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COME LA MAFIA RIPULISCE IL DENARO SPORCO CON IL BUSINESS DEI GIOCHI LEGALI E ILLEGALI

IL DOCUMENTO-CONFESSIONE DI RENATO GRASSO, IMPRENDITORE CONDANNATO PER MAFIA, CHE PER VENTI ANNI HA GESTITO IL BUSINESS DEI GIOCHI

Le mafie ripuliscono il loro denaro sporco anche attraverso portafogli e tasse degli italiani.
Non è una semplificazione.
Soprattutto davanti ad un documento come quello che pubblichiamo: un manoscritto di Renato Grasso nel quale, l’imprenditore condannato per mafia che per vent’anni ha gestito in Italia buona parte del business dei giochi con il placet dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato – (Aams) l’organo del Ministero dell’Economia e delle Finanze addetto alla gestione del gioco pubblico -, conferma ai giudici di aver riciclato soldi per i clan.
E precisa: non solo ha avuto rapporti con i 22 gruppi mafiosi già  individuati dagli inquirenti, ma anche con altre 52 cosche della camorra.
La «lavanderia italiana» che le procure ancora non conoscono.
Il che significa che negli anni, ben 74 clan della camorra si sono rivolti a lui per organizzare la loro lavanderia di denaro sporco e che lo hanno fatto usando un meccanismo che riguarda direttamente le tasche dei contribuenti italiani e di quelli che affidano alla fortuna qualche risparmio: il sistema dei giochi legalizzato dal 2004 e gestito dai monopoli di Stato.
La lista è impressionante: almeno tre clan per quartiere o area geografica delle varie città  campane.
Non c’è faida che tenga: la lavanderia è unica anche per i più acerrimi nemici. Infatti nell’elenco ci sono clan che si sono combattuti per anni facendo decine di morti ammazzati e che invece sono uniti nello stesso elenco: affidavano le loro finanze al re dei giochi.
Sembra quasi un censimento noir.
Un elenco scritto a mano da un signore capace, nonostante una condanna per mafia di diventare socio (con due distinte imprese) della famiglia Mastella e anche della famiglia Iovine.
Si, proprio quelle dell’eurodeputato di Ceppaloni ed ex ministro della giustizia e dell’ex superlatitante Antonio Iovine detto ‘o ninno’, tra i capi dei casalesi, arrestato solo l’anno scorso dopo 14 anni di ricerche.
Ma soprattutto un signore capace, con quella condanna definitiva per 416 bis e per estorsione (5 più 4 anni), di ottenere con le società  di famiglia, favolosi contratti con i Monopoli di Stato e con due società  del calibro di Lottomatica e Sisal (come risulta dai provvedimenti giudiziari a carico di Grasso e anche da un suo memoriale nel quale scrive «I miei fratelli ebbero la grande opportunità  di ottenere dei contratti in esclusiva per la distribuzione delle New Slot in tutta Italia a favore di oltre 2.500 ricevitorie e agenzie»).
«Le concessioni per le slot – spiega Aldo Burzo, amministratore giudiziario di alcune società  sequestrate a Renato Grasso – sono una decina e Grasso entrò nel business attraverso accordi commerciali di società  riconducibili alla sua famiglia con Lottomatica e Sisal».
I suoi affari ormai spaziavano dalle scommesse sportive ai giochi on line, dalle slot alle sale bingo. Ma il curriculum penale di Grasso evidentemente non è stato mai un problema.
Eppure quella dei giochi è la terza industria in Italia con 120 mila lavoratori e un fatturato che quest’anno sarà  vicino a 80 miliardi di euro, tra il 4 e il 5% del nostro Pil.
Renato Grasso è sempre stato il re dei giochi leciti e illeciti e dopo aver fatturato 300 milioni di euro all’anno, essere stato latitante e aver conosciuto a più riprese il carcere, forse sta smettendo i panni di «imprenditore testimone» come si era autodefinito per indossare quelli di pentito, anche se non c’è nulla ancora di ufficiale.
Uno dei suoi fratelli (ne ha 13) Luciano, non ha retto al peso delle indagini e dopo un periodo di depressione, pochi mesi fa si è tolto la vita con un colpo di pistola. Il suo corpo è stato trovato sul terrazzo del palazzo dove viveva.
Renato Grasso, dopo un primo memoriale consegnato ai pm nel 2009 subito dopo aver bussato al portone del carcere per consegnarsi e mettere fine alla sua latitanza, aspetta due anni prima di vuotare del tutto il sacco.
