GIORGETTI E GIANNI LETTA, LE DUE EMINENZE CHE HANNO FREDDATO GLI ISTINTI ALLO SFASCIO DEL CENTRODESTRA
HANNO VINTO ENTRAMBI
In fondo, Giancarlo Giorgetti è considerato il Gianni Letta di Matteo Salvini, e nella partita notturna che ha portato il centrodestra a votare a favore dello scostamento di bilancio hanno giocato sia lui che l’originale. E hanno vinto entrambi.
Letta, classe 1935, è l’eterna Eminenza Azzurrina, il Richelieu dell’impero berlusconiano, il capo delle “colombe” a prescindere, colui il cui nome spunta invariabilmente quando si parla di nomine, tele da tessere, rapporti (assolutamente bipartisan) da riattivare.
Al momento di tutelare gli interessi aziendali, familiari, politici in senso ampio del Cavaliere, il “dottor Letta” c’è.
Come di prammatica per la quintessenza del potere, Letta è sullo sfondo, non parla ma lascia parlare gli aneddoti: preferisce l’onomastico al compleanno ma non dimentica mai di mandare un bigliettino per le ricorrenze; moltiplica gli appuntamenti e li accorcia; evita che gli ospiti si incontrino; dà sempre del lei.
Letta, della politica salviniana degli stop and go, condita dall’atteggiamento euro-aggressivo e ondivago con gli Usa, non è convinto.
E dopo le recenti tensioni con il “giovanotto” ha avvisato Berlusconi: “Se non dai un segnale, finisci sbranato”. Non basta: ha costruito un’impalcatura che interloquisse con la maggioranza, evitasse l’esplosione di Forza Italia, non umiliasse gli alleati. E la mattina dopo, il segnale è stato dato.
Giorgetti, 54 anni, in Parlamento con la Lega già a trenta, bocconiano e aspeniano, eterno numero due del Carroccio, grande tessitore di incarichi e strategie da Bossi in poi, ha navigato indenne lungo tutti gli avvicendamenti in segreteria.
Ex “saggio” per le riforme voluto da Giorgio Napolitano, auspica la rielezione di Mattarella nel 2023. Apprezza Trump, ma è il primo a dire che con Biden alla Casa Bianca, “per noi non cambia nulla”.
E’ il volto moderato della Lega, la grisaglia poco carismatica ma utile che resetta il perimetro dentro il no all’uscita dall’euro, la scelta filo-atlantica e un canale con il Vaticano. Anche su di lui fioccano gli aneddoti: coltiva l’orto in funzione anti-stress, non risponde mai agli sms, sogna un (improbabile) futuro da allenatore di calcio.
Raccontano che tra mercoledì e giovedì abbia placato l’irritazione di “Matteo” in nome del primato della politica, quella che il Senatùr ha sempre praticato con disinvoltura. E che implica la capacità di fare buon viso a cattivo gioco.
Perchè chi rompe paga, e anche se i cocci sono suoi non sempre ne vale la pena.
Così è andata. Giorgia Meloni l’ha capito da sola in anticipo. Salvini, che del resto è il “centravanti”, ha scelto di portare pazienza.
Per una notte Letta e Giorgetti (che si stimano) si sono ritrovati sulla stessa sponda. Quella della “vecchia politica”, tornata per mano berlusconiana al centro della ribalta. Per cui, contro i pronostici (e il principio di realtà ), il leader di un partito con percentuali a una cifra ha dato la linea agli alleati con il doppio e il triplo dei suoi numeri politici (e la metà dei suoi anni). Il seguito è da scrivere.
Perchè è vero che una cosa è vincere le elezioni, un’altra governare. Ma anche, come ripete spesso Giorgetti, che Bossi stava al governo con la Lega al 4%. Ed era l’ago della bilancia.
(da “Huffingtonpost”)
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