AQUILA: IL FAVORE DEL GOVERNO ALLA CURIA E L’APPALTO DA 500 MILIONI
TRATTATIVA PER TRASFERIRE ALLA DIOCESI LA GESTIONE DEGLI APPALTI SULLE CHIESE
Sul tavolo di Palazzo Chigi la disposizione perchè sia direttamente la Diocesi a scegliere le aziende che dovranno fare i lavori del post-terremoto
Ora tutto in stand-by dopo lo scandalo delle mazzette e le denunce del sindaco dimissionario Cialente
Questa è la storia di una “trattativa”, tra lo Stato e la Chiesa, sulla ricostruzione post terremoto.
Una storia che parte dal Duomo de L’Aquila e — almeno per ora — finisce in un cassetto. Un cassetto molto delicato: quello dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi. La vicenda riguarda un affare da 500 milioni di euro per i prossimi 9 anni: la ricostruzione delle chiese danneggiate o distrutte dal sisma del 2009.
Parliamo di 195 strutture tra L’Aquila e l’intero cratere del sisma.
L’attuale “soggetto attuatore” dell’intervento — ovvero chi gestisce la ricostruzione — è il ministero per i Beni culturali
Il ribaltone: le chiavi alla Chies
Il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare che la Presidenza del Consiglio, negli ultimi due mesi, ha provato a ribaltare la situazione con un decreto che, all’articolo 2 bis, prescrive: “Il soggetto attuatore degli interventi e il beneficiario del contributo è individuato nella diocesi competente”.
In sostanza, con questa norma, la gestione dei 500 milioni passerebbe dallo Stato alla Curia e, in questo modo, le diocesi potrebbero scegliere direttamente a chi affidare i lavori.
Il documento è però rimasto una bozza. La norma s’è incagliata nell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi che, nonostante la benedizione del presidente Enrico Letta, non ha ancora espresso un parere positivo.
Sarà un caso ma, proprio mentre la norma veniva valutata dall’ufficio legislativo, L’Aquila è stata travolta dagli scandali sulla ricostruzione: la procura aquilana, a fine dicembre, ha disposto delle perquisizioni in un’indagine sulla ristrutturazione di alcuni beni ecclesiastici.
Da fonti politiche, al Fatto Quotidiano risulta che l’emendamento al decreto è di fatto stato “stoppato” e – nonostante le insistenze della Curia — l’operazione sembra tramontata.
I documenti in possesso de Il Fatto Quotidiano consentono di ricostruire la vicenda che ha scatenato poi l’ira dell’ex sindaco Massimo Cialente.
A dicembre, il primo cittadino aquilano, scrive direttamente al presidente Giorgio Napolitano: “Si è tentato e si sta tentando”, scrive Cialente, “d’inserire una norma di legge che vedrebbe la Curia, la più grande immobiliarista della città , diventare soggetto attuatore per la ricostruzione di tutti i suoi edifici, compresi i luoghi di culto. Abbiamo il sospetto che il disegno, non considerato pienamente nelle conseguenze, potrebbe comportare addirittura che i fondi per la ricostruzione privata delle case andranno a ricostruire le chiese”.
La curia risponde per voce di monsignor Tommaso Valentini, presidente della Conferenza episcopale abruzzese e molisana, che spiega: “In situazioni analoghe, ovvero nella ricostruzione di Umbria, Marche ed Emilia Romagna, le diocesi sono state già riconosciute come enti attuatori”.
Niente di strano, ribadisce quindi Va-lentini, ma resta un fatto: la norma è rimasta lettera morta. Eppure la trattativa è iniziata ben quattro mesi fa.
È il 3 settembre 2013 quando, nella residenza arcivescovile de L’Aquila, prende la parola l’Arcivescovo Giuseppe Petrocchi: l’obiettivo della riunione — spiega — è risolvere il problema che riguarda la ricostruzione degli edifici di culto e delle strutture ecclesiali.
“Bisogna arrivare a una strategia condivisa — dice Petrocchi — che coinvolga tutte le competenze qui presenti”.
Sono presenti sette funzionari di Stato impegnati nella ricostruzione.
È monsignor Giovanni d’Ercole, vicario dell’Arcivescovo, che mette sul tavolo le domande principali: “Come si procederà per la ricostruzione? Con quali fondi? Con quali tempi? ”.
In realtà , la legge è chiara. L’ex ministro Fabrizio Barca ha disposto che, nell’arco di 9 anni, siano stanziati circa 500 milioni.
Se non bastasse – mentre funzionari e prelati discutono – sono già stati stanziati 70,5 milioni per ben 27 chiese.
E quindi: qual è il problema? Il Duomo, per esempio. Accanto alla chiesa vi sono le canoniche, le pertinenze, le abitazioni civili: tutto nello stesso aggregato. Insomma: c’è una parte pubblica e una privata.
La Chiesa è “pubblica”: gli appalti sono gestiti e controllati dallo Stato. Il resto è privato: può essere ricostruito con affidamenti diretti. E per l’aggregato del Duomo, dove la Curia, ha già affidato la questione al “Consorzio sant’Emidio”, che si fa?
Si usano i soldi stanziati dal ministro Barca? O quelli destinati alla ricostruzione delle abitazioni? E i progettisti del Consorzio – che hanno già lavorato – chi li paga?
Libertà di scelta, cambio di strategia
Il punto è che l’affidamento diretto consente di scegliere direttamente i committenti.
E la “trattativa” inizia male. L’assessore aquilano alla Ricostruzione, Pietro Di Stefano, è netto: per le chiese esistono i 500 milioni stanziati da Barca punto e basta. E la Curia cambia strategia.
Il 30 settembre scrive una nota al Governo. Il 4 novembre, a Palazzo Chigi, vengono convocati gli esponenti della Curia, del Comune de L’Aquila, della Direzione regionale per i beni culturali e l’Ufficio speciale per la ricostruzione.
Il testo della convocazione è chiaro: la Curia — si legge – ha proposto di inserire una norma per nominare le Diocesi come “soggetti attuatori” del recupero dei beni ecclesiastici. Il governo vuole discuterne con Comuni e funzionari.
Nel frattempo l’esecutivo scrive la bozza della norma che finisce all’ufficio legislativo di Palazzo Chigi.
V’è scritto: “Il soggetto attuatore degli interventi e il beneficiario del contributo è individuato nella diocesi competente”.
E ancora: “La conferenza episcopale d’Abruzzo predispone ogni anno, in collaborazione con gli enti locali e gli uffici per la ricostruzione, il suo piano d’intervento per la ricostruzione degli edifici, di proprietà della Chiesa, distrutti o danneggiati dal sisma del 2009”.
La Diocesi può “delegare” la realizzazione degli interventi alla Direzione regionale per i beni culturali dell’Abruzzo che, nel caso, otterrebbe “il trasferimento del contributo”.
Ma la norma resta nel cassetto.
Antonio Massari
(da “il Fatto Quotidiano“)
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