FIDUCIA A BERLUSCONI:, FINIANI DECISIVI: UN SI’ AVVELENATO
SILVIO NON HA PIU’ UNA MAGGIORANZA AUTONOMA, DIPENDE DALL’APPOGGIO DEGLI ODIATI FINIANI…LA CAUTELA DEL PREMIER DIMOSTRA CHE LE ELEZIONI NON SOLO NON LE VUOLE, MA LE TEME… L’ANALISI DEL “CORRIERE DELLA SERA”
Aveva chiesto «un sì o un no» ed ha ottenuto una risposta formalmente, solo formalmente, positiva.
In realtà , il governo ha ricevuto un viatico gonfio di insidie.
Silvio Berlusconi non ha più una maggioranza autonoma. Dipende dall’appoggio degli odiati finiani e dalla pattuglia di Raffaele Lombardo, che risponde a logiche siciliane, slegate da quelle del Pdl.
E Umberto Bossi già addita le elezioni anticipate come «la strada maestra». La cautela meritoria usata da Berlusconi nel suo discorso dimostra che il presidente del Consiglio non solo non le vuole ma le teme.
I 342 «sì» a favore del governo, però, avvicinano pericolosamente la fine della legislatura.
Viene sancita la sconfitta della linea muscolare perseguita negli ultimi mesi da Palazzo Chigi; e la rivincita, almeno in Parlamento, dei «ribelli» di Gianfranco Fini.
L’ombra pesante del contrasto col presidente della Camera era stata rimossa da Berlusconi, con un fugace accenno al «passo indietro» provocato dalla creazione della corrente Futuro e Libertà .
Ma l’annuncio in tempo reale della nascita del partito di Fini, e soprattutto il responso del voto di fiducia, l’hanno riallungata su tutta la coalizione. L’atteggiamento della Lega chiude il cerchio. Conferma il profilo del Carroccio come vero azionista di riferimento della maggioranza; ed avanguardia del «partito delle elezioni».
È il paradosso di un Fini che pensando di contrastare l’«asse del Nord» ha rafforzato i lumbard. Era prevedibile.
Le cose sono andate così avanti, che l’istinto autolesionistico del Pdl rischia di sovrastare la lucidità politica e gli interessi del Paese.
I rancori viscerali fra il premier e il presidente della Camera, e le pressioni per far dimettere il cofondatore del Pdl dal vertice di Montecitorio sono stati tappe di una guerriglia sfibrante.
E in Parlamento la stanchezza e le tensioni represse a fatica erano palpabili. Non è da escludersi che presto Fini si dimetta davvero: ma anche in quel caso sarà non tanto per motivi istituzionali, quanto per guidare meglio lo scontro contro il suo ex partito.
Si tratta di uno sfondo di macerie, per il centrodestra.
E non può bastare come consolazione un’opposizione percorsa da un malessere parallelo.
A colpire, ed anche a sorprendere sono il tentativo apprezzabile di prendere coscienza dei pericoli di una situazione esasperata; e il difetto di autocritica per il brutto spettacolo offerto ultimamente.
Ora la maggioranza vuole accreditare il momento della maturità e della consapevolezza; e la volontà di fermare una spirale capace di portare governo e legislatura sull’orlo del precipizio, senza offrire altro se non il vuoto. Aggrapparsi a questa eventualità è quasi obbligatorio: per il momento non esistono alternative alla coalizione berlusconiana. Ma senza rendersene conto, proprio il centrodestra negli ultimi tempi l’ha picconata: al punto che il premier ha ammesso una «lesione» fra gli alleati.
Si capirà presto se esistono volontà e forza per curarla; oppure se sono scattate dinamiche tese ad aggravarla ed a renderla irreversibile.
Massimo Franco (dal “Corriere della Sera“)
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