FONDI EUROPEI, COME L’ITALIA LI BUTTA: SU 43 MILIARDI IN 7 ANNI NE ABBIAMO USATI SOLO 2 (E IN CONSULENZE)
IL GRANDE SPRECO: COSI’ SI PAGA IL PREZZO DEGLI SCANDALI E DEGLI ERRORI
Giovani, integrazione, inquinamento, povertà . Ogni problema irrisolto diventa occasione per invocare un “Piano Marshall”, una regia di aiuti come quella con cui gli Stati Uniti finanziarono la ricostruzione nel Dopoguerra.
A essere chiamata in causa oggi è Bruxelles. Ma l’Europa di fondi sull’Italia ne ha puntati. E tanti.
Per il periodo 2014-2020 la commissione ha assegnato a Roma quasi 43 miliardi di euro: un volume di aiuti secondo solo a quello della Polonia.
Aggiungendo il co-finanziamento statale, si arriva a 73 miliardi di fondi per lo sviluppo in sette anni.
Sono cifre da Piano Marshall, appunto. Ma senza nessuna ricostruzione in vista. Anche perchè l’Italia è riuscita a liquidare solo il 2,4 per cento della cifra e a impegnarne il 32 per cento.
La programmazione precedente, avviata nel 2007, si è definitivamente chiusa quest’anno.
Grazie a uno sforzo titanico, avvenuto rimodulando molti dei desiderata iniziali, l’Italia è riuscita negli ultimi tre anni a far quadrare, più o meno, i conti. Metropolitane, restauri, centri d’accoglienza: la Ue ha pagato. Più o meno, però.
Nelle conclusioni definitive si parla infatti dell’evaporazione definitiva di circa duecento milioni di euro. Persi.
E restano ancora in bilico i contributi per la Ricerca, dove è in discussione un ulteriore rosso da quasi un miliardo.
Ma se il passato pesa, è sul futuro che il Paese è in forse: con gli Stati forti dell’Unione sempre più insofferenti agli sprechi, i commissari stanno mettendo in discussione l’attuale modello di aiuti.
Sul tavolo ci sono i tagli che saranno necessari dopo la Brexit e l’impatto non sempre cristallino delle sovvenzioni su alcune delle regioni più sussidiate, come quelle del Sud.
Il banchetto potrebbe insomma concludersi mentre noi siamo ancora all’antipasto. Ora i funzionari italiani, terminati i bilanci, spazzati i cocci, stanno riprendendo in mano le calcolatrici per verificare l’andamento del new deal. E a correre, per adesso, c’è soprattutto un carico di contratti e consulenze.
PANTANO ALPINO
Il 31 marzo il cielo è nuvoloso sopra Bolzano. Nel palazzo comunale intitolato a una famiglia nobiliare della Carinzia si tiene un convegno, con traduzione simultanea in tedesco.Titolo: “Integrazione o disintegrazione? Nuove sfide per le regioni in Europa”. Il Tirolo vuole difendere la propria identità .
Lo stesso giorno, Roma certifica a Bruxelles la fine dei contributi per il periodo 2007-2013. Ciò che è dato è dato; il resto è perso. E Bolzano ha risultati sorprendenti. In negativo.
Le cifre riguardano il “Fondo sociale europeo”, i contributi destinati a sostenere l’occupazione. La provincia autonoma aveva previsto corsi e tirocini per 51 milioni di euro. Il prospetto finale segnala che ne sono stati utilizzati 36. Quindici in meno. Ma non basta.
«Dentro ce ne sono altri 12 che rischiano di andare in fumo», spiega un dirigente sudtirolese. Il buco arriverebbe così a 27 milioni di euro. Possibile nella terra delle eccellenze ordinarie quanto i gerani ai balconi?
La risposta sta negli atti di una commissione d’inchiesta istituita dopo la visita di alcuni tecnici europei, terminata allora con osservazioni durissime sulla gestione delle risorse, tali da bloccarle.
L’ultimo manager chiamato a gestire il fardello, Claudio Spadon, riassumeva così: non si era capito che i fondi non andavano distribuiti a pioggia.
La relazione finale dei consiglieri affronta la questione per perifrasi, definendo «pragmatico» e «fluido» lo stile con cui erano stati amministrati i contributi dalla responsabile Barbara Repetto (Pd), sostituita dopo il 2008 da un’alternarsi di manager che avrebbero dimostrato una guida «spesso più rigorosa, più complicata, a volte rigida e timorosa rispetto alle regole, che ha rallentato le procedure e probabilmente allentato gli importanti contatti con le autorità europee». Insomma, secondo la relazione la questione sarebbe riassumibile in un bivio obbligato: essere «fluidi» e spendere, o rispettare le regole e finire nel pantano.
BUON GOVERNO
Il bivio porta a un termine adorato dalle burocrazie pubbliche e private europee: “governance”. «Consolidare la governance» è l’obiettivo pass-partout, la priorità centrale. Tanto che Roma ci ha investito in questa stagione un intero “Piano operativo nazionale” (Pon). Con un budget da ben 827 milioni di euro.
Gli eurocommissari hanno richiamato l’Italia più volte: gli aiuti non possono rimanere incagliati negli uffici, insistono. Devono portare sviluppo reale.
Ecco allora il “Pon governance”. In teoria, il piano dovrebbe servire ad aumentare la capacità degli amministratori pubblici nell’affrontare appalti e progetti. In pratica, a 17 anni dall’introduzione dei rubinetti europei, sembra tradursi ancora in affidamenti esterni, consulenze, contratti di collaborazione. In spendere per capire come spendere.
È il paradosso che si legge almeno in un esposto presentato al Nucleo speciale anticorruzione della Guardia di finanza e alla procura della Corte dei conti dai Cobas dell’Agenzia per la coesione, l’ente creato nel 2013 dal governo Letta proprio per rendere più produttivo l’uso delle risorse europee.
