CRESCONO LE POSSIBILITA’ DI AVERE DRAGHI PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE UE, LE QUOTAZIONI DI VON DER LEYEN SONO IN CALO
MACRON VUOLE UN “PESO MASSIMO” PER FRONTEGGIARE LE SFIDE DELL’UE DEI PROSSIMI ANNI CONTRO PUTIN, XI JINPING E FORSE TRUMP … LA CARTA DRAGHI ANDREBBE BENE ANCHE A GIORGIA MELONI: EVITEREBBE UN NOME IMPOSTO DA FRANCIA, GERMANIA E POLONIA; AVREBBE UN “AMICO” CON CUI TRATTARE LA GESTIONE (CON EVENTUALE SLITTAMENTO) DEL PNRR, LA CORREZIONE DEI CONTI PUBBLICI ITALIANI E GLI IMPEGNI DA ASSUMERE CON BRUXELLES PER RIPORTARE IL DEFICIT E IL DEBITO SOTTO CONTROLLO
Confronti informali. Discussioni del tutto ufficiose. Ma concrete. Con tanto di nomi, opzioni e possibilità. La corsa alla presidenza della nuova Commissione europea è iniziata di fatto nell’ultima settimana. Non si tratta di uno “start” protocollare. Questo avverrà solo dopo le elezioni europee del 9 giugno. Ma le Cancellerie dell’Unione hanno iniziato in questi giorni a fare le prime valutazioni.
§Da Parigi a Berlino, da Vilnius a Bucarest le riflessioni sono sempre le stesse: per il piano alto di Palazzo Berlaymont non c’è solo Ursula von der Leyen. Sul tavolo c’è anche ’ipotesi di Mario Draghi. il nome dell’ex premier italiano è tornato ciclicamente. Il senso di queste prime discussioni si concentrava sull’idea che non si può arrivare a giugno pensando che i leader debbano confrontarsi solo su una candidatura.
Anzi, sul banco è stato messo un terzo nome: l’attuale presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola. Draghi, che ha sempre allontanato le indiscrezioni sul suo nome, ieri ha parlato dell’Europa da New York, dove ha ricevuto il prestigioso premio dell’American Academy in Berlin al Metropolitan Museum of Art. L’Ue, ha avvertito, deve affrontare sfide «senza precedenti» per preservare la sua prosperità e indipendenza e deve costruire il suo «futuro sull’unità». Perciò l’ex premier invoca una «politica economica estera» che rimuova le barriere e garantisca «le risorse a cui nessun Paese può accedere da solo». E la necessità di «aumentare la capacità di difesa».
Ma perchè l’opzione “draghiana” in Ue si è ripetuta in questi giorni? Le riflessioni fanno riferimento alla fase complicata che l’Unione deve affrontare. Il lavoro che sta compiendo l’ex presidente della Bce in relazione alla “competitività” dell’Ue, viene considerato una base fondamentale di un’eventuale piattaforma programmatica dei prossimi cinque anni. Draghi, insomma, viene valutato il migliore interprete per rimettere in sesto la prossima stagione economica del Vecchio Continente.
Il confronto con la Cina, ad esempio, viene giudicato fondamentale nel prossimo futuro e richiederebbe un “rappresentante europeo” in grado di interloquire da pari a pari con il leader cinese Xi. Stesso discorso per quanto riguarda il “rischio” che negli States venga eletto presidente Donald Trump e per il conflitto latente con la Russia di Putin. Un po’ tutti, poi, sono consapevoli che tra le sfide più urgenti ci sia il completamento del mercato unico dei capitali. Un settore su cui Draghi, proprio per la sua esperienza, viene ritenuto quello con più “skills”.
L’altro aspetto è strettamente politico. Macron alla fine dell’ultimo Consiglio europeo si era dichiarato contrario alla regola degli Spitzenkandidat (i candidati al vertice della Commissione) perché politicizzano troppo l’Istituzione. Un chiaro riferimento al fatto che non apprezzava la corsa di von der Leyen in qualità di “campionessa” del Ppe. L’inquilino dell’Eliseo parlava esplicitamente della necessità di un nome fuori dai partiti.
Nei contatti con Berlino, la Cancelleria ha ricordato che esiste un impegno formale a sostenere una presidenza tedesca. Ma se non ci fossero le condizioni nell’esecutivo “semaforo” di Scholz nessuno si straccerebbe le vesti per Ursula.
Le azioni della presidente uscente appaiono quindi in calo. Metsola ha due frecce pronte a scoccare dal suo arco. La prima riguarda il Ppe: i popolari saranno il primo gruppo anche nella prossima Eurocamera e reclameranno la poltrona più alta di palazzo Berlaymont. La seconda freccia è speculare all’identikit di Draghi: la soluzione potrebbe accontentare i governi che non puntano a una Commissione forte.
