DIETRO LE ARMI, IL PIANO DI KIEV PER ARRIVARE ALLA PACE
PORTARE DALLA SUA PARTE PAESI ASIATICI E CINA
Nel momento forse più difficile della guerra, che sta per compiere due anni, Volodymyr Zelensky a Davos sceglie di parlare di pace. Una «pace giusta», da conquistare «per l’Ucraina, per l’Europa e per il mondo intero», proposta come obiettivo proprio nel momento in cui, mai come prima d’ora, gli ucraini e l’opinione pubblica internazionale hanno bisogno di una prospettiva. Dopo la controffensiva che i quasi tutti i commentatori concordano nel definire «fallita», e la «stanchezza» ammessa perfino in molte capitali occidentali alleate, rispetto a una guerra che non sembra mostrare sbocchi, il presidente ucraino ha colto il bisogno di un messaggio che, oltre a ricordare la tragedia quotidiana dell’Ucraina e la minaccia della Russia putinista, proponesse anche una soluzione. Che dovrebbe arrivare a una conferenza di pace che si terrà quest’anno in Svizzera, e che dovrebbe vedere la partecipazione di diversi leader mondiali che sottoscriveranno la “formula della pace” promossa da Kyiv.
In realtà, il negoziato sulla proposta di pace di Zelensky va avanti da mesi, ma il risultato è stato rivelato soltanto alla vigilia del vertice di Davos, quando più di 80 emissari di diversi governi hanno approvato il piano.
Le condizioni principali prevedono il ritiro completo delle truppe russe da tutti i territori ucraini, il pagamento del risarcimento per i danni e un processo sui crimini di guerra commessi dai militari di Mosca.
Tra le tappe intermedie, ci sono gli scambi di prigionieri, garanzie di sicurezza per i siti nucleari ucraini, un corridoio per l’esportazione di grano ucraino e soprattutto le condizioni dell’incolumità dell’Ucraina da eventuali nuove aggressioni.
Con l’aiuto cruciale dell’Europa, alla quale Zelensky propone una Ucraina partner e non solo vittima da assistere: «Rafforzate la nostra economia e noi rafforzeremo la vostra sicurezza», ha proposto ieri, un altro segno di una visione che guarda a un dopo-guerra.
Un progetto condiviso e condivisibile, che però appare attualmente irrealizzabile, se non altro perché Vladimir Putin non ha nessuna intenzione di mettere in discussione i territori ucraini che considera già annessi. Spera di tornare all’offensiva, e scommette su un’Ucraina esausta e un Occidente diviso. Il piano di Zelensky infatti consiste nel creare una coalizione internazionale abbastanza larga da mettere il Cremlino di fronte alla necessità di considerare i rischi di un isolamento. Per questo, i diplomatici di Kyiv hanno dedicato particolare impegno a coinvolgere nella «formula della pace» i Paesi arabi e asiatici, sperando soprattutto nell’adesione della Cina e dell’India. Che non si sono presentate all’ultimo incontro tra gli ucraini e gli emissari del «Sud del mondo», ma che per ora non sembrano intenzionate nemmeno a schierarsi esplicitamente a fianco della Russia. Almeno fino a che non la vedranno chiaramente prevalere, e legalizzare le sue conquiste territoriali in un precedente che molti altri regimi stanno aspettando impazienti.
Il problema della diplomazia della pace è proprio questo: le sue prospettive dipendono da quello che accade sul terreno della guerra.
Un paradosso che a Davos è stato spiegato stavolta non da Zelensky – che ha preferito non ripetere le richieste di aiuti militari, limitandosi a ricordare che «i partner hanno la lista di quello che serve» – ma dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg: «Più saremo credibili con il nostro sostegno militare all’Ucraina, più è probabile un successo della diplomazia».
(da La Stampa)
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