E ALLA FINE COSTRETTI IN GINOCCHIO A IMPLORARE MATTARELLA DI RESTARE: SALVINI DISTRUTTO, MOLLATO DA BERLUSCONI, MELONI E CENTRISTI
NEL POMERIGGIO VOTO PLEBISCITARIO PER MATTARELLA… ORA QUALCUNO CITOFONI A SALVINI: “STA QUI IL CAZZARO?“
Tutte le strade portano a Mattarella. Tramontati i nomi impresentabili della prima ora (vedi alla voce Berlusconi), fallite le prove muscolari di Salvini, abortite le fughe in avanti di Conte, frustrato ogni tentativo di mediazione, quello che resta sul campo di battaglia è un nome solo, quello di sempre: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
L’unico nome capace di mettere d’accordo tutti. O quasi.
L’unico profilo a cui nessuno può dire di no, assieme a Draghi, che però è prigioniero paradossalmente di se stesso e di uno scranno che non può abbandonare senza terremoti politici.
In un Parlamento mai così lacerato e spaccato a metà, in uno scenario in cui nessun schieramento (figuriamoci partito) può vantare una maggioranza assoluta, i candidati di parte e di bandiera finiscono per diventare carne da macello in pasto non solo agli avversari ma anche ai franchi tiratori, come l’operazione Casellati ha messo a nudo in modo fin troppo chiaro.
Stesso destino quello toccato a Elisabetta Belloni, finita nel tritacarne mediatico in seguito a un doppio, improvvido, annuncio di Conte e Salvini, in una triste riedizione del governo gialloverde durata il tempo di un’edizione del telegiornale e impallinata prima ancora di arrivare in aula dai niet di Renzi, Berlusconi e larga parte del Pd.
Più protetto ma egualmente all’angolo Casini, che piace a Italia Viva, Forza Italia, è digerito a denti stretti dal Partito Democratico, ma paga il veto incrociato di Lega e 5 Stelle.
Le condizioni poste da Mattarella (e da Draghi) per ripensarci
In questo scenario da guerra di logoramento, in cui le forze politiche si barricano nelle trincee e ogni tentativo di rompere gli schemi finisce impallinato nel giro di poche ore, ogni ora che passa si fa più concreto il nome di Sergio Mattarella, che non a caso, ad ogni votazione, vede crescere il suo consenso spontaneo, fino ai 336 voti che lo hanno spinto ieri sera al sesto scrutinio. Quasi un’acclamazione popolare che i partiti non possono più permettersi di ignorare. A due condizioni, però. Inderogabili.
La prima. Che Mattarella sia rieletto con un’ampissima maggioranza, superiore ai 661 voti con cui è stato eletto nel 2015 e in linea con l’attuale maggioranza di governo, vincolo, quest’ultimo, posto dal Presidente del Consiglio Mario Draghi per garantire la tenuta del governo.
Due. Che, se elezione dev’essere, non sia a tempo, a scadenza, né sottoposta a pressione alcuna da parte delle forze politiche. Non sarà, per intenderci, una riedizione del Napolitano bis.
Difficile capire i tempi, anche se i rumors parlamentari parlano già di proclamazione al secondo scrutinio di oggi, intorno alle 19.30. Massimo alla prima votazione di domani. Un gran sacrificio di Mattarella, sempre più l’uomo della Provvidenza.
Salvini, dopo anni trascorsi a delegittimare ogni modo il Capo dello Stato, fiutando l’aria che tira, si è già portato avanti e poco fa ha cinguettato: “Se sono tutti no, allora val la pena dire Mattarella ripensaci”, mentre Giorgia Meloni avrà tutto sommato gioco facile nell’elettoralistica parte della barricadera tenacemente all’opposizione.
Il tutto mentre Casini sul suo profilo Instagram ha scritto un eloquente: “Prima di noi viene l’Italia”, con tanto di tricolore che assomiglia tanto a una bandiera bianca. L’ultimo tassello che mancava a un puzzle che si sta ricomponendo a gran velocità di ora in ora, fino all’epilogo finale, forse l’unico che è mai stato veramente possibile.
(da NetQuotidiano)
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