ENRICO COSTA: UN GHEDINI IN MINIATURA, E’ IL NUOVO RELATORE DELLA LEGGE BAVAGLIO
IL PADRE RAFFAELE FU IL PRIMO CASTIGATORE DELLA CASTA LADRONA, IL FIGLIO ORA SI DISTINGUE PER FAR RALLENTARE I PROCESSI E IMBAVAGLIARE LA STAMPA
Sorrideva sicuro alla Camera, il giovane Enrico Costa, pidiellino di nobile lignaggio, avvocato cresciuto (politicamente parlando) all’ombra di Angelino Alfano e Niccolò Ghedini.
L’uscita di scena dalla prima linea del ddl intercettazioni, con porta sbattuta in faccia, della collega ed ex compagna di maggioranza Giulia Bongiorno gli regala nuovamente un posto di primo piano in uno dei ruoli in cui eccelle da sempre: fare lo sherpa di Berlusconi per tutto ciò che riguarda le leggi ad personam.
Si è sempre dato da fare, in questi anni, il deputato di Mondovì, località in cui torna frequentemente soprattutto in inverno, quando usa la casa natia come base per le sue incursioni sciistiche a Limone Piemonte.
Classe ’69, tombeur de femmes, secondo le leggende metropolitane del Transatlantico politico romano, Costa è stato un soldato attento e fedele alla linea quando si è trattato di difendere con le unghie e con i denti il Lodo Alfano, meglio noto come legittimo impedimento, poi bocciato dalla Corte costituzionale e anche consigliere affezionato dell’ex ministro della Giustizia quando gli toccò di dirimere la questione del conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato sul processo Ruby.
Insomma, come si direbbe: piccoli Ghedini crescono.
E nel caso di Costa si può affermare senza tema di smentita. “Non ci vedo nulla di male — ha sempre schivato così le accuse di piaggeria nei confronti del ‘collega’ anziano — ci deve essere per forza un rapporto stretto tra il responsabile Giustizia del Pdl e il capogruppo in commissione alla Camera…”
Certo, poi però salta agli occhi quando in aula Ghedini lo chiama spesso a sè e pare dargli “consigli” su come muoversi nel limaccioso terreno della commissione Giustizia e chissà dove altro.
E lui, sussiegosamente, accorre per poi eseguire, ne siamo certi, con cipiglio e innata fierezza sabauda.
Di sicuro l’autonomia non pare una delle migliori qualità dell’uomo, a differenza del suo genitore, il vecchio liberale cuneese Raffaele Costa, antesignano delle battaglie contro i privilegi della Casta (indimenticabili i suoi libri “L’Italia degli sprechi” e “L’Italia dei privilegi”) purtroppo abbandonate quando lanciò l’erede nel firmamento politico per evitare di fargli ombra.
Il giovane Costa, però, negli ultimi anni si è dato da fare per togliersi di dosso l’ingombrante fama paterna.
Specialmente alla corte del Cavaliere.
Il suo colpo di genio è stato inventarsi (non si sa se da solo o con qualche suggerimento dall’amico Ghedini) quel disegno di legge che presto ritroveremo alla ribalta delle cronache e che rappresenta un obiettivo assoluto per Berlusconi; la legge Costa, ovvero, il processo lungo.
Insomma, il giovane figlio del primo castigatore italiano della casta ladrona è stato l’inventore di quella norma che impedisce al giudice di respingere i testimoni inutili citati dalla difesa e di acquisire le sentenze definitive per non dover dimostrare fatti già consacrati dalla Cassazione: un trionfo alla corte del re.
A chi, nei primi giorni dopo la presentazione, gli chiedeva conto delle conseguenze, lui rispondeva sicuro: “Rallentare i processi? E perchè mai, offrendo più certezze si potrà avere l’effetto contrario”.
Il successo, per uno così, non potrà mancare.
Se poi porterà a casa anche il ddl intercettazioni “come lo vuole lui” la strada verso via Arenula o via dell’Umiltà non potrà che essere spianata.
Piccoli Ghedini crescono felici…
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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