DROGA E SESSO: IL “NUOVO PIL†EVITA AL GOVERNO LA MANOVRA
COI CRITERI STATISTICI VOLUTI DALLA UE IL PRODOTTO DAL 2011 RISULTA PIÙ RICCO DI 60 MILIARDI L’ANNO, IL DOPPIO DELLE STIME… RISULTATO: NON SFOREREMO IL 3%
Dio benedica l’Istat e il nuovo metodo europeo di calcolo del Pil (il cosiddetto Sec 2010), quello che conteggia le attività illegali come droga e prostituzione e, tra l’altro, inserisce i costi di ricerca e sviluppo tra gli investimenti.
Se Matteo Renzi non l’ha pensato è un ingrato: aveva detto che sarebbe stata “robetta” — e gli esperti parlavano di una revisione al rialzo tra l’1 e il 2% — e invece dai dati diffusi ieri il Prodotto italiano nel 2013 coi nuovi metodi di calcolo è risultato più grande di 58,8 miliardi, cioè del 3,8% rispetto a prima (stesse grandezze, all’ingrosso, per il 2011 e 2012).
L’effetto è benefico pure per i conti pubblici, ovviamente: il debito dello Stato al 31 dicembre scorso, ad esempio, cala in rapporto al Pil di oltre quattro punti e mezzo (al 127,9% invece che 132,6); il deficit migliora di 0,2 punti e passa dal 3% al 2,8.
Ovviamente non cambia niente, non siamo davvero più ricchi e come vedremo la recessione è tutt’altro che finita, ma per il governo è un’ottima notizia.
Il Tesoro, infatti, sta riscrivendo il Documento di economia e finanza (Def) proprio coi nuovi criteri statistici e l’effetto sui numeri — anche se per il 2014 non ufficiali — dovrebbero essere gli stessi: lo dice la serie storica Istat col nuovo calcolo (l’aumento nominale è sempre attorno ai 60 miliardi) e alcune indiscrezioni parlamentari.
La cosa non è senza effetti per la vita travagliata di Pier Carlo Padoan e del suo premier: significa che per il 2014 — nonostante il peggioramento del quadro generale — probabilmente non sarà necessaria una manovra per restare sotto il 3% nel rapporto deficit/Pil (non che Renzi avesse intenzione di farla comunque il Sec 2010 gli regalerà almeno uno 0,2%, tre miliardi e un po’) e una bella mano potrebbe arrivare anche sul 2015.
Tradotto: se vuole confermare gli 80 euro, il taglio dell’Irap e tutte le altre cosette annunciate (a partire dai nuovi ammortizzatori sociali post-Cassa integrazione) deve tagliare sempre 20 miliardi nel 2015 come promesso, ma almeno non farà fatica a tenersi lontano dal rispetto dei parametri di Maastricht (dando per scontato che le previsioni del Fiscal compact, tipo il pareggio di bilancio, rimarranno solo sulla carta intestata di Bruxelles).
I motivi per gioire, però, finiscono qui.
Per quanto attesi, al ministero dell’Economia hanno guardato con terrore ai dati pubblicati ieri (l’Istat dà e l’Istat toglie) sull’industria italiana: il fatturato del settore, a luglio, ha fatto registrare un calo dell’1%, che contribuisce a produrre un calo cumulato per i primi sette mesi dell’anno dell’1,3; sempre a luglio anche gli ordinativi sono risultati in discesa (per il terzo mese di fila) di un rilevante -1,5% con un risultato negativo su base annua 0,7.
Numeri che certificano, anche solo intuitivamente, che il Pil italiano cresce solo grazie ai nuovi metodi statistici, mentre nella realtà la situazione è persino peggiore di quella che l’opinione pubblica e la politica sembrano percepire.
Questi due numeri sono infatti assai più preoccupanti nel momento in cui si scende nei dettagli.
La prima notazione, e forse la più importante, è che tanto il fatturato che le commesse calano sia in Italia che all’estero: il buon andamento delle esportazioni, finora, era l’unica notizia positiva sull’economia italiana di questi ultimi anni. Ora anche la domanda estera crolla.
Il secondo dato notevole è che la dinamica degli ordini all’industria è considerato un dato spia, nel senso che è capace di anticipare l’andamento del ciclo di sei-otto mesi: ebbene quell’indice è in calo da tre mesi.
Spiega Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma, il centro studi fondato da Romano Prodi: “Il dato Istat sul fatturato di luglio è in linea con quello, già noto, relativo alla produzione industriale. Inoltre non è solo il mercato interno a flettere: anche quello estero si è indebolito durante l’estate. Più preoccupante è l’informazione sugli ordinativi che prefigurano la tendenza futura”, prosegue De Nardis: “Il calo rilevato in luglio segnala la prosecuzione della fase negativa sul mercato interno e — ancor più — su quello estero.
Questi indicatori sembrano puntare a un terzo trimestre peggiore del secondo.
Essi ci dicono inoltre che la recessione, iniziata a metà 2011, non si è mai interrotta”. E ancora — c’è da aggiungere — non si sono manifestati appieno gli effetti delle sanzioni economiche alla Russia, paese in cui esportiamo abbastanza.
A questo punto bisogna solo capire se arriveranno prima le elezioni o il brusco risveglio degli italiani.
Marco Palombi
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