COME E’ DIFFICILE PER SALVINI RIFARSI UN NOME FUORI DALL’ITALIA
MOLLARE PUTIN, AGGANCIARE BIDEN E PIACERE A MERKEL: LA MISSION IMPOSSIBILE DELLA LEGA
Il “dossier Usa” – anche in questi giorni in cui le contorsioni della politica interna si sono riprese la scena – è in primo piano sulla scrivania di Matteo Salvini.
Perchè avviare un’interlocuzione con la Casa Bianca di Joe Biden è fondamentale per chiunque aspiri a governare l’Italia.
E perchè, come insiste Giancarlo Giorgetti, un rapporto transatlantico “senza tentennamenti” va di pari passo con un più forte accreditamento presso le cancellerie dell’Europa continentale.
Un doppio obiettivo fondamentale affinchè si realizzi l’auspicio espresso dal Capitano dopo il pranzo a Villa Taverna con l’ambasciatore uscente Lewis M. Eisenberg: “I rapporti tra Italia e Usa e tra Lega e democrazia americana sono solidi e lo saranno sempre di più”.
Comincia a delinearsi la road map della Lega in politica estera che nei prossimi due anni ruoterà intorno a due corni: massima attenzione ai movimenti di Pechino, che preoccupano molto Washington, e (lenta) marcia di avvicinamento verso il Ppe, soprattutto tedesco, per riuscire a incidere sulla ricollocazione dei migranti in ambito Ue e sulla riforma del trattato di Schengen appena rilanciata da Macron.
Il Dragone avversario comune
Da Eisenberg, tesoriere dei Repubblicani insediato a Roma da Donald Trump e scaltro uomo d’affari che verso “Matteo” ha manifestato simpatia personale oltre che stima, il leader della Lega ha ricevuto più di un consiglio.
Quello, in chiave di avvertimento, di “prudenza e saggezza” nei rapporti con Mosca che in passato hanno provocato “qualche imbarazzo”. E quello, in chiave di potenziale grimaldello per aprire le porte della nuova amministrazione americana, della massima attenzione alle mosse di Pechino.
Già : la Cina resta il nemico numero uno di Washington e la “coperta di Linus” della Lega. Al pranzo si è parlato di 5G. Ma sulle garanzie di sicurezza di quella rete e sulle relative strategie di fondo all’interno dell’Alleanza Atlantica, l’Italia (e l’Europa) hanno già ampiamente rassicurato gli alleati. Lo hanno fatto anche il premier Conte e il ministro degli Esteri Di Maio durante la visita italiana del segretario di Stato uscente Mike Pompeo. Salvini stesso, quando governava, è sempre stato netto nel voler “garantire la sicurezza di dati sensibili italiani” e non ha gradito l’accordo sulla nuova Via della Seta promosso da Di Maio. Mentre era stato Giorgetti a spendersi per potenziare il “golden power” per il 5G in capo a Palazzo Chigi, sia per fermare azioni predatorie di potenze straniere che per tranquillizzare l’amministrazione Usa.
Alla Casa Bianca, piuttosto, l’allerta riguarda il timore di infiltrazioni cinesi nelle infrastrutture italiane, soprattutto nei porti.
In sostanza, il pericolo di investimenti in settori strategici da parte di aziende ricche di cash, e dunque suscettibili di attrarre l’interesse di chi gestisce quelle infrastrutture locali. Con obiettivi da parte del Dragone non tanto economici quanto di potenza e di espansione.
Un rischio che l’ex ministro dell’Interno ha mostrato di comprendere bene, come anche la necessità di un potenziamento della cyber-sicurezza a livello nazionale ed europeo.
Al punto che ieri, nella dichiarazione di voto a Palazzo Madama sulla riforma del Mes, Salvini ha infilato l’Ilva e Leonardo come esempi di patrimoni italiani da difendere e non svendere. Con un inciso apparentemente casuale: “Non regaliamo l’acciaio e la difesa magari ad un investitore cinese che è pronto ad arrivare domani mattina con i contanti nella borsa”.
La road map in Europa
L’altra gamba della strategia di riposizionamento leghista riguarda l’Unione Europea. E ha necessariamente tempi più lunghi. E’ un tasto su cui Giorgetti – responsabile Esteri e numero due del partito, che conversa in inglese molto fluente — batte da tempo.
Con una road map ambiziosa e affatto facile da perseguire: una marcia di avvicinamento al Ppe, soprattutto dal lato tedesco, per arrivare al 2023 (quando salvo imprevisti si voterà in Italia) e al 2024 (data delle prossime elezioni europee) con una piattaforma comune su alcuni temi cruciali.
Il primo è l’immigrazione, su cui oggi le distanze tra le posizioni leghiste e la gestione di Berlino sembrano incolmabili. Quando Salvini era al Viminale, la stampa tedesca fu durissima, e il ricordo nell’opinione pubblica è vivo.
Tuttavia, la gestione dei richiedenti asilo è un tema che esiste. E che tornerà a farsi sentire appena le limitazioni alla mobilità imposte dalla pandemia di coronavirus si allenteranno. L’Italia chiede da tempo regole diverse nella redistribuzione dei migranti e modifiche più forti del trattato di Dublino, mentre l’efficacia nuovo patto su ricollocamenti e rimpatri varato dalla commissione Von Der Leyen è ancora da verificare.
Sulle istanze italiane, la Germania è più sensibile della Francia, ma costruire un asse con il governo tedesco lungo questo filo esile è poco più di una speranza. Tanto più che a settembre la Germania andrà al voto, e il dopo-Merkel è un’incognita totale.
Tuttavia, al Parlamento Europeo i contatti per agganciare il Ppe di Manfred Weber sono già partiti.
Anche su un altro fronte: la riforma di Schengen. Tema di cui si discute da anni, e che gli attacchi terroristici da un lato e i problemi dell’immigrazione clandestina dall’altro hanno reso più pressante. Ad accelerare è stato Emmanuel Macron: “Dobbiamo proteggere meglio i nostri confini esterni — ha detto il presidente francese — se vogliamo mantenere aperti quelli all’interno dell’Ue”. Del resto, con Francia e Austria ci sono già stati attriti ai valichi di frontiera. E per Salvini cercare un’interlocuzione con la Germania su questo punto è più a portata di mano.
(da “Huffingtonpost”)
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