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DOPO TRE ANNI DI FANFARE, UNA MELONI IN COSÌ TOTALE DIFFICOLTÀ NON S’ERA MAI VISTA: È FINITA NEL TRITACARNE, FATTA A PEZZI NON SOLO DALL’OPPOSIZIONE MA DA TUTTI: PER CONFINDUSTRIA, COLDIRETTI, FEDERACCIAI, CISL “L’ACCORDO CON TRUMP È UNA CAZZATA”

FUORI CASA, IL DILUVIO: LA ”GIORGIA DEI DUE MONDI” È STATA RIDICOLIZZATA PURE A DESTRA DAL LEPENISTA BARDELLA ALL’ANTI-UE, ORBAN… QUANDO IL SUO ALLEATO TRATTATIVISTA MERZ HA RINCULATO, LA “PONTIERA” (SENZA PONTE) E’ FINITA DA SOLA, COL CERINO IN MANO, A DIFENDERE URSULA

Negli ultimi tre anni di governo una Giorgia Meloni in così totale difficoltà politica non si era mai vista.
Per essere coerente al suo atteggiamento da “pontiera” Usa-Ue e alla sua posizione favorevole alla trattativa in ginocchio di Ursula con il boss della Casa Bianca, è finita nel tritacarne, fatta letteralmente a pezzi non solo dall’opposizione del Pd (che ha
pur votato Ursula alla presidenza della Commissione) ma da tutti, alleati compresi: per Confindustria, Coldiretti, Cisl, eccetera, “L’accordo con Trump è una cazzata”.
Fuori casa, per la ”Giorgia dei Due Mondi” è andata ancora peggio. Se il primo ministro François Bayrou ha dettato, a muso duro: “È un giorno buio quando un’alleanza di popoli liberi, uniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi”, la più trattativista dell’Unione europea ha balbettato: “Giudico positivamente il fatto che si sia raggiunto un accordo, ho sempre pensato e continuo a pensare che un’escalation commerciale tra Europa e Stati Uniti avrebbe avuto conseguenze imprevedibili e potenzialmente devastanti”.
Ironia della sorte, l’Amica Immaginaria di Trump che all’inizio aveva assicurato un finale zero a zero, quando poi è arrivato il 10% ha farfugliato che era “sopportabile”, arrivata la mannaia del 15% è stata ridicolizzata pure a destra dal presidente del Rassemblement National, il lepenista Jordan Bardella (“Il metodo di Trump è brutale”), in tandem con il tenero orco anti-Ue e filo-Putin, Viktor Orbán: “Donald Trump non ha raggiunto un accordo con Ursula von der Leyen, ma piuttosto si è mangiato la presidente della Commissione europea per colazione”.
Con il suo tradizionale camaleontismo, l’Underdog ha provato a fare la solita ”para-guru”, buttando la palla in tribuna per prendere tempo e non mettere la faccia sull’umiliazione europea (“Base sostenibile, giudico positivamente il fatto che si sia raggiunto, ma bisogna andare nei dettagli”).
Ciao core! i calcoli degli economisti parlano chiaro: le tariffe di
Trump avranno un impatto negativo sul Pil italiano tra l’0,3% e lo 0,5%, senza contare che nel 2026, ultimo anno in cui l’Italia riceverà i miliardi del Pnrr dall’Europa, le rate verranno erogate da Bruxelles in base dello stato di avanzamento dei lavori, già in cronico ritardo.
Inoltre, quando i cervelloni intorno alla Meloni hanno ipotizzato di usare i fondi del Pnrr per sostenere le imprese colpite dai dazi, da Bruxelles è arrivato un niet perentorio per ricordare che quegli stanziamenti, decisi durante il periodo pandemico, vanno utilizzati per gli investimenti e non per i sussidi.
Se le difficoltà della Ducetta in campo economico fanno rizzare i suoi boccoli, sul piano politico è meglio lasciar perdere: il suo sogno di democristianizzarsi agganciando Fratelli d’Italia al Partito Popolare Europeo, gruppo di maggioranza che sostiene la maggioranza Ursula, si allontana sempre più perché è venuto a mancare il suo compagno di viaggio filo-Trump, Friedrich Merz.
La “Thatcher del Colle Oppio”, la più trattativista dell’Unione per evitare “una guerra commerciale con gli Stati Uniti”, aveva infatti trovato una spalla nel cancelliere tedesco, ambedue in netta contrapposizione alla linea dura di Macron contro Trump.
Merz, bisognoso di tutelare l’automotive tedesco, si era illuso di ammorbidire Trump con un atteggiamento meloniano, convinto di chiudere l’accordo con dazi al 10%.
