“DIFFICILE FAR POLITICA, SE SI CEDE AL POTENTE FINO AD UMILIARSI”: ROMANO PRODI RIFILA STAFFILATE A URSULA PER LA CAPITOLAZIONE CON TRUMP SUI DAZI
“NEGLI ULTIMI 20 ANNI LA COMMISSIONE HA PERSO POTERE IN MODO VERTICALE, MA C’È MODO E MODO DI AFFRONTARE UNA TRATTATIVA COSÌ DURA. E PER DEFINIRE IL MODO SBAGLIATO DI AFFRONTARLA, NON USEREI UN TERMINE INGLESE MA UN DETTO CALABRESE: “CHI PECORA SI FA, IL LUPO SE LO MANGIA”
Nel gran tumulto sui dazi, di ora in ora i commenti sul “cedimento” europeo si fanno sempre più fiammeggianti e dal suo ritiro di Bebbio Romano Prodi racconta di aver ripensato ad una vicenda dimenticata ma a suo tempo assai rilevante: «Uno degli ultimi atti della Commissione da me presieduta fu la multa di 497,2 milioni di euro ad un’impresa di grande rilevanza come Microsoft per violazione delle leggi europee sulla concorrenza».
Una multa di una entità senza precedenti, la più alta mai comminata ad un’impresa privata. In quella occasione, – a parere di Prodi – «gettammo, assieme a Mario Monti, le basi per una dottrina e una prassi antitrust, ma se penso a quanto è accaduto dopo e fino ai giorni nostri dico: quanti passi indietro abbiamo fatto!». Un passato “grintoso” e un presente segnato dalla sconfitta sui dazi, una striscia che Prodi sintetizza così: «Difficile far politica, se si cede al potente fino ad umiliarsi».
In tempi di memoria sempre più corta, la vicenda di Microsoft potrebbe apparire un frammento lontano e invece si trattò di una storia esemplare che avrebbe potuto fare scuola e nella qual
l’Europa si mostrò un soggetto politico capace di far rispettare regole severe ad una impresa potentissima che aveva le radici nel Paese più importante del mondo.
Ricorda Prodi: «Realizzammo una operazione ben congegnata, che scattò all’ultimo momento. Dissi che data la delicatezza politica del tema concorrenza e la complessità tecnica della materia, serviva un commissario competente e Monti era decisamente il più competente. Come dimostrò con evidenza nel suo mandato».
Ma l’istruttoria su Microsoft si rivelò ricca di difficoltà e ripercorsa oggi appare assai interessante perché è l’ultimo segnale di resistenza, perché precede di poco il cambiamento radicale della dottrina antitrust negli Stati Uniti, una dottrina che ha spianato la strada ad un mercato nel quale cinque società dominano intere filiere di business, buona parte della capitalizzazione della Borsa americana e in Europa godono di un regime fiscale a dir poco vantaggioso. Difeso a tutti i costi dal presidente Trump.
Allora le indagini della Commissione europea su Microsoft durarono ben 5 anni e nel marzo 2004 Mario Monti annunciò che l’azienda aveva violato le leggi europee sulla concorrenza e aveva approfittato del suo quasi-monopolio nel mercato dei sistemi operativi per rafforzarsi anche su altri mercati.
La tenacia e la competenza di colui che “Economist” aveva battezzato come “SuperMario” fu messa a dura prova dalla strategia negoziale di Microsoft che dopo aver presentato ricorso
alla Corte di prima istanza del Lussemburgo, provò a tutti i costi ad evitare la sanzione: pochi giorni prima del verdetto l’amministratore delegato dell’azienda aveva presentato una proposta assai allettante e come ha scritto di recente Monti a quel punto,
«la soluzione a basso rischio, quella che avrebbe comportato applausi da tutta la stampa, dai governi e dalle imprese, sarebbe stata accettare», tanto più che «un’azienda della portata di Microsoft poteva attivare sulla Commissione una efficace rete di influenza e pressione: dalla Nato alla polizia irlandese, dal ministero degli Interni tedesco all’esercito francese».
Ricorda Prodi: «All’interno della Commissione avevamo fatto una disamina molto profonda della questione sulla base dell’istruttoria opportunamente pignola di Monti e alla fine convenimmo di dare seguito alle norme antitrust che derivavano da una dottrina di scuola americana».
La proposta di mediazione di Microsoft venne lasciata cadere e i Tribunali dettero ragione alla Commissione.
Il rammarico di Prodi semmai è un altro: «In quella vicenda tenemmo duro, perché mia convinzione era che se non mettevamo un freno agli aspetti patologici della concorrenza, non avremmo avuto una vera concorrenza. Dobbiamo prendere atto che i passi avanti fatti allora non si sono più ripetuti, tanto è vero che di recente l’Europa non è riuscita ad imporre quel minimo di giusta imposta ai grandi oligopolisti».
Ovviamente lo smottamento nella trattativa sui dazi importi dal
presidente degli Stati Uniti ha tante ragioni e Romano Prodi, da ex presidente della Commissione ed ex capo del governo italiano, fa due osservazioni strutturali.
«Da una parte c’è da dire che negli ultimi 20 anni la Commissione ha perso potere in modo verticale, ma in ogni caso c’è modo e modo di affrontare una trattativa così dura. E per definire il modo sbagliato di affrontarla, non userei un termine inglese ma un detto calabrese: “chi pecora si fa, il lupo se lo mangia”».
(da agenzie)
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