FRANCESCHINI, DI MAIO O GIORGETTI: TRE NOMI PER PALAZZO CHIGI
CON DRAGHI AL QUIRINALE
L’unica cosa chiara, a poco più di due settimane dall’inizio della partita per il Quirinale, è che l’ipotesi Mario Draghi è solidamente in campo.
L’ultimo Consiglio dei ministri, con livelli di scontro inediti nel governo di unità nazionale, secondo il Pd sgombera il campo dalla litania strumentale sull’ineluttabilità che il premier resti lì, a Palazzo Chigi.
Italia viva obietta che, se ci sono contrasti con Draghi al timone, figuriamoci che cosa accadrebbe con un altro al suo posto, di caratura inferiore. Ma anche sulla tolda della nave pirata di Renzi si comincia a ragionare su come e a quali condizioni far nascere un nuovo governo, e con quale presente del Consiglio.
Di qui in poi le letture divergono, le schermaglie continuano, i contatti si infittiscono, con l’avvertenza che l’intesa finale, se accordo ci sarà, non può che arrivare in zona Cesarini, a ridosso della prima chiama.
Il centrodestra corre con l’handicap, costretto com’è al momento a puntare su un unico cavallo, per quanto di razza: Silvio Berlusconi. Segnali neanche tanto velati per uscire dalla strategia dell’imbuto, che si stringe fino a condurre all’irrilevanza, arrivano sia da Matteo Salvini che da Giorgia Meloni.
Ma il Cavaliere resta irremovibile, vuoi perché convinto di poterla spuntare a partire dalla quarta votazione, quando basteranno 505 grandi elettori (tantissimi), vuoi perché si riserva di essere lui il king maker, girando i suoi consensi su Mario Draghi, o su Giuliano Amato, o su Pier Ferdinando Casini. Anche perché la spallata, con Berlusconi capo dello Stato, porterebbe probabilmente alle elezioni anticipate.
L’intervista di Matteo Renzi al Corriere apre comunque le porte alla nascita di un nuovo governo, con il segno della politica, qualora il premier traslocasse al Quirinale. Quelli di Italia viva sono convinti che il leader della Lega in quel caso non resterebbe un minuto di più nella maggioranza, e allora bisognerebbe trovarne un’altra, a loro dire impossibile se a guidare l’esecutivo fossero Daniele Franco o Marta Cartabia.
Si sarebbe comunque in un anno pre elettorale, con interessi divergenti e tensioni inevitabili. La prima scelta per loro è stata a lungo e in parte resta quella dell’inamovibilità di Draghi, ma nel caso ai renziani non dispiacerebbe avere a Palazzo Chigi Dario Franceschini: unico del Pd lettiano, sostengono, che non ha come primo obiettivo quello di vederli morti.
Il corpaccione dei 5 Stelle, che nonostante le divisioni interne vanta il numero di grandi elettori più numeroso, ha come primo obiettivo il proseguimento della legislatura ma non manca di ambizioni per la guida dell’eventuale, nuovo governo.
E, relativamente a sorpresa, è proprio dal Pd che gli arriva un assist. Da quelle parti si ragiona così: l’ipotesi di Mario Draghi al Quirinale si rafforza, Matteo Renzi se ne è accorto e ha in parte corretto Maria Elena Boschi, rimasta ferma sulla linea dell’inamovibilità da Palazzo Chigi.
Si è messo spregiudicatamente alla guida, sostengono, di un treno che lo stava sorpassando. La nuova maggioranza? Non potrà esprimere altro che un governo elettorale, che fronteggi il Covid, gestisca il Piano nazionale di ripresa e resilienza e, forse, vari una nuova legge elettorale proporzionale, nel segno delle mani libere per tutti.
E, se non si vuole un tecnico, a guidarlo potrebbero essere proprio i Cinque Stelle, partito di maggioranza relativa, con Luigi Di Maio a Palazzo Chigi. Con quali voti? In questo Parlamento, è la convinzione, i consensi per non vedere concludersi la legislatura si trovano, anche se Salvini e Renzi scegliessero di restare alla finestra.
L’incognita Lega , appunto. Dagli albori della battaglia del Quirinale i leghisti si sono premurati di far sapere che se Draghi traslocasse loro lascerebbero il governo. Ora non sono più così ultimativi ma insistono: è l’ora che sul Colle salga un presidente indicato dal centrodestra.
E osservano con interesse la vicinanza rinnovata con i 5 Stelle dopo l’ultimo Consiglio dei ministri. Un’intesa che potrebbe avere sviluppi anche in chiave Quirinale, con Salvini che continua a sentire riservatamente tutti i leader. Certo, in quel caso non potrebbe essere Berlusconi il candidato, e nella Lega si avverte la voglia di chiudere in fretta quella pratica.
Ma se invece dovesse essere Draghi a salire sul Colle, spunta anche il nome di Giancarlo Giorgetti come nuovo premier.
Ipotesi osteggiata da Salvini, che magari potrebbe anche restare in maggioranza per gestire il Pnrr, ma non con Giorgetti premier, che finirebbe con il far fare alla Lega il sacco dei pugni.
(da Il Corriere della Sera)
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