Lo fa in maniera scarna con poche frasi e due elenchi. Innanzitutto spiega perchè è pronto a collaborare con la giustizia: «Dopo una lunga riflessione personale ho mutato la mia inutile convinzione, che per il solo fatto di essere stato anche vittima di alcuni clan della camorra, potessi giustificare o eludere le mie reali responsabilità  penali. Per tanto ho deciso di rivelare tutto quello che è necessario, di mia conoscenza dei fatti di dar modo alla giustizia di fare il suo corso, con maggiori riscontri (…) Soprattutto per avere la possibilità  di recidere definitivamente tutti i rapporti con la criminalità  organizzata anche per il futuro. Tanto premesso confermo e confesso di aver avuto rapporti di interessi economici, relativi alla mia attività  lavorativa per la distribuzione del mercato dei videopoker accordandomi con gli esponenti, di volta in volta, anche contemporaneamente egemoni, nei singoli quartieri di Napoli e provincia».
Ora arrivano i primi verbali «collaborativi» davanti ai pm Antonello Ardituro e Catello Maresca della dda di Napoli che con le loro inchieste hanno scoperchiato il sistema, datati 7 e 16 giugno e primo luglio 2011.
E così “o presidente” (questo il suo soprannome) comincia il suo racconto dettagliato sulle sue società , sui rapporti con tantissimi clan e con boss del calibro di Giuseppe Setola (‘o cecato’), su carabinieri, vigili e poliziotti che aveva assoldato per fargli da guardiaspalle e di tanto altro.
Negli anni ’80 erano flipper e juebox poi è stata la volta dei videopoker illegali ma una decina di anni fa tutto è cambiato.
Gli affari dei Grasso viaggiano su due filoni quello delle slot e quello delle sommesse sportive. Ciò che in Italia fino al 2004 era stato illegale e cioè videopoker e totonero, viene regolato e legalizzato.
Così si assegnano le concessioni per i giochi: poche, meno di una decina quelle per la gestione delle «macchinette», molte di più quelle per le scommesse sportive.
Viene anche stabilito che chi non ha una serie di requisiti di onorabilità  (ovviamente si prevede l’esclusione degli imprenditori coinvolti in indagini di mafia) non potrà  mai sperare di diventare concessionario di giochi pubblici.
Una regola che invece, come si legge nelle migliaia di carte dei processi che riguardano i Grasso, diventa facilmente carta straccia.
Tanto che il pm Antonello Ardituro auspica maggiori controlli e una modifica legislativa: «Le concessioni dei monopoli vengono assegnate senza che vi siano i necessari controlli antimafia e quindi ci capita di imbatterci in società  che sono concessionarie dell’ente pubblico o a partecipazione pubblica che non rispettano i requisiti e le certificazioni antimafia, come è successo per la famiglia Grasso. Nonostante Renato Grasso fosse stato condannato per 416 bis (associazione per delinquere di stampo mafioso) con sentenza passata in giudicato, i fratelli riuscivano tranquillamente ad avere questo tipo di concessioni. Sarebbe auspicabile una modifica della normativa in materia».
Nel primo settore, quello delle macchinette, le aziende dei Grasso diventano leader grazie a contratti stipulati da società  di famiglia con concessionari dei Monopoli di Stato, Lottomatica e Sisal.
Un esempio su tutti potrebbe essere la Wozzup (ora sotto sequestro): in questa ditta che tra il 2006 e il 2008 ha raccolto circa 110 milioni di euro di giocate, Renato Grasso è direttamente socio insieme al fratello Massimo e quindi paradossalmente “’o presidente” accusato di mafia, non si preoccupa nemmeno di procurarsi un prestanome per diventare concessionario di Lottomatica.
Un’altra società  della famiglia entrata nello stesso affare è la King Slot (anche questa sotto sequestro)
I Grasso, invece, per entrare in affari con la Sisal, usano la DueGi sas, una società  anche questa finita più volte sotto sequestro.
Nel suo memoriale Grasso spiega che questi contratti diedero l’oportunità  alle società  di famiglia di distribuire in esclusiva le nuove macchine New Slot su tutto il territorio nazionale in oltre 2.500 ricevitorie estendendo il suo raggio d’azione non solo in Campania ma anche in Lombardia, Toscana, Puglia, Calabria, Abruzzo e Sicilia e riuscendo così a raccogliere fiumi di denaro in giocate pari alla metà  dell’intero business italiano dei giochi.
Quello delle slot è un affare che permette un po’ a tutti quelli che sono nel giro di guadagnare bene e in maniera facile: allo Stato, perchè parte delle giocate finisce nell’erario (circa il 12,5%); alle concessionarie e alle loro sub concessionarie in quanto intascano fette consistenti dell’affare; e anche ai singoli bar che installano le macchinette mangiasoldi.
Oltre a trattenere la percentuale prevista, i bar hanno a disposizione liquidi per alcune settimane perchè lo scassettamento delle slot (e cioè il prelievo) nella maggior parte dei casi avviene con scadenze piuttosto lunghe.
Le organizzazioni criminali, secondo le indagini, hanno buon gioco ad inserirsi in varie fasi dell’affare ma soprattutto, ciò che gli inquirenti intendono scoprire è se in qualche modo abbiano finanziato Grasso all’inizio del business e cioè nel momento in cui andavano acquistate e distribuite le slot.
