I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO INVESTIMENTI MILIARDARI IN ITALIA: I VARI BLACKSTONE, KKR, MACQUARIE, BLACKROCK, CHE ALL’INIZIO AVEVANO INVESTITO IN AZIENDE DI STATO, BANCHE, ASSICURAZIONI, RITENENDO IL GOVERNO DUCIONI STABILE E AFFIDABILE, DOPO APPENA DUE ANNI SI SONO ACCORTI DI AVER BUSCATO UNA SOLENNE FREGATURA
DAL DECRETO CAPITALI AD AUTOSTRADE, DALLA RETE UNICA ALLE BANCHE, E’ IN ATTO UN BRACCIO DI FERRO CON NOTEVOLI TENSIONI TRA I “POTERI FORTI” DELLA FINANZA MONDIALE E QUEL GRUPPO DI SCAPPATI DI CASA CHE FA IL BELLO E IL CATTIVO TEMPO A PALAZZO CHIGI
Avvisate il governo Meloni: i grandi fondi internazionali sono sulla soglia per uscire dai loro investimenti miliardari in Italia. Blackrock, Kkr, Macquarie, Blackrock, che all’inizio avevano aperto il portafogli investendo in aziende di Stato, banche, assicurazioni eccetera, ritenendo il governo destra-centro stabile e affidabile, oggi sono dell’avviso di aver buscato una solenne fregatura.
La prima dose di veleno partita da Palazzo Chigi che ha fatto incazzare i cosiddetti “poteri forti” internazionali – da Blackstone a BlackRock son ben presenti nel capitale delle maggiori banche italiane – è stata la tassa sugli extra profitti bancari, subito rientrata dopo due fuorionda al cetriolo sulle smanie di Giambruno di “Striscia la notizia”.
Quando i grandi fondi hanno sbarrato la strada di Caltagirone e Milleri-Del Vecchio per la conquista di Generali Assicurazione, assicurando all’Ad Donnet la maggioranza nel Cda del Leone di Trieste, da Roma è sbucato il famigerato Decreto Capitali, che ha ha innescato almeno cinque articoli apertamente ostili dal “Financial Times”, bibbia e house-organ del mercato finanziario internazionale.
Non ha reso più gradevole il clima il recentissimo annuncio di Matteo Salvini di alcuni impegni per l’anno nuovo: la presentazione di due provvedimenti, uno che ‘’garantisca il conto corrente a tutti’’ e un altro che ‘’limiti i margini multimiliardari delle compagnie’’ sulle transazioni delle carte di credito.
Ma al di là delle sparate salviniane, il rapporto dei colossi finanziari, specializzati nei settori di private equity, investimenti immobiliari, hedge funds e strategie di investimento con il governo italiano è già giunto a un livello di alta tensione.
Come si può desumere dall’articolo di “Repubblica” a seguire che squaderna in ogni particolare lo scontro in atto tra Palazzo Chigi e il più importante fondo americano, Blackstone, guidato dal fondatore Stephen A. Schwarzman (a Milano il managing director è Andrea Valeri), che ha investito in Italia 15 miliardi e Macquarie, la più grande banca d’investimenti australiana, guidata in Italia da Roberto Purcaro che ha investito oltre 5 miliardi di euro nel 49% di Open Fiber e in Aspi.
Eccoli duellare uniti contro le decisioni prese da Palazzo Chigi su Autostrade per l’Italia (Aspi): i due fondi vogliono non solo la testa dell’Ad Tommasi, in scadenza ad aprile 2025, ma soprattutto chiedono più dividendi. Altrimenti, tolgono il disturbo.
Ma una eventuale liquidazione ai fondi istituzionali delle quote Aspi dei due fondi infrastrutturali (Blackstone e Macquarie 24,5% a testa, mentre il Mef via Cdp ha il 51%), operazione che farebbe felice il neo-statalismo fazzo-meloniano, non è di facile soluzione.
Se Aspi piange, la Rete Unica non ride. Il fondo americano Kkr, che gestisce oggi circa 500 miliardi di patrimonio in 17 paesi, dopo aver sborsato un pacco di miliardi (18,8) acquisendo l’infrastruttura più nevralgica del paese, ora è imbufalito. E non solo per i tanti dindi necessari per acquisire anche quel casino alla fibra di Open Fiber, dove Kkr punta invece a farla fallire prendendola a costo zero.
Dagli Stati Uniti i capoccioni di Kkr sarebbero talmente incazzati che avrebbero di fatto depotenziato il presidente Sarmi e l’Ad Ferraris dal vertice della Rete trasferendo i poteri alla loro sede di Londra, a causa della relazione pericolosa della Ducetta con il Doge alla ketamina Elon Musk (il suo agente in Italia Andrea Stroppa è ben presente a Palazzo Chigi).
La “Tesla di minchia” mira a un bel contratto con il governo della sua amica Giorgia per far connettere sul territorio italico i suoi satelliti a bassa quota di Starlink fregando abbonamenti alle varie telecom italiche; un’operazione che, a cascata, ricadrebbe in negativo sui bilanci di Kkr, fornitore della Rete.
Secondo indiscrezioni di fonti autorevoli, Kkr smania talmente per uscire da Stivale & Manganello che starebbe trattando con il Mef-Cdp la riduzione a 3 anni della clausola che blocca la vendita delle loro quote per 5 anni. Nelle pieghe del contratto stipulato a suo tempo Tim-Kkr, nel malaugurato caso di andare in perdita, ci sarebbe anche la clausola che permetterebbe a Kkr di poter licenziare – sono 12 mila i dipendenti che si sono accollati per salvare il baraccone Tim.
Altro conflitto con i fondi arriva con l’operazione Unicredit su Bpm, che il governo vede come il fumo agli occhi, avendo puntato sul duplex Bpm-Mps. Salvini e Giorgetti, col fiasco sul tavolo, davanti al pericolo di “perdere” Bpm, hanno liquidato Unicredit come una “banca straniera”, minacciando persino il Golden Power.
Qualcuno ricordi a Lor Signori che il più potente alleato di Andrea Orcel si chiama Blackrock, il fondo americano di Larry Fink, guidato in Italia da Giovanni Sandri, è il primo azionista di Unicredit (7%) e il terzo di Commerzbank (7,3%), dove si gioca l’altra partita di Unicredit. Inoltre BlackRock detiene il 5% di Intesa Sanpaolo e controlla oltre il 4% di Mediobanca.
Andrea Orcel e Larry Fink si conoscono bene sin da quando il banchiere italiano lavorava, dal 1992 al 2012, nel dipartimento M&A di Merrill Lynch a Londra e ricopriva anche il ruolo di advisor della Banca Santander della famiglia Botin.
Quanto sopra sarà pure noioso da seguire però fa ben presente contro chi si sono messi a far la guerra quel gruppo di scappati di casa che fanno il bello e il cattivo tempo – temporaneamente si spera – a Palazzo Chigi.
(da La Repubblica)
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