La prossima settimana si riunirà un Consiglio europeo e anche questo tema verrà informalmente trattato. Tra i nodi ci sono anche i tempi per l’elezione della presidenza della Commissione. Von der Leyen punta a chiudere tutto a luglio per evitare una “graticola” di due mesi. Le Cancellerie stanno già parlando di settembre per prendere tutto il tempo possibile al fine di maturare la decisione.
Non è più una suggestione, e neanche una possibilità: è una prospettiva solida, un piano B sempre più concreto da mettere in atto se le condizioni politiche lo consiglieranno. Giorgia Meloni potrebbe lanciare la candidatura di Mario Draghi alla guida delle istituzioni europee, senza attendere che lo facciano altri leader. Per mettere in sicurezza il Pnrr, gestire il rientro per deficit eccessivo e una fase straordinaria dettata da una minaccia militare alle porte dell’Europa.
Per indole, Meloni preferirebbe evitare una svolta così radicale, rimettendo al centro della scena una personalità di peso – per certi versi ingombrante – capace di smuovere gli equilibri congelati della politica italiana. Ritiene inoltre di aver imparato a conoscere la macchina continentale, giura di trovarsi a suo agio nel trattare in seno al Consiglio. In altri termini: preferirebbe non dover sentire parlare di un “ombrello” garantito a Roma da un italiano alla guida della Commissione.
E però, nelle ultime settimane sembrano aver preso il sopravvento altre valutazioni. La prima: con Draghi il rapporto continua a essere buono. i due si sono confrontati personalmente anche di recente. Sono le nuove condizioni politiche a Bruxelles, Parigi, Berlino e Varsavia a spingerla pragmaticamente verso questa novità.
Il precipitare delle quotazioni della candidatura di Ursula von der Leyen rappresenta il tassello da cui partire. Meloni aveva investito molto sulla politica tedesca, adesso ha cambiato rotta. Il 17 aprile, per dire, volerà in Tunisia: stavolta però senza la Presidente della Commissione (poi, a fine mese, si recherà anche in Arabia Saudita da Bin Salman, ma questa è un’altra storia). Perdere la scommessa su Ursula potrebbe costringerla all’isolamento dopo le Europee.
Il timore è che il formato di Weimar – che coinvolge Francia, Germania e Polonia – possa imporre il nuovo presidente della Commissione. Meloni potrebbe insomma ritrovarsi sul tavolo un’opzione decisa da altri, se non addirittura sgradita. Da queste riflessioni nasce la carta Draghi, per blindarsi. È ovvio, il voto del 9 giugno potrebbe sempre stravolgere questi calcoli, ma siccome i sondaggi spingono per un quadro da “maggioranza Ursula” (senza Ursula), la tentazione di Meloni diventa interesse politico.
È un’opzione che inevitabilmente rischia di deludere i big di FdI, che si contendono un posto da commissario europeo. Ma che invece potrebbe rasserenare Giancarlo Giorgetti: anche lui è tra i potenziali aspiranti a un portafoglio di peso a Bruxelles, ma potrebbe beneficiare di una promozione dell’ex banchiere. A lui lo lega un rapporto solido e un interesse concreto: evitare il fallimento del Pnrr e governare il rientro di Roma nei parametri Ue. Ecco, è questo un altro punto decisivo che spinge Meloni nella direzione di Draghi. Nelle ultime ore è emersa la richiesta italiana di prorogare di un anno, fino al 2027, l’attuazione del Recovery. È una proposta di cui si è fatto portavoce proprio Giorgetti, incontrando il fermo no dell’attuale Commissione.
La partita andrà gestita con la prossima. Uno slittamento del Pnrr, inoltre, renderebbe meno serrato il ritmo della correzione dei conti pubblici, che rappresenta l’altra vera ipoteca sul futuro del governo. Bisogna concordare con Bruxelles il Piano fiscale-strutturale di medio periodo, che dovrà essere pronto entro il 20 settembre: in quel testo – di fatto, la traduzione del nuovo Patto di Stabilità – saranno contenuti gli impegni che Roma sarà chiamata a rispettare per riportare il deficit e il debito sotto controllo.
E non potrà reggere a lungo l’alibi del superbonus utilizzato in un Def senza quadro programmatico per giustificare la risalita del debito. Meglio per Meloni trattare con Draghi che con un rigorista del Nord Europa. E lo stesso vale per la manovra 2025: senza risorse liberate da Bruxelles, la legge di bilancio rischia di ricorrere a tagli e tasse. Bisognerà combattere per ogni centimetro di flessibilità. Meglio farlo conoscendo l’interlocutore.
(da La Repubblica)
Leave a Reply