panamense fu l’Italia.
In 93, segnalati prima da un aereo di Eunavformed, poi dal centralino Alarmphone, furono presi a bordo dal Nivin e, con l’inganno, sbarcati con la forza a Misurata dall’esercito libico dopo essere rimasti per dieci giorni asserragliati sul ponte del mercantile. Picchiati, feriti, rinchiusi di nuovo nei centri di detenzione in un paese in guerra.
Un respingimento di massa illegittimo, contrario al diritto internazionale, che sarebbe stato dunque coordinato dall’Italia secondo una strategia di salvataggio delegato ai privati per applicare il controllo delle frontiere.
Un “modello di pratica” che – secondo un rapporto redatto da Charles Heller di Forensic Oceanography, ramo della Forensic Architecture Agency basata alla Goldsmiths University of London – l’Italia e l’Europa avrebbero applicato ben 13 volte nell’ultimo anno, in coincidenza con la politica italiana dei porti chiusi.
Caso finora unico, alcune delle persone riportate in Libia sono state rintracciate nei centri di detenzione da Msf che ne ha raccolto le testimonianze che – incrociate con i documenti e le risposte alle richieste di informazione date da Eunavformed e dalla stessa Guardia costiera libica – hanno consentito di ricostruire quello che viene definito nello studio ” una pratica ricorrente di respingimenti, una nuova modalità di soccorso delegato ai privati” che verrebbe attuato quando le motovedette della guardia costiera libica, come avvenne nel caso del 7 novembre 2018, sono impegnate in altri interventi. “Impegnandosi in questa pratica – è l’accusa del report – l’Italia usa violenza extraterritoriale per contenere i movimenti dei migranti e viola l’obbligo di non respingimento”.
Per questo il Glan, l’organizzazione di avvocati, accademici e giornalisti investigativi Global Legal Action Network ha presentato una denuncia contro l’Italia al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite per conto di uno dei migranti riportati indietro. E’ la prima volta che accade.
Ma ecco la ricostruzione dei fatti secondo le fonti di prova incrociate:
La partenza
Nella notte tra il 6 e 7 novembre 2018 dalla costa di Zlitan parte un gommone con 93 persone a bordo di sette nazionalità diverse. C’è anche una donna con un bimbo di quattro mesi. Alle 15.25 del 7 novembre la barca viene avvistata in zona Sar libica da un aereo spagnolo dell’operazione Sophia che – secondo quanto riferito da Eunavformed – “dichiara che non c’erano assetti navali nelle vicinanze”. Tramite il quartier generale della missione che, in quel momento, era sulla nave San Marco della marina italiana, l’informazione con le coordinate navali della posizione della barca viene passata al centro di ricerca e soccorso di Roma che le trasmette a quello libico. Il commodoro libico Masoud Abdalsamd riferisce che le motovedette libiche sono impegnate in altre attività e il gommone continua la sua navigazione.
La richiesta di soccorso
Due ore dopo, alle 17.18, dal gommone un primo contatto con il centralino Alarm Phone che comunica le coordinate al centro di soccorso di Roma e monitora la zona: non ci sono navi vicine e l’unica Ong presente, la Mare Jonio, è a Lampedusa. Roma ( che era già informata) chiama Tripoli, la guardia costiera libica identifica la Nivin, un mercantile già in rotta verso Misurata ma le manca l’attrezzatura per comunicare e dirigere la Nivin e chiede a Roma di farlo “a suo nome”. Da quel momento è MRCC a prendere in mano il coordinamento, dà istruzioni al comandante della Nivin e dirige il soccorso.
L’arrivo dei libici
Alle 21.34, un dispaccio del centro di ricerca e soccorso dei libici annuncia la presa del coordinamento delloperazione ma la comunicazione parte dallo stesso numero nella disponibilità della Marina italiana sulla nave di stanza a Tripoli. Alle 3.30 la Nivin soccorre i migranti. Saliti a bordo i marinai li tranquillizzano dicendo loro che saranno portati in Italia. Ma quando vedono arrivare una motovedetta libica i migranti capiscono di essere stati ingannati, rifiutano il trasbordo e si barricano sulla tolda della nave. I libici dopo un poò rinunciano e la Nivin prosegue verso Misurata dicendo ai migranti di essere in rotta verso Malta. Un’altra bugia.
Lo sbarco a Misurata
I migranti rimangono asserragliati anche quando la nave entra nel porto libico. Ci resteranno dieci giorni chiedendo disperatamente aiuto ai media internazionali con i telefoni cellulari. Il 20 novembre l’intervento di forza dei militari libici armati pone fine alla loro odissea. Alcuni migranti vengono picchiati, feriti, ricondotti nei centri di detenzione dove alcuni di loro vengono intercettati dall’equipe di Medici senza frontiere che raccoglie le loro testimonianze che si incrociano perfettamente con i documenti recuperati.
Il ruolo dell’Italia
Ne viene fuori un quadro che combacia perfettamente con quanto già evidenziato da un’inchiesta in via di conclusione della Procura di Agrigento coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore Vella. Un quadro in cui l’Italia, nonostante gli accordi con la Libia, prevedono un ruolo di semplice assistenza e supporto tecnico alla Guardia costiera libica, di fatto svolge – tramite la nave della Marina militare di stanza a Tripoli – svolge una funzione di centro di comunicazione e coordinamento “dando un contributo decisivo – si legge nel report – alla capacità di controllo e coordinamento che ha saldamente in mano”.
“Quando i libici non sono in grado di intervenire – è l’accusa di Forensic Oceanography – Roma opta per una seconda modalità , quella del respingimento privato attraverso le mavi mercantili che – secondo un recente report semestrale di Eunavformed – ha prodotto 13 casi nell’ultimo anno con un aumento del 15-20 per cento”.
(da “La Repubblica”)
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