I SOVRANISTI DEVONO ARRIVARE AL 2023 MA NON SANNO COME
SALVINI E MELONI NON HANNO UNA ROTTA E SI RINFACCIANO LA SCONFITTA AL SUD
La beffa oltre il danno arriva a Lesina, nel Foggiano, dove il leghista candidato unico non riesce a essere eletto sindaco per mancanza di quorum. Al netto della puntigliosa elencazione di Comuni conquistati, da Attigliano a Parabiago, e dei 24 consiglieri in più rispetto al 2015, il day after della Lega, e a ricasco di tutto il centrodestra, è pieno di cicatrici.
Matteo Salvini veste i panni dell’allenatore che ha spronato la squadra a vincere i Mondiali, e quando il gioco si fa duro i duri entrano in campo, ed è la linea che passa da via Bellerio fino alle sedi locali.
“Come fa a essere in crisi la leadership del capo del primo partito del centrodestra ? – si domanda retoricamente Riccardo Molinari, capogruppo a Montecitorio
Peccato che sui canali non ufficiali vada in scena un altro film. In cui il dopo-Salvini, sia pure diluito nei prossimi tre anni di legislatura, è già cominciato.
E della lunga traversata nel deserto, spaventa tutto.
“Matteo non ne imbrocca una — è il lamento di alcuni meloniani molto impegnati sul territorio — Ormai è diventato una zavorra”.
Fino al requiem finale, che più d’uno pronuncia: “A Palazzo Chigi non ce lo vedo”. La situazione è bruscamente cambiata. Al punto che l’ex Guardasigilli leghista di rito bossiano, Roberto Castelli, applaude Zaia, per il rilancio dei temi nordisti, e punzecchia Salvini: “Sì, primo partito, ma la Lega perde dieci punti dalle scorse Europee…”.
La ”questione meridionale”, che ieri sembrava poco più di uno sfogo a urne calde, rischia di creare la prima vera frattura tra il Capitano e Giorgia Meloni.
Una ricerca reciproca del capro espiatorio. Salvini tuona: “Serve un ripensamento dell’offerta laggiù”. Claudio Borghi, economista del Carroccio, nega qualsiasi sospetto di crisi del leader: “Siamo l’unico partito che cresce dappertutto. Lo dice anche Fdi? Bene, ma dipende da quanti seggi si prendono. Se devo rimproverare qualcosa, oltre al fatto che la campagna “motivazionale” se poi perdi da qualche parte ha effetti collaterali, è la scelta dei candidati al Sud. Se mandi un messaggio rivoluzionario e di rinnovamento e poi sei “costretto” ad appoggiare candidati non proprio innovativi annacqui il messaggio e danneggi l’immagine del partito”.
I “cugini” di FdI la pensano esattamente all’opposto: la Lega al Sud non ha sfondato da sola, sfiorando appena le due cifre, e non si è spesa per Stefano Caldoro in Campania e Raffaele Fitto in Puglia.
Non ha giocato di squadra, non ha teso la mano. Una sconfitta costata alla Meloni una battuta d’arresto, che fa schiumare rabbia ai suoi. Anche dentro Forza Italia l’umore non è alle stelle: “Il Sud, dove l’elettorato è più “mobile”, si conferma il nostro punto dolente. Dopo lo tsunami dei Cinquestelle, il Pd è stato più pronto del centrodestra. Noi non siamo riusciti a intercettare proprio niente”.
Il giorno dopo le Regionali, la Lega è comprensibilmente sotto choc. Dopo Lucia Borgonzoni in Emilia, anche la “pupilla” toscana Susanna Ceccardi, ha fatto una brutta fine (politica).
Da giovane promessa a rottamata nello spazio di una campagna elettorale. Con la destra sfavorita al ballottaggio persino nel comune di Cascina di cui è stata sindaco: “Eletta nel 2016, entrata nello staff del leader nel 2018, candidata alle Europee nel 2019, a governatrice nel 2020 — sciorina il candidato di centrosinistra Michelangelo Betti – Forse gli elettori preferiscono un modello più affidabile di continuità amministrativa…”.
Salvini sembra aver perso il suo tocco magico. Peggio: essersi trasformato in un Re Mida al contrario.
Edoardo Rixi, uno tra i primi a chiedere le elezioni anticipate prima che sparissero dall’ordine del giorno, argomenta: “Non c’è una crisi di leadership all’orizzonte, solo dibattito interno. Vanno riviste le tattiche elettorali, discutere fa sempre bene”.
Già , perchè è vero che senza un congresso — al momento nell’iperuranio – il segretario è inamovibile. Ma qual è la strategia per il lungo tragitto all’opposizione che il centrodestra — salvo sorprese – ha di fronte? Qualcosa cambierà ? “Ne discuteremo” replica sintetico Molinari.
Altri, tra gli alleati, sono meno ottimisti: “Non esiste strategia. Non c’è un piano B. Con Matteo è impossibile ragionare a medio o lungo termine. Non gli interessa e non manterrebbe la parola…”. Allora, si va avanti alla giornata. Provando almeno ad aprire il cantiere.
La prima novità — che a destra non vogliono sprecare — è il fronte dei governatori. Gli “sceriffi del Covid” che hanno stra-convinto i loro elettori: Luca Zaia e Giovanni Toti. Il governatore ligure rieletto con il 56%, venti punti in più della volta scorsa, per Salvini non è certo un nemico. Per anni è stato la “cerniera” tra Lega e Forza Italia. Adesso spinge sul tasto dell’autonomia, incassa gli auguri di Meloni e Berlusconi, rilancia una sua vecchia idea: “Serve una federazione che allarghi il centrodestra oltre l’area sovranista”. Traduzione: recuperare i moderati.
Un pensiero a cui molti parlamentari di Forza Italia, prossimi alla disperazione, sono pronti a credere. Ma anche un’insidia per il Capitano che non ha mai amato la collegialità . E conosce il trucco delle “cabine di regia”.
“Peccato — ride un parlamentare di centrodestra. A Salvini basterebbe una frase per risolvere tutti i suoi problemi. Dire: io sono il segretario e Luca sarà il prossimo candidato premier”.
(da “Huffingtonpost”)
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