Un investimento non da poco, anche per “o presidente” ma non certo per decine di clan della camorra. Anche la mafia fa capolino nelle indagini sui Grasso: per creare in dieci regioni italiane una delle più fiorenti reti di controllo e gestione di sale Bingo, società  e ditte individuali che operavano tutte nel settore delle scommesse pubbliche, “o’ presidente” si era affiancato un personaggio siciliano. Il suo nome è Antonio Padovano.
Gli inquirenti lo ritengono contiguo a esponenti della criminalità  organizzata catanese alcuni dei quali ai vertici della famiglia “Cosa Nostra Etnea”.
Fu arrestato alla fine del 2000 per 416 bis e successivamente raggiunto da un ordinanza di custodia cautelare nella quale il Gip di Caltanissetta sottolinea la contiguità  ai Santapaola di Catania ed il patto tra lo stesso Padovani e i Madonia per l’apertura di numerose sale scommesse tra Gela e Niscemi e l’assunzione quale responsabile dell’area siciliana del genero di Piddu Madonia.
Il nome di Padovani spunta anche in un’inchiesta che dimostra come i casalesi, quelli di Setola, Iovine e Zagaria, attraverso un sistema di scatole cinesi, cessioni di rami d’azienda e prestanomi, abbiano riciclato soldi. Grasso teneva i contatti con la cosca principalmente attraverso Mario Iovine, detto “Rififi”.
Come? Con l’acquisto di sale bingo, molte delle quali nel salotto buono milanese .
L’altro filone battuto da Grasso è quello delle concessioni per le scommesse sportive.
Qui “o’ presidente” la fa veramente da padrone riuscendo a raccogliere decine di contratti dai Monopoli.
Comincia con la Betting 2000, una società  attualmente in amministrazione giudiziaria. La Betting2000 strappa subito la concessione dai Monopoli di Stato e poi arrivano anche la Sistersbet e la Mediatelbet.
Insomma dalle tasche dei cassieri dei clan a quelle di Renato Grasso per poi rifluire in una cascata di società  che acquistano sale bingo nel nord Italia, piazzano migliaia di slot (praticamente in regime di monopolio) e gestiscono i flussi di scommesse sportive.
Tornando alla Betting 2000, spuntano i cognomi Mastella e Lonardo. Già  perchè la Betting come è possibile verificare da semplici visure camerali, è socia della società  Sgai betting nella cui compagine societaria figurano Italico e Carlo Lonardo, fratelli della ex presidente del consiglio regionale campano Sandra Lonardo e per un periodo anche Pellegrino Mastella, figlio della Lonardo e dell’ex guardasigilli ed attualeparlamentare europeo Clemente Mastella.
«Nel campo delle scommesse sportive — spiega Aldo Burzo, amministratore giudiziario di alcune società  sequestrate a Grasso – le società  riconducibili a Renato Grasso, sono entrate acquisendo delle concessioni da una società  che ne deteneva una notevole quantità , la Sgai, che aveva tra i suoi proprietari la famiglia Mastella o Lonardo».
Che fine ha fatto la Sgai betting? Le concessioni risultano tutte vendute appena alcuni giorni prima del sequestro. Per il resto la società  è svuotata e messa in liquidazione.
La politica in senso lato si incrocia anche per altre vie con i destini dei Grasso: Massimo Grasso, fratello di Renato – anche lui accusato di vari reati -, è stato anni fa, il consigliere comunale del Pdl più votato a Napoli e in più convive con una delle gemelline De Vivo, aspiranti subrettine ma ormai più note per le serate del bunga-bunga ad Arcore (vengono citate e intercettate nel fascicolo della procura di Milano sul caso Ruby) che per la loro partecipazione all’”Isola dei famosi”.
La storia di Renato Grasso si arricchirà  di particolari se il suo protagonista continuerà  a svelare i retroscena della sua «lavanderia» italiana e se gli inquirenti riusciranno a capire se un nuovo re dei giochi si sta affacciando sul panorama italiano al posto di Grasso.
Per ora resta da raccontare ancora un paradosso: «Poichè le concessioni sono spesso legate alla personalità  dell’imprenditore – spiega il pm della dda Antonello Ardituro – molto spesso assistiamo a delle revoche quali le sospensioni delle concessioni nel momento in cui interviene il sequestro delle società  da parte dell’Autorità  giudiziaria con l’evidente paradosso che l’impresa mafiosa è stata concessionaria per tanto tempo e nel momento in cui interviene lo Stato con l’amministratore giudiziario, questa concessione viene revocata perchè non sussistono più i requisiti con l’effetto molto rilevante sul territorio di dare l’idea che finchè l’impresa mafiosa è libera e lavora da la possibilità  anche ai cittadini; quando interviene lo Stato con il sequestro, le imprese sono destinate miseramente a chiudere».

Amalia De Simone
(da “Il Corriere della Sera“)

This entry was posted on mercoledì, Febbraio 22nd, 2012 at 05:57 and is filed under mafia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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