E L’ENGLISH-MACCARONI DI RENZI IMBARAZZA NEW YORK
ACCENTO ITALIANO, STRAFALCIONI E RITMO NOSTRANO: “IO SONO PRENDERE FORMA CULO DEL MIO FUTURO”
“Per favore cancellate la registrazione, il mio inglese è terribile. Togliete l’audio e mettete dei sottotitoli”. Così scherzava Matteo Renzi durante l’incontro al Council on Foreign Relations di New York.
Dove mercoledì si è esibito in un’ora di discorso in inglese, rigorosamente a braccio. Costruzione all’italiana, gestualità forte ed esibita, battute su battute: per uno consapevole di non parlar bene una lingua straniera, il premier non è si è lasciato scoraggiare. Anzi.
Tra ricerca della frase ad effetto e costruzioni arzigogolate anzichè no, ha alzato il tiro della sfida.
Pazienza, per gli strafalcioni. Pure eclatanti.
Tipo “date” (che in inglese significherebbe appuntamento) per dire “dato”.
Oppure “create a climate”. Tecnicamente “creare un clima”, nel senso di atmosferico, e non un’atmosfera, come voleva dire lui (e infatti poi, consapevole dell’errore, si è lanciato in una lunga perifrasi).
Però, per prevenire critiche e attacchi, ha messo le mani avanti.
D’altra parte, il suo inglese è talmente maccheronico che i video online sono diventati delle hit e le prese in giro si sprecano.
Un sito – vice.com   – è arrivato a proporre la traduzione letterale di alcuni passaggi scelti: “Ma la sfida per il mio governo è amore il nostro futuro” (voleva dire “amore per il nostro futuro”).
E subito di seguito: “Io sono prendere forma culo del mio futuro” (voleva dire “sono geloso del mio futuro”).
Oppure quando dice “uno Stato di guerra (“werfar state”), invece di stato sociale (“che sarebbe “welfare state”).
Ieri online impazzavano pure i video, in cui lui sbagliava le cifre: 90 43 al posto di 943.
E poi, le pause, le ricerche dei vocaboli, i plurali al singolare. “Come si dice acciaio? Come si dice siderurgia? ”.
E gli aggettivi italianizzati, tipo “simpli” intendendo “simple” (semplice). Ma non fa niente.
La risposta ancora una volta l’ha data lui, visitando una scuola italiana a San Francisco: “I don’t speak English, I speak Globish” (“Non parlo inglese, parlo globale”, più o meno).
A sentire le nuove tendenze della linguistica pare che abbia ragione.
Enrico Grazzi, che insegna Lingua inglese all’Università di Roma Tre, spiega: “Usa l’inglese come lingua franca”. Ovvero? “Non è l’inglese di un parlante nativo. Ma va detto che ormai il numero di parlanti non nativi supera i nativi. Questo vuol dire che ciascuno porta dentro l’inglese la propria identità nazionale, la propria provenienza.
Insomma, “non ci sono problemi tali da compromettere la comprensione del discorso”. Sembrerebbe che pure nell’eloquio inglese il premier rispecchi lo spirito dei tempi, rispettando il suo stile: approssimativo, magari, ma efficace.
Da un presidente del Consiglio non sarebbe il caso di aspettarsi di più?
Per esempio Monti o Letta davvero sembravano bilingue. “Ci sono stati premier che non erano in grado di parlare senza interpreti. Lui un’ora l’ha retta tutta”, dice Grazzi. E poi, “capita anche agli inglesi di fare errori nell’espressione orale”. Come agli italiani d’altronde.
Ieri parlando all’Onu, lo stesso Renzi ha detto “palestiniani” invece di “palestinesi”. Cose che capitano. La filosofia è sempre la stessa: gettare il cuore oltre l’ostacolo e fare quel che si può con i mezzi che si hanno. Anche con l’inglese.
Quando venne Obama in Italia, durante la conferenza stampa il premier si limitò a fare un’introduzione in inglese e poi parlò in italiano.
Evidentemente preferiva non esporsi allora. Però, in genere ci prova sempre.
A Tunisi, durante il primo viaggio internazionale, lingua ufficiale il francese, come prima tappa si trovò in un caffè di Sidi bou Said a parlare con 5 ragazze protagoniste della primavera araba.
Pochi minuti, in cui il concetto che voleva trasmettere era “insegnateci a fare la rivoluzione”.
Quando gli sfuggiva il vocabolo si rifugiava in un à§a va sans dire.
Accanto a lui Graziano Delrio lo guardava un po’ ammirato un po’ perplesso. Commentò poi: “Lui è uno che si butta. Si butta in tutto”.
Wanda Marra
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