GIUSTIZIA: L’ITALIA AL 156° POSTO SU 180 AL MONDO NELLA CLASSIFICA DELL’EFFICIENZA
OCCORRONO 1.210 GIORNI PER RECUPERARE UN CREDITO, 1.549 PER UNA CAUSA CIVILE, 1.039 PER UNA DI LAVORO, 781 PER UN DIVORZIO, 3.333 PER UN FALLIMENTO…MA LA PRODUTTIVITA’ PRO-CAPITE DEI GIUDICI ITALIANI E’ IL DOPPIO DI QUELLA DEGLI ALTRI GRANDI PAESI…IL PROBLEMA SONO L’ORGANIZZAZIONE E LE SCARSE RISORSE
Analizziamo il problema giustizia in Italia con dati esteri “super partes”, onde evitare il solito litigio tra potere politico e magistratura: sono quelli che emergono dal rapporto Doing Business 2009 della Banca mondiale che stima l’efficienza del sistema giudiziario di una nazione.
Nella apposita classifica redatta dall’organismo internazionale, su 180 Stati considerati, il sistema giudiziario italiano rotola al 156° posto.
Subito dopo di noi ci sono Gibuti, Liberia, Slovenia, Sri Lanka, Bangladesh, Afghanistan.
Davanti guida il Lussemburgo (1° posto), la Germania è al 7° posto, il Belgio al 21°, la Gran Bretagna al 23°, la Svizzera al 29°.
Altri dati che emergono dal rapporto: per recuperare un credito ci vogliono in Italia 1.210 giorni, con un costo del 29,9% del debito azionato.
I ritardi della giustizia costano 371 euro di tassa occulta su imprenditori, fornitori e clienti.
Sono 1.549 i giorni in media necessari per una causa civile davanti alla Corte d’Appello, 1.021 per un processo di previdenza, 1.039 per uno in materia di lavoro.
In tribunale si arriva in 762 giorni al nord, 954 al centro, 1.172 al sud.
Un divorzio rimane in piedi 571 giorni al nord, 781 al centro, 693 al sud.
I fallimenti richiedono 2.561 giorni al nord, 3.333 al centro, 4.052 al sud.
Ciò nonostante (dato Eurispes 2010), la fiducia degli italiani nella magistratura, che nel 2006 era al 38,6%, è salita al 47,8%, segno evidente che molti attribuiscono le cause della mala-giustizia ad altri fattori.
Non a caso la stessa Commissione europea per l’efficacia della giustizia, nel famoso rapporto Cepej sui processi civili, scrive che “la produttività pro-capite dei giudici italiani è corca il doppio di quella degli altri grandi Paesi europei e 50 volte quello degli inglesi”.
Cosa non va allora?
Intanto gli italiani sommergono i Palazzi di giustizia di migliaia di cause di poco conto, quasi fosse ormai un’abitudine rivolgersi ai giudici anche per anla più banale bega condominiale.
Invece di usare il buon senso, spesso si finisce per ingolfare un sistema che già boccheggia da solo.
Poi un problema serio sono le risorse, quelle che Fini ha chiesto al premier discutendo di processo breve: inutile parlare di processo breve senza assicurare alla giustizia risorse adeguate e ben suddivise.
Gli stanziamenti per la giustizia sono in riduzione costante, sia in valore assoluto che in percentuale al bilancoi statale, inutile raccontare balle.
La spesa per abitante è calata a 134 euro nel 2008, a 127 nel 2009, a 122 nel 2010.
Non va neanche la quantità enorme di rimborsi per i processi lenti (legge Pinto) che sono costati allo Stato, dal 2002 ad oggi, la bellezza di 94 milioni di euro, non va la distribuzione ottocentensca dei tribunali in Italia , non sono sostenibili 93 circoscrizioni con meno di 20 magistrati.
Non vanno i tagli che in certi tribunali impediscono ormai persino di fare le fotocopie, il numero di cancellieri troppo ridotti in certe procure, l’organizzazione dei distretti.
Al Sud si calcola che il 34% degli 800 milioni di euro spesi nei 29 distretti giudiziari meridionali “si potrebbero utilizzare neglio”.
Da questi dati occorrerebbe ripartire per un riforma organizzativa che potesse mettere mano seriamente alla materia: senza divisioni e senza conflitti, con una visione bipartisan che tenesse conto delle posizioni di tutti.
In altri Paesi è possibile, in Italia sembra di essere perennemente in un conflitto da guerra civile.
E se per una volta la politica cercasse di trovare un’intesa volando alto e la magistratura fosse meno autoreferenziale?
Magari ne uscirebbe un riforma che ci porterebbe tra i primi venti Paesi al mondo in quanto a civiltà e rispetto giuridico.
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