Non bastandole evidentemente i 200 dipendenti che ha in dote, l’Agenzia ha già firmato oltre 100 contratti di collaborazione: 140, nella denuncia; 114, secondo quanto ha dichiarato a settembre lo stesso ministro della Coesione, Claudio De Vincenti, rispondendo a un’interrogazione parlamentare sulla vicenda.
Si tratta di «esperti altamente specializzati», ha spiegato il politico. Che prenderanno dai 30 agli 85 mila euro all’anno – provenienti proprio da quel Pon Governance – per sette anni: un’unicum, viene segnalato, per un’istituzione pubblica, giustificato dai vertici con la durata della programmazione europea (settennale, appunto). L’impressione che la semplificazione diventi burocrazia sotto forma di nuovi contratti aumenta.
L’ente guidato da Maria Ludovica Agrò nel frattempo ha avviato attività per 48 milioni di euro su quel Piano di supporto al buon governo. E in questi mesi ha appaltato altri «servizi professionali», a Kpmg (per 879 mila euro) e di «informazione e comunicazione», a Fpa srl (per 141 mila euro .
RICERCA AL MACERO
All’esterno cerca aiuto anche il ministero dell’Istruzione. Per governare i nuovi flussi di denaro Ue ha ingaggiato infatti 34 esperti, che insieme a un protocollo d’intesa con la Guardia di finanza dovrebbero impedire il ripetersi dei guai.
La distribuzione dei finanziamenti europei per la Ricerca è stato infatti uno dei capitoli più pulp della scorsa programmazione, con dossier anonimi, ispezioni della Ragioneria di Stato, indagini ancora in corso in diverse procure.
A oggi, fra archiviazioni e procedimenti in itinere, l’unica responsabilità accertata dalla Corte dei conti è stata a carico di Fabrizio Cobis, dirigente tutt’ora al ministero (in altro ufficio), condannato a risarcire 500 mila euro per le fasi di un appalto lievitato da 26 a 47 milioni di euro. A preoccupare i vertici è soprattutto il confronto con la commissione Ue per la sorte dei 729 milioni di euro di contributi (972 se si comprende il co-finanziamento nazionale) sospesi per via delle irregolarità trasversali riscontrate nella distribuzione dei premi.
Sui fondi per l’innovazione si era scatenata infatti una corsa all’oro, lasciata senza argine per la fretta di spendere il budget prima della scadenza.
Le antologie d’inchiesta raccontano di aziende di Modena, Padova e Milano che aprivano uffici fantasma attivi per un pomeriggio o dagli indirizzi inesistenti, necessari unicamente a dimostrare la presenza nelle regioni del Sud (dove erano destinati gli aiuti); di comitati di valutazione in cui sedevano gli stessi professori che beneficiavano degli aiuti; di banche che certificavano la solidità di società in fallimento la mattina dopo.
Il pool di investigatori del “Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie” della Guardia di finanza ha sommato sprechi e irregolarità per 578 milioni di euro. Che ora toccherà al ministero recuperare, per evitare che sia lo Stato a dover rimborsare il bottino alla Ue.
POTERI TERREN
Molti di quei progetti erano perfetti, formalmente. Approvati per questo senza indugi di burocrazia in burocrazia.
Una delle missioni dei finanzieri guidati dal generale Rosario Massino è allora capire cosa accade dopo. Cosa resta sul territorio di quegli aiuti.
Quando hanno controllato ad esempio le sovvenzioni date ai pescatori in crisi ne hanno individuati quattro in regola su 200. Avevano ricevuto tutti 40 mila euro per trovare entro due anni un nuovo impiego.
Continuavano invece a pescare, ma in nero. Anzichè risolvere il problema, l’aiuto comunitario l’aveva insomma aggravato.
E che il danno complessivo sia una goccia (due milioni e 900 mila euro) nella marea dei fondi Ue, rispetto allo sforzo necessario a intercettarlo, è un problema costante per i cacciatori di frodi.
Solo setacciare gli aiuti per l’agricoltura, ad esempio (un capitolo che varrà 10 miliardi di euro da qui al 2020), significa scrutinare centinaia di migliaia di pagamenti.
Nell’ultima operazione, su 500 mila posizioni analizzate, 35 mila sono risultate irregolari. Il mercato dei titoli per le sovvenzioni agricole ha d’altronde zone d’ombra molto estese.
Sotto cui le mafie riposano benissimo. Non solo in Sicilia. L’attenzione degli inquirenti si sta concentrando su altre regioni: Puglia, Calabria. E il Nord. Un’indagine dei Carabinieri e della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha seguito l’aratro delle ‘ndrine dalle terre calabresi al Lazio, alla Toscana, alla Liguria.
Dal momento che basta dimostrare la proprietà per ricevere gli aiuti, la faccenda è piuttosto semplice. E anche nella Bassa la voglia di approfittarne cresce: da inizio anno i Carabinieri di Parma hanno denunciato 12 persone. Ma se gli appetiti aumentano, con loro anche gli strumenti di controllo.
Il 12 ottobre è stato approvato il regolamento che istituisce “l’Eppo”, la procura europea. Sarà un organismo centrale che potrà indagare e perseguire penalmente chi viola gli interessi finanziari dell’Unione.
Quindi anche i truffatori, in tutti i Paesi al di fuori di Danimarca, Irlanda, Malta, Olanda, Polonia, Svezia, Ungheria (e ovviamente Regno Unito). Ci sono voluti 20 anni di proposte e quattro di negoziati. E sarà operativa soltanto nel 2021. Ma intanto, esiste .
(da “L’Espresso”)
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