GIORGIA, T’HANNO RIMASTO SOLA! PERSINO IL CANCELLIERE TEDESCO, FRIEDRICH MERZ, DI FRONTE ALLA RIVOLTA DELLA STAMPA, DEGLI ALLEATI DI GOVERNO (SPD E VERDI) E ALLE PROTESTE DEGLI INDUSTRIALI, È STATO COSTRETTO A CRITICARE L’ACCORDO USA-UE SUI DAZI, DI CUI ERA STATO IL PRINCIPALE SPONSOR
SOLO LA MELONI TENTENNA E DIFENDE L’INTESA CON IL TYCOON: GLI EFFETTI REALI SUI CONSUMATORI SI VEDRANNO FRA 7-8 MESI
Giorgia Meloni ha mostrato cautela e un prudente basso profilo dopo l’accordo tra Unioneeuropea e Stati Uniti sui dazi al 15%, di cui è stata accanita tifosa.
Con il suo tradizionale camaleontismo, è stata ubiqua, buttando la palla in tribuna, per prendere tempo e non mettere la faccia sull’umiliazione europea (“Base sostenibile, giudico positivamente il fatto che si sia raggiunto, ma bisogna andare nei dettagli”).
Eppure, i calcoli degli economisti parlano chiaro: le tariffe di Trump avranno un impatto negativo sul Pil italiano di almeno uno 0,5%, senza contare che nel 2026, ultimo anno in cui l’Italia riceverà i fondi Pnrr dall’Europa, le rate verranno erogate da Bruxellese in base dello stato di avanzamento dei lavori, già in cronico ritardo.
Inoltre, quando i cervelloni intorno alla Meloni hanno ipotizzato di usare i fondi del Pnrr per sostenere le imprese colpite dai dazi, da Bruxelles è arrivato un niet perentorio per ricordare che quegli stanziamenti vanno utilizzati per gli investimenti e non per i sussidi.
Se le difficoltà della Ducetta in campo economico sono notevoli, sul piano politico non va meglio.
La “Thatcher della Garbatella” si era appoggiata al cancelliere tedesco, Friedrich Merz, in contrapposizione alla linea dura di Macron contro Trump, per favorire una trattativa con Washington. Merz, bisognoso di tutelare l’automotive tedesco, si
era illuso di ammorbidire Trump con un atteggiamento cedevole, forse convinto di chiudere l’accordo con dazi al 10%.
Quando il tycoon ha inviato all’Unione europea una lettera, minacciando tariffe al 30%, lo stesso cancelliere si è trovato in difficoltà. Il metodo “shock and awe” (colpisci e terrorizza) usato da Trump contro l’Europa ha certificato la totale inaffidabilità del presidente americano. Tra incudine e martello, Merz ha iniziato a tentennare.
Da un lato, pur detestando Ursula, sua rivale di partito nella Cdu e nel Ppe, ha sperato nel buon lavoro del commissario Maros Sefcovic, per ricondurre a miti consigli l’intransigenza di Trump.
Dall’altro, davanti all’arroganza del Caligola di Mar-a-Lago, ha dovuto riconoscere che la linea dura di Macron aveva un senso.
Come ha dimostrato la Cina, l’unico modo per trattare da pari con gli Usa è mostrare i muscoli: più si accondiscende alle pretese del bullo coatto della Casa Bianca, più quello alza il prezzo.
Il risultato finale, con le tariffe al 15%, ha spiazzato Merz e lo ha messo nei guai, perché in Germania l’accordo è stato accolto molto male. I quotidiani tedeschi, con la Bild in testa, hanno sparato a zero contro l’intesa Ue-Usa, la Confindustria di Germania ha tuonato (“Oggi non è un buon giorno per l’economia”).
Il presidente della Federazione auto tedesca, Hildegard Müller, ha dichiarato che “i dazi del 15% costeranno miliardi alle case automobilistiche”. Come ricorda Giuseppe Sarcina sul “Corriere della Sera”: “D’accordo, ma le medesime ‘case
automobilistiche’ sono state il tormento di Berlino e di Bruxelles: fate in fretta, troviamo un compromesso con Washington. Per altro il settore auto è il solo che abbia contenuto i danni: il dazio passerà dal 27,5% al 15%”.
Anche nella stessa maggioranza che sostiene il governo Merz ci sono state notevoli fibrillazioni da parte dei socialdemocratici della Spd, e dei Verdi, che hanno parlato di accordo capestro. Davanti a una tale rivolta collettiva, anche il cancelliere, che si è posto da subito come il più dialogante con gli Stati Uniti, ha dovuto ammettere che l’accordo produrrà “danni sostanziali” all’economia europea, pur riconoscendo che “non si poteva ottenere di più”.
Il mezzo passo indietro di Merz, spaventato dai possibili contraccolpi alla sua maggioranza, lascia Giorgia Meloni da sola, in prima fila, a difendere l’intesa con Trump, il cui impatto è stato finora assorbito dai mercati solo perché i primi veri effetti sui consumatori si vedranno fra 7-8 mesi. Solo allora sarà pienamente visibile il costo economico e sociale delle misure imposte dalla Casa Bianca.
(da Dagoreport)
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