CUCCAGNA AMA A NETTURBINI E MANAGER: AUMENTI A PIOGGIA SENZA LAVORO IN PIU’
LA RAGGI PAGA LA MARCHETTA AL SINDACATO DI BASE CHE AVEVA VOTATO CINQUESTELLE
Nulla di nuovo sotto il cielo di Roma.
Passano gli anni, le giunte cambiano, ma l’Ama – la principale azienda di servizio pubblico insieme ad Atac – si conferma la mucca da mungere per una certa politica, che a dispetto di una città sempre più sporca continua a ingrassare le buste paga di dipendenti e manager pur di ingraziarsene il favore, a prescindere dai risultati.
Accade così che, dal primo gennaio, i netturbini della capitale guadagneranno di più – come da nuovo contratto nazionale di lavoro – ma senza dover spazzare neppure un minuto oltre le attuali 36 ore settimanali previste dal vecchio accordo.
Mentre i manager da 100mila euro in su, che due anni fa avevano subito una decurtazione media del 7%, sono già tornati a stipendio pieno perchè il taglio stabilito nel 2014 dall’ex presidente Daniele Fortini non è stato rinnovato.
Risultato? Nel primo caso Ama sborserà circa mezzo milione in più a produttività invariata; nel secondo caso, intorno ai 200mila euro.
Una cuccagna per l’esercito dell’Ama, mentre Roma annega tra i rifiuti.
Ma partiamo dall’inizio. Tutto avviene tra Natale e Capodanno, quando l’amministratore unico Antonella Giglio firma un ordine di servizio (il n.186) per informare i dipendenti che “la tempistica per l’applicazione” dell’aumento dell’orario di lavoro a 38 ore settimanali previsto “nel quadro del rinnovo del Ccnl Servizi Ambientali” è “stata oggetto di valutazione da parte del Comune di Roma”.
Il quale, insieme ad Ama, ha “ritenuto opportuno e necessario che l’avvio del nuovo orario venisse preceduto da una più approfondita fase di confronto che tenga conto di una riorganizzazione dei servizi “.
Si tratta, in sostanza, della traduzione dell’intesa siglata dalla Giglio con i sindacati il 23 dicembre. Giorno in cui l’avvocata, dopo aver estromesso il direttore generale Stefano Bina, decide di congelare fino al 28 febbraio – con una procedura del tutto inedita e a forte rischio di danno erariale – l’accordo nazionale firmato il 10 luglio scorso.
Accordo che prevede di allungare di due ore l’orario di lavoro settimanale (per un totale di 8 ore mensili in più) a fronte di un incremento salariale di 25 euro al mese, più una “una tantum” di 200 euro: 100 già corrisposti in estate, altri 100 a gennaio.
Il fatto è che a Roma, a differenza che nelle altre città , la produttività non è aumentata, ma gli stipendi sì.
Per un costo che, moltiplicando i 50 euro di gennaio e febbraio per i 7.900 lavoratori di Ama, fanno quasi 400mila euro: tanto vale il bimestre di stop.
Senza considerare gli 800mila euro della seconda tranche di “una tantum” che verrà pagata questo mese a titolo di arretrati.
Una mossa parecchio azzardata. Che regala un grande potere ai sindacati, i quali potranno ora trattare sui nuovi orari e sulla riorganizzazione aziendale da una posizione di forza, avendo già incassato lo scatto di stipendio. Frutto, anche, della guerra per bande che da mesi tiene in ostaggio la municipalizzata di Via Calderon della Barca.
Da una parte il dg Bina, esponente della cordata dei milanesi, che aveva iniziato la concertazione, proponendo di aggiungere 16 minuti alla fine di ogni turno di servizio; dall’altra, la cordata romana guidata dalla amministratrice Giglio (in squadra con l’ex assessora Paola Muraro e gli studi legali vicini alla sindaca Virginia Raggi) che ha deciso di prendere in mano la partita e di piegarsi al volere dei sindacati: in particolare la Usb, che tirò la volata al M5S in campagna elettorale, contribuendo all’elezione di un paio di consiglieri comunali.
È soprattutto con loro che la Giglio si è consultata per portare al termine il blitz sul blocco della produttività .
Un altro dazio pagato alla vittoria grillina in Campidoglio.
Ma non finisce qui.
Al danno si aggiunge infatti la beffa sull’aumento della retribuzione dei 15 superdirigenti dell’Ama. I quali, per due anni, hanno dovuto subire una sensibile riduzione degli stipendi: del 5% quelli superiori ai 100mila euro; del 10% quelli sopra i 150mila.
Un taglio deciso a giugno del 2014 dall’ex presidente Daniele Fortini, che valeva più di 100mila euro l’anno. Una volta scaduto l’accordo, Fortini stava lavorando per ripristinarlo. Ma poi la situazione è precipitata e lui, a settembre, è stato cacciato.
Con somma gioia dei manager Ama, la cui busta paga è tornata ai massimi. Scatenando la rivolta del segretario della Fp Cgil Natale Di Cola, che a novembre, in una lettera alla Giglio, ha chiesto “di intervenire in maniera marcata sui compensi dei dirigenti, spesso abnormi rispetto ai reali obiettivi raggiunti”.
Risposta? Nessuna.
Tanto Ama paga. E i romani pure.
(da “La Repubblica”)
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