EATALY, L’AMICO DI RENZI E LE ETICHETTE “INGANNEVOLI”
DOSSIER DEL CODACONS SUI PRODOTTI DELLO STORE DI OSCAR FARINETTI ALL’OSTIENSE…SOTTO ACCUSA TRENTA CAMPIONI
Il diavolo si nasconde nei dettagli. In questo caso, nelle indicazioni scritte sulle etichette di alcuni prodotti.
Alimenti segnalati come «made in Italy» che dovrebbero garantire un’eccellenza internazionale rispetto ad altri, oppure cibi biologici, per i quali è necessario specificare luogo di provenienza e di produzione e relativa autorizzazione.
Spesso, invece, le indicazioni sono fallaci, imprecise, vaghe o, addirittura, false.
E così violano la legge. Accadrebbe anche in esercizi commerciali che si basano proprio sul binomio «fatto in Italia-uguale-di qualità », come la «Coop» e «Eataly».
Almeno, è quello che denuncia il Codacons, che ha depositato una querela con istanza di sequestro ai carabinieri del Nas, al ministro della Salute e alle procure di Roma, Asti, Bologna e Milano.
Nel documento si punta l’indice contro Eataly di piazzale XII Ottobre, aperta nel 2012 dall’imprenditore «renziano» Oscar Farinetti, la Coop di via Cornelia e Carrefour di piazzale degli Eroi, tutte nella Capitale.
Gli «inviati» dell’associazione per la difesa dei consumatori, effettuati i debiti controlli, avrebbero accertato che nei tre «negozi» vengono «venduti prodotti alimentari la cui etichettatura e presentazione grafica è fortemente incentrata sulla garanzia di elevata qualità , connessa alla pretesa origine tutta genuinamente italiana e locale».
Ma, in alcuni casi, manca il «riferimento esplicito circa la quantità e le percentuali contenute nel prodotto».
Ciò «costituisce una pratica scorretta», che «ghermisce la buona fede del consumatore».
Facciamo qualche esempio, e partiamo dalla struttura aperta nel 2012 all’Ostiense.
Gli «ispettori» del Codacons sono andati a fare le pulci a yougurt e latticini del bancone frigo di Eataly.
Sui cartelloni si legge: «A km zero». Il che implicherebbe che provengono da aziende vicine a Roma o, tuttalpiù, all’interno della regione.
Invece, segnala il rapporto-denuncia, il frigo contiene anche alimenti come il pesto e «la maggior parte degli yogurt sono prodotti e confezionati nel Trentino o in altri luoghi distanti dal Lazio».
Altro esempio: il latte «Marini» e il pane biologico.
Il Codacons segnala le «irregolarità » all’azienda e, per conoscenza, ai servizi veterinari della Asl di Viterbo. La prima non risponde. La seconda, il 28 maggio 2013, comunica che «a seguito di dovuti controlli era stata disposta la sospensione della produzione, della registrazione regionale e la distruzione di alcune partite» del suddetto latte. Il 30 maggio, inoltre, i Nas fanno sapere di aver «sottoposto a sequestro cautelare i prodotti lattiero-caseari venduti e pubblicizzati dall’azienda».
A questo punto, il 10 giungo e il primo luglio, il Codacons scrive di nuovo a Eataly, «chiedendo di sospendere la distribuzione» del latte.
E ancora: il 23 luglio l’associazione contesta 30 prodotti presi a campione sugli scaffali dello «store» dell’Ostiense e l’azienda promette di «modificare le etichette palesemente ingannevoli, compresa quella del latte Marini». Non solo.
Il 13 settembre sotto i riflettori del Codacons finiscono altri 40 prodotti presi a campione, in cui si rilevano «gravissimi profili di ingannevolezza e frode della etichettatura». L’associazione si rivolge anche all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e a quella per le Garanzie nelle comunicazioni, chiedendo controlli e la sospensione temporanea della vendita.
Non migliore la situazione alla Coop di via Cornelia 154.
Qui, secondo il Codacons, sulle etichette del 60% di 50 articoli presi a campione sugli scaffali venduti come di «elevata quantità » non vengono «indicati tra gli ingredienti caratterizzanti riferimenti espliciti circa la quantità e le percentuali contenute», e le indicazioni non «sono nè chiare, nè intellegibili da parte del consumatore medio».
Anche in questo caso, sollecito del Codacons e ammissione di irregolarità dell’azienda. Al Carrefour del Trionfale, infine, viene contestata l’etichettatura di circa 30 prodotti «per presunti profili di ingannevolezza e frode».
L’associazione, quindi, ha chiede alle autorità di effettuare ispezioni sull’intera filiera di produzione, vendita e somministrazione degli alimenti e di verificare eventuali sofisticazioni e frodi alimentari, sanzionando le imprese che hanno «violato i principi di concorrenza e tutela del mercato».
«Anche se la normativa è ormai molto precisa – spiega l’avvocato Giuseppe Ursini, firmatario della denuncia – spesso le etichette “made in Italy” non riportano la zona di provenienza, oppure sulla pasta di semola non c’è scritto se è di grano duro o altro, per non parlare dei prodotti bio o di quelli a km zero. Ora saranno i carabinieri e l’antitrust a decidere che provvedimenti adottare».
Maurizio Gallo
(da “il Tempo”)
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