COME LE AGENZIE DI RATING POSSONO AFFOSSARE IL GOVERNO DEI PATACCARI, MENTRE OGGI LO SPREAD E’ SCHIZZATO A 303
ENTRO FINE MESE IL VERDETTO DI STANDARD & POOR’S E MOODY’S
La spada di Damocle del rating sta arrivando.
Il giudizio sulla capacità di una società o di uno Stato di restituire i soldi che chiede in prestito arriverà ad ottobre per l’Italia e sarà decisivo per la sorte del governo Lega-M5S.
Venerdì 26 ottobre arriverà il verdetto di Standard & Poor’s, entro la fine del mese si aggiungerà quello di Moody’s, Fitch e DBRS daranno il loro responso probabilmente il prossimo gennaio.
Al momento il rating del debito sovrano italiano è BBB per Standard & Poor’s, Baa2 con outlook negativo per Moody’s, BBB con outlook negativo per Fitch e BBB High per DBRS (il che — al di là delle metriche diverse utilizzate dalle due agenzie — vuol dire che il debito italiano è appena due livelli sopra i Junk Bond, i titoli spazzatura ad alto rischio, per le prime tre e tre livelli sopra per DBRS).
Ed è inutile dire che le aspettative non sono positive e ci si aspetta un declassamento che potrebbe scatenare un effetto domino irreversibile sulla distribuzione della mappa del potere italiano.
A fine agosto Fitch ha confermato il rating sull’Italia ma ha rivisto al ribasso l’outlook da «stabile» a «negativo». Subito dopo lo spread è schizzato a 293 punti.
Un segnale del fatto che i mercati (che siamo noi) potrebbero voltare pesantemente le spalle al governo dopo un declassamento.
Le agenzie di rating (che hanno una storia e una tradizione non esente da errori, anche clamorosi) preparano un declassamento che potrebbe avere effetti importanti: rischiamo la fuga dei grandi investitori, peraltro già iniziata da mesi, dall’acquisto dei nostri titoli di Stato.
Aumenterà lo spread, ovvero il differenziale di rendimento tra i Btp e Bund. In pratica per convincere gli investitori a continuare a prestarci i soldi dovremo alzare i tassi di interesse.
E non finisce qui. Nel 2019 si prevedono collocamenti per almeno un valore di circa 380 miliardi di euro.
Secondo le simulazioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio, con uno spread stabile a 300p unti base la spesa per interessi aumenterebbe di 9 miliardi (in pratica il reddito di cittadinanza) nel 2019 per superare i 13 miliardi nel 2020. Secondo Goldman Sachs invece la spesa per interessi potrebbe lievitare fino a 20 miliardi di euro; ovvero due redditi di cittadinanza.
Ma l’effetto più importante è quello sui BtP: la Banca Centrale Europea non può comprare titoli che le agenzie di rating valutano negativamente. Almeno una deve avere un giudizio positivo: se arrivasse un declassamento unanime, la BCE non potrebbe più acquistare BtP interrompendo il flusso di liquidità nel sistema bancario e dando il via a un ritorno del credit crunch. Con conseguenze disastrose sull’economia italiana.
Proprio per questo un aumento del rischio paese porta a catena effetti già conosciuti in un annus horribilis come il 2011, con l’esplosione dello spread e la conseguente caduta del governo Berlusconi.
Oggi siamo ancora sulla soglia di uno scenario come questo. Scrive Marco Panara su Repubblica Affari e Finanza oggi che se non si governa la complessità gli effetti collaterali possono essere anche molto gravi.
Per rimanere solo a quelli finanziari, il rischio è di spendere una cifra per realizzare le proprie politiche e il doppio per l’aumento dei tassi di interesse.
(da “NextQuotidiano“)
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