CON ZINGARETTI SI PUO’ PROVARE: SEGNALI DI APERTURA DEL M5S SULLA RELAZIONE DEL SEGRETARIO PD
I NODI CONTE, DI MAIO, RENZI
Il barometro degli umori in casa 5 stelle oscilla come fosse un orologio impazzito. A metà giornata la lancetta punta verso l’alto. Le cinque condizioni poste da Nicola Zingaretti e approvate per acclamazione alla direzione del Pd sono sembrate tutto sommato digeribili. Un uomo vicino a Luigi Di Maio si lascia prendere dall’emotività : “Sono il segnale che vogliono fare il Governo con noi”.
La situazione è assai più complessa. E l’ipotesi elezioni subito è ancora ben concreta all’orizzonte. Ma se queste sono le condizioni del segretario — il ragionamento che si fa in queste ore nella war room del capo politico — ci possiamo sedere a parlare. Sul fatto che questo dialogo dia frutti concreti l’aura di scetticismo avvolge ancora i vertici stellati.
I nodi di difficile districabilità sono tre. E portano i nomi di Giuseppe Conte, Matteo Renzi e dello stesso leader M5s.
Lo schema d’ingresso al momento prevede la sola blindatura del capo politico. “Di Maio è la guida del Movimento, il Pd non può pretendere che stia fuori, non possono dettare le condizioni”.
La blindatura del politico di Pomigliano è anche un modo per metterlo al riparo dalla bufera che lo sta lambendo in queste ore. Accettare un diktat per lasciarlo senza incarico ministeriale sarebbe interpretato internamente come un ulteriore segno di debolezza.
Ecco a cascata il secondo nodo.
Perchè i 5 stelle sanno perfettamente che al Nazareno non si accetterebbe un esecutivo con dentro anche Conte, troppo simile a una riedizione del Governo che fu con la Lega che esce e i Democratici che entrano.
L’avvocato del popolo italiano è il nome che ancora viene speso in queste ore, ma sul suo ruolo non si vede la stessa inflessibilità .
Un problema, dopo che il premier dimissionario si è accreditato davanti al paese come il baluardo dell’antisalvinismo, con una giornata a Palazzo Madama che gli ha fatto guadagnare un bel bottino di punti anche al di fuori del perimetro consolidato dei 5 stelle. La domanda sul che fare con Conte è al momento quella che più fa arrovellare i vertici. Perchè è chiaro che il presidente del Consiglio si sia ritagliato un ruolo importante nell’universo pentastellato, e non lo si può mettere in soffitta come se nulla fosse. Anche perchè il nome che più circola in queste ore, quello di Roberto Fico, fa storcere assai il naso al leader e agli uomini a lui più vicini.
Dai fattori esogeni a quelli endogeni. Il fattore MR sta agitando i sonni dei 5 stelle.
Uno iato profondo quello che segna la sofferenza del dover necessariamente far conto sul voto dei renziani, di voler a tutti i costi evitare nomi pesanti del renzismo in prima fila (a partire dal fu rottamatore, passando per Maria Elena Boschi e Luca Lotti), e di dover comunque inchiodare l’altro Matteo a palesi responsabilità in modo che gli sia difficile staccare la spina.
Nel mondo 5 stelle girano già i nomi di Luigi Marattin, Andrea Marcucci e soprattutto Graziano Delrio, come spendibili per una cosa giallorossa.
Legati a doppio filo al senatore di Rignano, ma non così esposti da creare coliche al mondo pentastellato.
Ce la farete? Risponde chi ha partecipato alle riunioni di questi giorni: “Difficile, dobbiamo prepararci al voto”.
Poco dopo richiama un altro: “Certo, non si può far altro che chiudere per minimizzare i danni”. Intanto ai piani alti ci si tutela.
Da Rousseau è partita questa mattina una mail, direzione parlamentari ritardatari: mettetevi in pari con le rendicontazioni, “in vista di eventuali elezioni e dei relativi controlli da farsi per le candidature”.
(da “Huffingtonpost”)
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