I BAMBINI DI GAZA MUOIONO DI FAME: L’ORRORE DI NETANYAHU
LE IMMAGINI DELLA STRISCIA RICORDANO I DEPORTATI EBREI NEI CAMPI DI STERMINIO… L’IGNAVIA DELL’EUROPA DI FRONTE A UN PAESE CRIMINALE
La foto risalta sulla copertina del quotidiano inglese Daily Express del 23 luglio: un bambino scheletrico, fra le braccia della madre, con un sacco nero della spazzatura come pannolino. La sua bocca è aperta quasi a gridare aiuto. È un bambino di Gaza e sta chiaramente morendo di fame. Che dire davanti a questa foto e alle altre che appaiono nelle pagine interne, altrettanto terribili? Anche l’indignazione sembra impotente di fronte a immagini così angosciose, il dolore che proviamo lascia il tempo che trova. Mentre ci indigniamo e ci addoloriamo, quel bambino e tanti altri come lui muoiono. Sono immagini che ricordano il Biafra della fine degli Anni Sessanta e – mi azzardo a dirlo anche se ho fin qui rifiutato di fare paragoni con la Shoah – le immagini dei deportati ebrei nei campi. Sono le immagini della fame che porta alla morte.
Proviamo a dare dei dati, quelli dell’autore dell’articolo, Giles Sheldrick, in primo luogo, anche per evitare che ci sia qualcuno che obietta che non di un bambino di Gaza si tratta, che le foto sono finte, opera probabilmente dell’AI, che a Gaza non c’è nessuna carestia. Il piccolo si chiama Muhammad Zakariya Ayyoub al-Matouq, vive in una tenda nella Striscia, e pesa come un bambino di tre mesi, 6 chili, mentre prima pesava nove chili. Non è quindi un neonato, anche se lo sembra. Il segretario di Stato per gli affari esteri, il laburista David Lammy, ha espresso parole di indignazione che vanno ben oltre ogni possibile approccio diplomatico. I dati sui bambini a rischio come Mohammad sono veramente terribili: 900.000 bambini di Gaza sono esposti alle conseguenze della fame, 70.000 sono già in uno stato gravissimo di denutrizione.
Da quando l’accesso agli aiuti portati dalle organizzazioni internazionali è stato bloccato dal governo israeliano e affidato all’organizzazione israeliano-statunitense Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), è iniziata la carestia, che sta raggiungendo oggi livelli gravissimi. A questa si aggiungono gli attacchi
dell’esercito di Israele, che spara sulla folla in attesa di cibo e acqua. Si susseguono le voci di gazawi privi di cibo da giorni, di medici e infermieri che non riescono più a lavorare per la debolezza, gli appelli delle tante Ong e delle organizzazioni internazionali, dell’Onu per bocca del suo segretario Guterres, dei pochi giornalisti palestinesi ancora in grado di dare notizie. La risposta del governo di Israele è una sola: a bloccare gli aiuti è Hamas, la carestia non esiste, e chi ne parla, a cominciare da Guterres, è antisemita. Ma è da allora, da quando la fame e la mancanza di medicine e cure mediche sono diventate un’arma nelle mani di Israele, che l’atteggiamento del mondo è cambiato anche fra molti di quanti ancora esitavano a condannare il governo di Netanyahu.
Intanto, mentre Gaza muore, in Israele le strade si riempiono di manifestanti che recano in alto le foto dei bambini palestinesi morti per fame o sotto i bombardamenti, che gridano di porre fine alla guerra, di far entrare aiuti sufficienti a Gaza. Sappiamo che non bastano, non sono sufficienti a far cadere questo governo, a imporre almeno una tregua. Accanto a loro, vediamo le immagini di ragazzi e ragazze giovanissimi che bruciano le cartoline precetto perché non vogliono arruolarsi e contribuire al genocidio in atto. Andranno in prigione per questa scelta. Nel suo colloquio con Dio davanti a Sodoma, Abramo chiese a Dio di non distruggere Sodoma finché ci fossero stati fra i suoi abitanti almeno dieci giusti. Basteranno questi giusti che oggi gridano in Israele il loro orrore di fronte a quanto succede a salvare Israele o almeno il suo onore?
Vorrei chiedere a quanti ancora se la sentono di sostenere che foto come queste sono parte della propaganda di Hamas, ebrei o non ebrei che siano, di smettere almeno di negare. Continuino a credere che Israele sta compiendo uno sterminio necessario, lo dicano anche, ma non neghino la realtà di queste immagini, non tolgano a quei bambini anche il loro nome, il loro dolore.
(da La Stampa)
Leave a Reply