“ESTRADATA IN UNGHERIA AL GUINZAGLIO CON UN CAPPUCCIO IN TESTA, ISOLATA IN CELLA TRA GLI SCARAFAGGI”: L’ATTIVISTA TEDESCA MAJA T. COME ILARIA SALIS
IL RACCONTO DELLA MILITANTE ANTIFASCISTA AL GIORNALE TEDESCO MDR: LE RESPONSABILITA’ DELLA GERMANIA, LA SOSPENSIVA DEL PROVVEDIMENTO DI ESTRADIZIONE ARRIVATO QUANDO ORMAI LA DETENUTA ERA STATA TRASFERITA NELLA FOGNA SOVRANISTA
“Sono stata trattata come un pacco, ho provato la fredda brutalità della polizia, è stato un viaggio dell’orrore con manette e catene, un cappuccio, come quelli usati nella boxe, e un sacco sopra la testa. E ora in carcere i prodotti intimi mi sono stati sequestrati, ci sono cimici e scarafaggi, sono rinchiusa in cella per 23 ore, posso stare nel cortile per un’ora e sempre sola”.
Sembra un dejà-vu, sembra di rileggere le parole da Budapest di Ilaria Salis. E invece a parlare stavolta con il giornale tedesco Mdr è Maja T., 23 anni, imputata come Salis nel processo per le aggressioni a militanti neonazisti durante la commemorazione delle SS, il cosiddetto Honor Day, del 2023.
Parla sempre da Budapest Maja, un anno dopo le lettere dell’antifascista di Monza, oggi europarlamentare di Avs, che sollevò il velo sulle condizioni di carcerazione dell’Ungheria di Orbán.
Tedesca, persona non binaria, Maja T. è stata prelevata dal carcere di Dresda nel giugno scorso e portata in Ungheria, in esecuzione di un mandato d’arresto internazionale.
La procedura è stata fulminea, quindi quando la Corte federale costituzionale di Karlsruhe ha disposto la sospensiva del provvedimento, Maja era già nelle mani delle autorità ungheresi, nonostante le condizioni detentive magiare non garantiscano i diritti dei carcerati e il sistema giudiziario sia ritenuto non garantista dagli osservatori internazionali
Maja T. ha parlato con Mdr per telefono pochi giorni fa. Ha raccontato che si aspettava che la Corte d’Appello si pronunciasse a favore dell’estradizione. Ciò che l’ha sorpresa, però, è stata “la modalità” dell’estradizione. Alle prime ore del 28 giugno la porta della sua cella di Maja è stata sbloccata. Una forte luce l’ha svegliata. Agenti del Lka della Sassonia l’hanno portata fuori dalla stanza. Arrivata all’aeroporto di Dresda, scortata da otto agenti pesantemente armati, su un furgone accompagnato a sua volta da almeno altre dieci camionette della polizia. Un elicottero la stava aspettando.”È stato davvero un viaggio dell’orrore”, ha raccontato. “L’aeroporto era circondato da poliziotti mascherati con mitragliatrici spianate”, ha ricordato Maja.
“Ho fatto esperienza della fredda brutalità della polizia. Sono stata trattata come un pacco”, ha detto Maja. Le sono state messe manette e catene, e le è stato infilato un sacco sopra la testa. È stata poi portata al confine ungherese in una minuscola cella del mezzo per il trasporto dei detenuti. Il viaggio è durato diverse ore, senza pause né possibilità di bere, ed è stata consegnata agli agenti lì presenti.
Da allora, Maja è detenuta in un carcere a Budapest, spera in un processo in Germania, suo padre ha lanciato una petizione, sostenuta anch da Salis, indirizzata al Ministro della Giustizia Marco Buschmann e al Ministro degli Affari Esteri Annalena Baerbock per il rientro della figlia dall’Ungheria, o almeno avere garantite condizioni di detenzione appropriate lì dove si trova. Anche qui sembra di rivedere Roberto Salis.
Della detenzione Maja T. ha racconta: “A mio parere, il vitto è molto scarso. I prodotti igienici mi sono stati sequestrati. In alcune zone è sporco, ci sono innumerevoli cimici e scarafaggi. C’è una telecamera nella mia cella che è sempre accesa”. Ci sono anche altri controlli, che la 23enne ha percepito come molestie: “Ogni giorno dovevo spogliarmi completamente davanti agli agenti. Si tratta a tutti gli effetti di perquisizioni intime”. Poi c’è l’isolamento: “Sono rinchiusa in cella per 23 ore, e posso stare nel cortile per un’ora e sempre da sola. Ho brevi contatti con gli agenti durante il giorno e contatti molto limitati con la mia famiglia per telefono”. Non è cambiato molto.
“Maja si trova completamente da sola da due mesi e mezzo. Si tratta di un regime di isolamento estremo. E questo è giustamente descritto come una forma di tortura psicologica, la cosiddetta “tortura bianca”. Mi sembra che Maja venga torturata e umiliata in modo sistematico affinché le siano estorte dichiarazioni”, affonda il padre Wolfram Jarosch, lanciando pesanti accuse contro la detenzione ungherese. “Farò di tutto per tirarla fuori da quelle carceri”, aveva detto quando sua figlia era stata portata via. Un altro dejà-vu.
(da agenzie)
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