Quando il tycoon col ciuffo ha inviato all’Unione europea una lettera-ultimatum, minacciando tariffe al 30%, lo stesso cancelliere si è trovato col culo per terra. Il metodo “shock and awe” (colpisci e terrorizza) usato da Trump contro l’Europa ha
certificato la totale inaffidabilità del presidente americano. A quel punto, Merz ha iniziato a sudare freddo.
Pur detestando da sempre la cocca di Angela Merkel, sua rivale di partito nella Cdu e nel Ppe, Merz si è appoggiato alla spalla dela “pontiera” (senza ponte) sperando nel buon lavoro del commissario al commercio Maros Sefcovic, per ricondurre a miti consigli l’intransigenza di Trump.
Davanti all’arroganza gangeristica del Caligola di Mar-a-Lago, ha dovuto rinculare riconoscendo che la linea dura di Macron aveva un senso: alla lettera-minatoria del 30%, il presidente francese era dell’avviso di agire subito con una controffensiva uguale e contraria, compresa la minaccia di mettere sul mercato i titoli del debito pubblico degli Stati Uniti che hanno in pancia i 27 paesi dell’Unione
Come ha ben dimostrato la Cina, l’unico modo per trattare da pari con gli Usa è mostrare i muscoli: più si accondiscende alle pretese del Padrino della Casa Bianca, più quello alza il prezzo.
Il risultato finale, con le tariffe al 15%, ha spiazzato Merz e lo ha messo nei guai, perché in Germania l’accordo è stato accolto come un disastro annunciato. I quotidiani tedeschi, con la vendutissima ”Bild” in testa, hanno sparato a zero contro l’intesa Ue-Usa, la Confindustria di Germania ha tuonato (“Oggi non è un buon giorno per l’economia”).
Il presidente della Federazione auto tedesca, Hildegard Müller, ha dichiarato che “i dazi del 15% costeranno miliardi alle case automobilistiche”. Come puntualizza Giuseppe Sarcina sul “Corriere della Sera”: “D’accordo, ma le medesime ‘case
automobilistiche’ sono state il tormento di Berlino e di Bruxelles: fate in fretta, troviamo un compromesso con Washington. Per altro il settore auto è il solo che abbia contenuto i danni: il dazio passerà dal 27,5% al 15%”.
Ma il peggio è esploso nella stessa maggioranza che sostiene il governo di coalizione di Merz: i socialdemocratici della Spd e i Verdi hanno parlato di accordo capestro. Davanti a una tale rivolta collettiva (l’unico silente il presidente del PPE, Manfred Weber), che non sa come schierarsi, anche il cancelliere, che si è posto da subito come il più dialogante (dopo Meloni) con gli Stati Uniti, ha dovuto ammettere che l’accordo produrrà “danni sostanziali” all’economia europea, balbettando che “non si poteva ottenere di più”.
Il passo indietro di Merz, terrorizzato dai possibili contraccolpi alla sua maggioranza, ha lasciato Giorgia Meloni da sola, in prima fila, col cerino in mano, a difendere Ursula von der Leyen violentata dal cetriolo di Trump, con tutti i leader degli altri paesi a gridare che ”l’Unione Europea deve cambiare”.
D’accordo, ma come? Più Bruxelles, con un’Unione libera dai lacci dell’unanimità e coesa sulla difesa e regime fiscale, come vuole il centro-sinistra, o meno Bruxelles, come propugna il centro-destra? Boh…
La povera Ursula è il capro espiatorio che deve ascoltare le voci discordanti e confliggenti di 27 paesi ed è finita alle corde. Ma sa benissimo che rimarrà al suo posto, una alternativa non c’è perché, da Macron a Merz, hanno tutti paura che, fatta fuori la von der Leyen, la destra dei ”patrioti” conquisti Bruxelles
Per fare tombola, Marcello Sorgi su “La Stampa” aggiunge: “C’è chi osserva che nulla garantisce dal fatto che Trump, magari tra due mesi, non rimetta tutto in discussione: è possibile, anche se il presidente Usa sa bene di essere uscito bene dall’intesa. Ma forse è anche per questo se Meloni si è guardata bene dal rivendicare la sua amicizia con Trump e mettere le mani su una trattativa che anche adesso che è conclusa odora ancora di dinamite”.
( da Dagoreport)

This entry was posted on mercoledì, Luglio 30th, 2025 at 20:31 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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