DA TEL AVIV A MONTECITORIO: COTTARELLI SALUTA E RENZI PUO’ PIAZZARE IL SUO CONSIGLIERE ECONOMICO ISRAELIANO
I TAGLI SARANNO AFFIDATI A YORAM GUTGELD, ECONOMISTA EX MCKINSEY, UOMO DELLA FINANZA INTERNAZIONALE
«A luglio 2012 un amico mi ha presentato Matteo Renzi, che stava partendo con la sua campagna per le primarie, e ne è nato un rapporto molto intenso di collaborazione. Sei mesi dopo, ero a Siviglia con la famiglia per le vacanze di fine anno, Renzi mi ha chiamato: “Ti vuoi candidare?”, ho guardato mia moglie, che ha annuito, e ho detto sì».
Gutgeld è nato in Israele nel 1959 da una famiglia di ebrei polacchi, una famiglia di imprenditori delle costruzioni, con il bisnonno membro del Parlamento di Varsavia. Nel ’39, allo scoppio della guerra, metà è fuggita in Israele, dove il padre è diventato un avvocato di fama che contava tra i suoi clienti anche Moshe Dayan.
Università , con lauree in filosofia e matematica a Gerusalemme, e servizio militare in Israele (selezionato nella mitica Unit 8200, quella dei cervelloni, ha poi scelto di stare in un reparto normale per evitare cinque anni di servizio richiesti dalla Unit 8200).
Poi California University a Los Angeles, filosofia e business questa volta.
Ma non voleva vivere in America. «Sono venuto in Italia per uno stage estivo da McKinsey e ci sono rimasto». In Italia e in McKinsey, per 24 anni, fino a marzo del 2013, diventando senior partner e direttore, responsabile tra le altre cose della grande distribuzione a livello europeo e aprendo e dirigendo gli uffici di McKinsey in Israele. «Quell’anno siamo entrati in sei, tra i quali Vittorio Colao (oggi numero uno di Vodafone, ndr), con il quale siamo cresciuti e diventati partner insieme».
Gutgeld ha un piano, che sorridendo (le formule sono i tic dei consulenti internazionali) definisce «1+(4×30)».
Un piano da realizzare in cinque anni, una legislatura, quella che prima o poi verrà . Per il primo anno i soldi si trovano vendendo patrimonio dello Stato: «Cedendo le case popolari a prezzi convenienti per gli acquirenti e quotando per esempio Poste e Fs. Per gli anni successivi “ridurre la spesa pubblica di 30 miliardi in cinque anni; spostare 30 dei 70 miliardi che ogni anno lo Stato destina a investimenti e trasferimenti finalizzandoli alla realizzazione di piccole opere, quelle che creano più lavoro e fanno da volano alla crescita; recuperare, sempre nei 5 anni, 30 miliardi di evasione fiscale (come non lo dice) e trasformare in servizi 30 dei quasi 350 miliardi che gli l’Inps distribuisce in assegni».
Sulla spending review Gutgeld propone un metodo. «Essendo riuscito a ridurre da consulente del governo di Tel Aviv la spesa della difesa israeliana, la più efficiente del mondo, credo di sapere come si fa».
La sua ricetta è organizzata in cinque punti: «Il primo anno si deve studiare, elaborare un piano e condividerlo con le strutture. Un commissario può coordinare, ma il lavoro va fatto dentro i ministeri e richiede coinvolgimento. Il secondo punto è che si devono elaborare piani industriali dettagliati. Il terzo è procedere con leggi a ‘kilometro 0’, non si va da nessuna parte con leggi delega, alle quali seguono decreti legislativi, ai quali seguono regolamenti attuativi, ai quali seguono regolarmente contenziosi con i Tar, il Consiglio di Stato e la Corte Costituzionale: una volta fatto un piano esecutivo serio si deve partire subito con ‘leggi autoapplicative’ che non abbiano bisogno di passaggi ulteriori. Quarto, gli obiettivi devono essere misurabili e trasparenti, con un responsabile preciso, e non devono essere solo di taglio di costi ma anche di qualità dei servizi.”
Poi c’è tutto il resto: la creazione di un’industria del venture capital per le start up e l’innovazione, con l’utilizzo in una prima fase di matching fund pubblici (se il mercato crede in un progetto e lo finanzia per una certa cifra, lo Stato ci mette altrettanto); un grande piano nazionale per il turismo; la revisione della formazione e dei servizi per l’impiego; il rafforzamento dei fondi di garanzia per il finanziamento delle piccole e medie imprese. Il lavoro: «Oggi nella realtà c’è solo il precariato, dobbiamo impegnarci per creare un’alternativa che potrebbe essere quella delle tutele progressive”.
(da “La Repubblica“)
Leave a Reply